
I primi secondi del film Al Dio Ignoto scorrono sullo schermo con la preghiera di una donna:
Ancora, prima di partire
Tu, che mi penetri nell'anima
E mi percorri come un nembo,
Inafferrabile congiunto!
Conoscerti voglio e servirti!
Si tratta dell'omonima poesia di Friedrich Nietzsche che ci fanno immergere nel film di Rodolfo Bisatti. Il film ha vinto l'International Cult Film Festival di Bombay e, senza dubbio, meriterebbe ben altri premi anche per i temi che poeticamente affronta.
Racconta di Lucia, donna abbandonata dal marito dopo la morte della figlia. Vive con il figlio Gabriele ed è infermiera nell'hospice per malati terminali a Merano. Lucia conosce un professore, Giulio appassionato di scacchi con il quale si sofferma a parlare quotidianamente e coltiva un rapporto che la rende meno sola. Gabriele, cerca di metabolizzare la sofferenza della perdita della sorella con sport estremi.

La paura della morte. Chi non ne ha mai avuto paura? Freud ne era succube fino al contorto desiderio della stessa. Siamo vulnerabili in bilico e tendiamo a rimuovere “l'ignoto” e la “conoscenza“. Ne “Il settimo sigillo” di Bergman, Antonius vede il Divino nel corpo di tre saltimbanchi (la salvezza). Dio che prima negava, ma al quale si affida al momento del trapasso.
La morte può essere rappresentata in una sorta di poesia quando viviamo il ricordo più vivo quanto più grande lo è dei nostri più cari affetti. L'accettazione dell'altro è accettazione della morte.
Nel film, Rodolfo Bisatti affronta i temi magistralmente e con grande umiltà che solo chi è poeta e filosofo nell'animo può rappresentare. È risveglio di coscienza, quella coscienza che tutti dovremmo avere nei confronti di chi è anziano e nel fine vita.
Tema di cui si parla molto poco e male, ma che la società dovrebbe prendere in considerazione per la delicatezza del dramma personale di ciascuno, in quanto siamo tutti davanti a una porta che si apre inaspettata, all'improvviso e di cui dovremmo avere consapevolezza.
Magari con la stessa autodeterminazione di Giulio (un perfetto Paolo Bonacelli) nell'insegnamento filosofico della vita, nella preparazione al passaggio. Magari con la speranza di Lucia (Laura Pellicciari) nell'abbraccio ai malati terminali nell'hospice.
Il mea culpa in acqua, dopo la morte della figlia, è una figura straziante nella sua poetica, non dimenticando l'elaborazione del lutto dell'adolescente Gabriele (Francesco Cerutti) che nella realtà il lutto della sorella quindicenne lo ha realmente vissuto.
Il film scorre nelle vene come una preghiera da farsi giorno dopo giorno nella libertà che inizia lì quando finisce la sofferenza. Al Dio Ignoto è un atto d'amore.
Per chiudere lascio al regista una considerazione ad una mia domanda: tracciando una poetica nella tua topografia di confine qual è il confine tra la vita e la morte?
La poesia in tutti i sensi perché è lì che viaggi e non sai apertamente se vivrai o morirai – ma racconti al mondo le sfumature e i riverberi nelle tue scelte.
Maria Grazia Galatà
Al dio ignoto
paese: Italia/Germania
anno: 2020
durata: 120′
regia di: Rodolfo Bisatti
cast: Paolo Bonacelli, Laura Pellicciari, Krista Posch, Mario Pigatto, Francesco Cerutti, Erika Leeg
sceneggiatura: Rodolfo Bisatti
fotografia: Debora Vrizzi, Mattia Visintini
montaggio: Yuki Bagnardi
musica: Sainkho Namtchylak
produttore: Laura Pellicciari, René Asch, Angelica Mohr
produzione: Kineofilm, con il contributo del MiBACT, Films In Motion, Morefilms
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