
Il grande giorno è finalmente arrivato, si vota! Donne e uomini esercitano un diritto-dovere fondamentale che, prima del 1946, era riservato agli uomini e che, durante il fascismo, era stato cancellato anche per loro. È sempre emozionante recarsi al seggio, consegnare il documento, ritirare le schede e la matita. Poi, nella cabina e con un filo di tensione, si appongono le croci stando attenti a non sbagliare e si ripiegano le schede con grande attenzione. Quindi si esce dalla cabina, avvertendo un pacato e responsabile senso di liberazione. La coscienza sembra più pulita e ci si sente un po' utili, a se stessi e agli altri. Poi l'inserimento delle schede nelle due urne di Camera e Senato, la firma sul registro (cartaceo, almeno questo…) e la restituzione del documento, l'annuncio quasi solenne dell'avvenuto pronunciamento. Un'occhiata alla percentuale dei votanti sulla lavagna e, infine, il saluto agli scrutatori che prelude all'uscita di scena.
Eppure questa volta c'è un'atmosfera strana. Il risultato sembra già deciso, neanche quel briciolo di dubbio su chi vincerà: si discute soltanto dell'entità del successo della destra, non del centro-destra. Non è un dettaglio linguistico, ma la sostanza di una proposta politica, per quanto disorganica. Vincerà o stravincerà? Si domandano cittadini, giornalisti, osservatori, gli stessi politici. Se Forza Italia è il partito più moderato ed europeista (anche il più piccolo) della coalizione significa che queste elezioni, prim'ancora della loro celebrazione, hanno già dimostrato che l'Italia in questi ultimi anni è profondamente cambiata non solo dal punto di vista politico-culturale ma, si potrebbe azzardare, antropologico. Aveva torto Indro Montanelli quando, divenuto quasi un progressista, sosteneva che “provare” Berlusconi (e la sua incapacità di governare sovrapponendo i suoi interessi personali a quelli generali) avrebbe significato allontanarlo rapidamente dalla politica per la repentina perdita di consenso. Non è stato così e, anche per i grossolani errori degli avversari (e della sinistra o centro-sinistra in primis), il cavaliere è ancora qui a promettere miracoli nel nome di un liberalismo mai conosciuto né praticato. Ma gli azionisti di maggioranza della coalizione sono, per vari aspetti, persino peggio di lui e non rappresentano di certo il nuovo. Oltre a programmi irrealizzabili e inquietanti (il blocco navale per fermare i migranti, la flat tax che cancella il principio della progressività fiscale e molto altro), Fratelli d'Italia e Lega sono affiliati in Europa a leader e soggetti politici che nella migliore delle ipotesi (in Ungheria) parlano di democrazia illiberale (un ossimoro) e che nelle peggiori si rifanno dichiaratamente a regimi fascisti, come il partito neofranchista Vox in Spagna, invocando una cristianità tanto retriva da considerare “pericoloso” perfino Papa Francesco.
Sembra che nella società italiana e nel sistema politico, in assenza di memoria del più recente passato e con la storia relegata, nell'era dell'attimo, ai margini estremi dell'istruzione, abbiano prevalso valori (o disvalori) che, fino a qualche anno fa, erano propri di una ristretta minoranza ritenuta, a ragione, impresentabile. Vittorio Foa, da vecchio, parlava della nostalgia di un futuro che non avrebbe visto. Era un pensiero poetico ma anche la prova di un atteggiamento verso la vita: curioso, attento, costruttivo, mai rassegnato. Oggi forse è difficile provare sensazioni simili ma non bisogna arrendersi, proprio guardando a chi ha amato la libertà da dietro le sbarre e ha costruito la democrazia mettendo a rischio la propria vita durante la Resistenza che, non si dimentichi, costituisce la radice della nostra Costituzione sebbene qualcuno faccia finta di non saperlo o lo abbia curiosamente dimenticato. Sarà bene rimanere vigili, la restrizione degli spazi di libertà è come l'anestesia prima di un intervento chirurgico: arriva quasi dolcemente, conducendoti in uno stato di totale incoscienza. Neanche te ne accorgi.
Andrea Ricciardi
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