Algeria, elezioni aprile 2014. Il regime resta una “scatola nera”.

Algeria

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Il 17 aprile prossimo andrà in onda l'ennesima fiction in . Stiamo parlando delle elezioni presidenziali che, come annunciato qualche settimana fa, vedranno candidato (e vincitore) per la quarta volta l'attuale Presidente . Il settantaseienne presidente, nonostante le  sue condizioni di salute, 15 anni sulla poltrona più alta e 16 anni come Ministro degli Esteri fino al 1979 è l'emblema di quello che gli algerini chiamano “le pouvoir” e cioè il sistema di potere che domina,  senza soluzione di continuità, la politica e l'economia. Un'economia fortemente ancorata alla proprietà pubblica e all'industria degli idrocarburi.

In effetti il potere ad Algeri ha due matrici, spesso in contrasto se non addirittura in conflitto aperto, quella civile con a capo il presidente e quella militare al cui vertice da venti anni c'è il generale Muhammad Mediène. La rivalità tra i due e i rispettivi gruppi «domina da anni le dinamiche algerine ed è emersa anche in relazione al recente scandalo che ha colpito la Sonatrach, la società nazionale degli idrocarburi e prima compagnia energetica del continente» [1]. Uno scontro che però non ha mai messo in pericolo l'impalcatura complessiva dell'oligarchia autoritaria. Solo forze “esterne” come quelle del terrorismo islamico hanno potuto farla tremare, ma a costo di innumerevoli vite umane e di altrettanta violenza di stato sono state messa a tacere.

La primavera araba in Algeria di fatto non ha prodotto nessun risultato concreto e questo nonostante focolai di rivolta costantemente accesi  in varie zone del paese e per varie ragioni, da quelle etniche a quelle economiche, tanto che la polizia registrava «11mila rivolte o esplosioni di malcontento pubblico di qualche tipo nel 2011» e da allora è sempre peggio [2].

Ad aprile si confronteranno sei dei dieci che avevano presentato l'ammissione al Consiglio costituzionale algerino. Prima ancora della decisione del Consiglio, all'annuncio della candidatura dell'attuale capo dello Stato, Ahmed Benbitour ex Primo Ministro e  Mohand Tahar Yala generale in pensione avevano rinunciato accusando di fatto l'impossibilità di un confronto vero.
Oltre al presidente uscente che, per consentire la sua rielezione dopo il secondo mandato, ha cambiato la Costituzione nel 2008, troviamo: Ali Benflis che è stato capo del governo con Bouteflika e si era già candidato nel 2004 e ritenuto come l'unico con chance di vittoria, Abdelaziz Belaid del Fronte dell'Avvenire (Front El Moustakbal), del (FNA) candidato nel 2009, il ministro del tesoro , , attivista dei diritti umani e capo del partito Ahd 54 e già candidato nel 2004 e nel 2009 e, unica donna, dirigente del partito dei Lavoratori e già candidata nel 2004 e nel 2009.
La campagna elettorale partirà il 23 marzo e verrà diretta da Abdelmalek Sellal attuale Primo ministro e che lascia il suo incarico all'attuale ministro dell'Energia e Youcef Yousfi che ne assume l'interim in attesa di un nuovo primo ministro.
Come molte delle elezioni che si svolgono nei cinque  continente la partecipazione resterà bassa e quindi altrettanto bassa la rappresentatività dell'eletta/o e altrettanto basso il livello di democraticità dei sistemi stessi.
E nulla cambierà finché il regime autoritario, quello che il politologo ha definito una “scatola nera”, non vedrà cadere i capisaldi con cui avviene la selezione e la scelta dei rappresentanti eletti e cioè clientelismo (“versione moderna del tribalismo”, la definizione è sempre di Hachemaoui) [3],
maraboutisme” (fedeltà assoluta al capo della tribù o del clan) e corruzione.

Pasquale Esposito

[1] “Algeria. L'eterno scontro tra le due élite al potere”, www.lantidiplomatico.it, 6 febbraio 2014
[2] Il dato è riportato dalla giornalista del NY Times Carlotta Gall in Andrea Ranelletti, “Ristrutturare l'economia algerina”, www.lindro.it, 13 novembre 2013
[3] Renaud de Rochebrune, “Algérie: radioscopie d'une gouvernance opaque”, www.jeuneafrique.com, 13 marzo 2014

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