
Per il Perù il 2010 si è chiuso con una crescita economica spettacolare se si pensa agli effetti ancora visibili della crisi in molte parti del mondo. E senza voler indagare quanta parte ha avuto nelle rivolte e capovolgimenti di regimi dittatoriali di lunga data nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Il Pil è cresciuto dell'8,6% lo scorso anno e secondo la Cepal (Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi dell'Onu) il 2011 vedrà un ulteriore progresso del 6%. Sono cresciute anche le riserve valutarie così come le esportazioni che sono aumentate del 4,5% in termini reali rispetto al 2009.
La sua economia è fortemente influenzata da settore minerario essendo tra i primi produttori al mondo di argento, zinco, rame, stagno, piombo e oro.
Se è vero che nel corso di questi ultimi anni il livello di povertà tra i peruviani è diminuito come per esempio dimostra l'andamento del tasso di malnutrizione cronica è diminuito dal 22,6% al 17,9% nel periodo 2007-2010 secondo l'Istituto Nazionale di Statistica o la diminuzione costante, dal 2004 in avanti eccezion fatta per l'ultimo trimestre 2010, della percentuale delle persone che hanno fatto ricorso ai programmi alimentari (INEI). Ed in miglioramento anche l'Indice di Sviluppo Umano che colloca al 63° posto il Perù nella classifica mondiale stilata dall'ONU.
Questo progresso quantitativo, come spesso accade, è frutto di molte sperequazioni e politiche che danneggiano le popolazioni, indigene in special modo, e mettono a repentaglio l'ecosistema. I bambini indios restano, secondo l'Unicef, tra i più poveri al mondo. In America Latina mediamente la povertà colpisce il 40% di loro, mentre tra le popolazioni indigene la percentuale è del 78% e questo significa che nessun diritto fondamentale dall'assistenza sanitaria all'educazione è accessibile.
E la politica di accaparramento e sfruttamento delle risorse naturali perseguita negli anni anche dall'ultimo governo di Alan García è una parte pregnante nelle cause delle ingiustizie in Perù.
Dal 2006 al 2010 le concessioni governative sono raddoppiate e si concentrano quasi tutte nei territori andini. Attualmente circa il 17% del territorio peruviano (kmq. 1,287totali) sono state concesse e quasi la metà delle terre amazzoniche sono state date in concessione e se non si pone un limite questa percentuale farà diventare l'Amazzonia vergine un'area marginale.
Certo gli investimenti potrebbero portare nel breve condizioni sociali migliori, qualche scuola, ospedale, salari più alti ma il futuro è a rischio perché l'impatto ambientale ha costi inestimabili. E poi perché i miglioramenti non possono avvenire con uno sviluppo economico improntata alle produzioni agricole, all'allevamento non intensivo di bestiame e comunque compatibile con la natura così come viene richiesto da molte comunità locali?
Le decisioni spesso vengono prese senza nemmeno consultare le comunità come previsto dalla Convenzione ILO[1] 169 sulle popolazioni indigene ratificata dallo stato peruviano.
Concessioni e investimenti sul territorio spesso generano conflitti come quello nella provincia di Áncash che hanno provocato un morto e diversi feriti negli scontri con l polizia. La contestazione era diretta ad impedire l'assegnazione, all'impresa Chancadora Cantauro, dello sviluppo del progetto minerario Huambo che avrebbe comportato gravi rischi di contaminazione alla laguna Conococha e all'area circostante.
Una delle iniziative più eclatanti messe in atto nelle aree colpite da questa politica predatoria è stata la proclamazione, del 16 settembre 2010, delle quattro province del nord (Ayabaca, Huancabamba, Jaén e San Ignacio) come zone libere da attività mineraria (ZLM). Molti i movimenti di base le cooperative agricole e le comunità locali nonché ong internazionali ad aver appoggiato l'iniziativa [2].
Le elezioni politiche che si terranno il prossimo aprile non sembrano avere tra i candidati meglio piazzati nei sondaggi qualcuno disposto a impostare un modello di sviluppo che vada nella direzione della compatibilità ambientale e del pieno rispetto dei popoli indigeni.
Infatti Alejandro Toledo, l'ex-sindaco di Lima Luis Castañeda Lossio, la figlia dell'ex presidente e ora in carcere per crimini contro l'umanità Keiko Fujimori sono in testa alle intenzioni di voto dei peruviani, secondo un recente sondaggio del quotidiano La República, ma nessuno di loro ha in testa programmi sociali ed economici dirompenti rispetto alle politiche liberali se non liberiste.
Anzi pur di raccattare voti all'interno dl bacino dei sostenitori di Fujimori non si dichiarano apertamente contro l'ipotesi di scarcerare, per malattia, l'ex presidente [3].
L'esempio della vittoria alle elezioni municipali di Lima lo scorso ottobre ottenuto da Susana Villarán, a capo di un piccolo partito come Fuerza Social è solo una speranza per coloro che si aspettano una coalizione in grado di rispondere alla domanda di rappresentanza proveniente dalle realtà sociali che aspirano al cambiamento vero nel governo del paese, magari come avvenuto in Bolivia ed Ecuador. E magari che sappia difendere quella popolazione, in splendido isolamento, nella foresta amazzonica brasiliana al confine con il Perù minacciata dai tagliatori illegali di legname. Il video girato dall'alto mostra immagini di una comunità in salute e vicina alle capanne e con cesti di prodotti raccolti negli orti.
L'ultima in ordine di tempo delle popolazioni per le quali Survival chiede ai governi peruviani di proteggerle.
Pasquale Esposito
[1] Si tratta della convenzione dell'International Labour Organization sui diritti delle popolazioni indigene
[2] Alessia Marucci, “Indigeni contro multinazionali. Una speranza dal nord del Perù”, www.peacereporter.net, 22 dicembre 2010
[3] Rocio Silva Santisteban, “La grazie è inammissibile”, La República, nella trauzione di Internzionale, 11 febbraio 2013, pag. 22
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