
Una delle prime conseguenze del riavvicinamento tra l'Arabia Saudita e l'Iran è un consussistente scambio di prigionieri catturati dalle parti in guerra nello Yemen. Un passaggio nell'ambito di una possibile pace in questo paese che – dal 2014 – vede una guerra che ha causato centinaia di migliaia di morti, distruzione e sofferenze anche per l'enorme difficolta a reperire cibo e ad ottenere un minimo di assistenza sanitaria. Nella giornata del 14 aprile 318 prigionieri sono stati trasportati tra Aden controllata dal governo e la capitale dei ribelli, Sanaa, altri voli sono avvenuti sabato 15 aprile con cui i ribelli Houthi yemeniti, sostenuti dall'Iran, hanno liberato centinaia di prigionieri [1]. Prima del 14 aprile c'erano stati anche quattro giorni di colloqui tra una delegazione saudita e gli Houthi per il cessate il fuoco.
I rappresentanti di Arabia Saudita e Iran hanno anche convenuto che i team tecnici avrebbero negoziato ulteriori passi, compresa la ripresa dei voli, la concessione dei visti, le visite delle delegazioni ufficiali ma anche aspetti di cooperazione sulla sicurezza.
Nel riavvicinamento tra Riyadh e Teheran è stato decisivo il ruolo di Pechino, senza però tralasciare l'azione diplomatica svolta dal sultanato dell'Oman in questi anni.
Il Presidente Xi Jinping durante la sua visita in Arabia Saudita aveva mosso passi concreti con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e poi con il presidente iraniano Ebrahim Raisi quando lo scorso febbraio era in visita a Pechino. Agli inizi di marzo, nella capitale cinese, i rappresentanti dei due paesi sotto l'egida della diplomazia di Xi annunciavano la normalizzazione dei loro rapporti e un mese dopo hanno concordato la riapertura delle ambasciate ristabilendo definitivamente le relazioni diplomatiche interrotte nel 2016. La rottura avvenne dopo che il leader musulmano sciita Nimr al-Nimr venne giustiziato in Arabia Saudita e subito dopo l'ambasciata saudita di Teheran venne assaltata da manifestanti.
Oltre a possibilità concrete per una pace nello Yemen e ad una maggiore stabilità nell'area del Golfo Persico, è tutto il Medio Oriente a vedere rimescolati gli equilibri tra potenze regionali e globali. A cominciare dal ruolo degli Stati Uniti nell'area che rischia un ridimensionamento a vantaggio della Cina ma soprattutto di Riyadh per la crescita di un ruolo autonomo e di influenza nella regione. Forse l'errore maggiore degli USA è stato commesso quando il Presidente Trump iniziò ad attaccare, fino a ritirare il supporto all'accordo sul nucleare (JCPOA) con l'Iran nel 2018, e ad appiattirsi sulle posizioni di Israele. Sta di fatto che questo riavvicinamento è un indubbio successo degli ayatollah, come scrivono Maria Fantappie e Vali Nasr, È «una vera apertura al mondo arabo, che potrebbe presto essere estesa al Bahrain e all'Egitto» e, inoltre, indebolendo l'influenza degli Stati Uniti nell'area e migliorando i legami con i paesi del Golfo Persico, «ridurranno la minaccia rappresentata dagli Accordi di Abramo mediati dall'amministrazione Trump, che hanno avviato un più stretto coordinamento militare e di intelligence tra Israele, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti (e successivamente esteso a Marocco e Sudan), in tal modo estendere la guerra ombra tra Iran e Israele al Golfo. Sebbene Teheran possa essere disposta ad accettare legami bilaterali tra il GCC e Israele, non potrebbe tollerare un'alleanza militare arabo-israeliana sostenuta dagli Stati Uniti contro di essa» [2].
I vantaggi per l'Arabia Saudita deriverebbero, secondo l'ISPI, dal prevenire ulteriori conflitti pericolosi per la dinastia, «sono infatti molte le variabili ′infiammabili` che potrebbero, combinandosi, dare vita domani a un nuovo teatro di guerra in Medio Oriente. Teheran è a un passo dalla soglia nucleare come affermato dall'AIEA (Organizzazione Internazionale per l'Energia Atomica); Israele –con un esecutivo mai così a destra- torna a ipotizzare l'attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani; Iran e Russia, regimi sotto sanzione, stringono sempre di più la cooperazione militare. In un contesto di tale incertezza, l'Arabia Saudita sceglie così di muoversi, nei confronti dell'incognita Iran, mediante un doppio binario. Da un lato, il regno rafforza le capacità militari, in autonomia o mediante la difesa integrata con gli Stati Uniti. Dall'altro, Riyadh rilancia il dialogo diplomatico con il vicinato» [3].
Michele Giorgio ci ricorda come «per Riyadh il riavvicinamento è parte di una offensiva diplomatica su tutti i fronti che l'ha portata di recente a stabilire rapporti di amicizia (e di sostegno economico) con la Turchia di Erdoğan impensabili fino a qualche anno fa. Ciò non esclude che la monarchia saudita possa aderire agli Accordi di Abramo firmati nel 2020 da quattro paesi arabi con Israele. Ma per quello vuole da Biden cose di eccezionale rilievo, come l'assistenza alla costruzione suo programma nucleare civile. E anche che i palestinesi sotto occupazione israeliana sia indipendenti, questione che Netanyahu vorrebbe aggirare. A Pechino si è confermata più di tutto la volontà dell'Arabia saudita, per decenni alleata di ferro degli Usa, di portare avanti una diplomazia autonoma da Washington, multipolare, sia per il prezzo del greggio che nei rapporti con Russia, Pechino e ora anche Teheran» [4].
L'accordo tra Arabia Saudita e Iran faciliterà il rientro della Siria nel consesso delle nazioni arabe. L'Arabia Saudita si era sempre opposta al rientro nella Lega Araba, da cui è fuori dal 2011, perché l'Iran la sosteneva Damasco. Il 14 aprile in Arabia Saudita si sono incontrati diplomatici di diversi paesi arabi per colloqui sulla Siria. E Israele avrà nuovamente un campo arabo più compatto.
Pechino oltre a mettere qualche bastone tra le ruote degli Stati Uniti e dei suoi alleati vede anche migliorare le chance di sviluppo nell'area del progetto della nuova Via della Seta e degli investimenti in Iran dove è interessata al «piano di Mosca per sviluppare un corridoio di transito attraverso l'Iran che consentirebbe al commercio russo di raggiungere i mercati globali senza utilizzare il Canale di Suez» [5].
L'accordo finirà anche con il consolidare i regimi dei due paesi che avranno maggiori energie per le questioni interne, specialmente in Iran dove da mesi è in corso una rivolta contro le leggi liberticide.
Pasquale Esposito
[1] Hundreds of Houthi prisoners, 16 Saudis freed on day two of swap, 15 aprile 2023
[2] Maria Fantappie e Vali Nasr, A New Order in the Middle East?, 22 marzo 2023
[3] Accordo Arabia Saudita-Iran: ecco cosa cerca Riyadh, 11 marzo 2023
[4] Michele Giorgio, La stretta di mano tra Riyadh e Teheran complica i piani di Usa e Israele, 11 Mar 2023
[5] Maria Fantappie e Vali Nasr, ibidem
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