
Gradita sorpresa all'ultimo Festival del cinema di Berlino, Almanya è una commedia divertente (ed a tratti un po' malinconica) che parla di immigrazione ed integrazione, legami famigliari ed attaccamento ai luoghi d'origine, riflettendo con ironia ed intelligenza sul tema della conservazione delle proprie radici da un lato e della perdita d'identità culturale dall'altro, in un mondo multietnico in cui la mescolanza arricchisce ma può anche provocare smarrimento.
Così, una famiglia turca emigrata in Germania, sradicata dalla sua terra e trapiantata in una realtà immaginata (e, al primo impatto, vissuta) come ostile (i tedeschi sono miscredenti, mangiano carne di maiale ed anche umana – sono alcuni dei pregiudizi con cui Muhamed si prepara a trasferirsi in Europa), si trova presto a dover fare i conti con un'imprevista evoluzione, un cambiamento di pelle inatteso che se, da un lato, è auspicato indice di un ritrovato equilibrio nella nuova condizione, dall'altro allarma e disorienta. E l'assimilazione, soprattutto da parte dei bambini, dei costumi occidentali allarma Hüseyin, il capofamiglia, a tal punto da spingerlo a riportare in patria la famiglia per le vacanze in modo da ritrovare lo spirito d'un tempo e rinvigorire il legame dei suoi con le tradizioni anatoliche, superando così la paura del cambiamento e la sensazione di perdita di gravità che scaturiscono dal distacco dal proprio universo culturale ed emozionale. Tutto, però, è inutile ormai. Non si può tornare indietro, non si possono riportare le lancette dell'orologio agli anni che furono.
La rievocazione del ricordo, il ruolo della tradizione quale componente di fondo di ciò che si è e del passato come imprescindibile elemento d'identità (la famiglia non è semplicemente un'unione tra persone, è qualcosa che ha una storia dietro – dirà Canan al suo fidanzato inglese) è allora tema preponderante di una narrazione sempre in bilico tra un'istanza di crescita ed un bisogno di conservazione, una propensione al cambiamento ed una tendenza all'immobilismo. E proprio da questa tensione tra passato e presente (e quindi anche, in un'accezione più squisitamente spaziale, tra oriente ed occidente), sguardo retrospettivo ed immersione nell'esistente, discende quella rigenerazione umana e culturale dell'individuo (visto come una sorta di terzium genus: non più cittadino del paese di provenienza, non solo cittadino del luogo in cui vive attualmente, ma sintesi tra culture e mondi differenti) che consente la realizzazione di un nuovo tessuto sociale e l'integrazione, appunto, tra sensibilità, religioni e tradizioni diverse. “Ma allora cosa siamo, turchi o tedeschi?”, chiede il piccolo Cenk durante un pranzo di famiglia. “Turchi”, gli risponde il padre; “Tedeschi”, dice contemporaneamente la madre. Si può essere entrambe le cose insieme, sintetizzerà felicemente la cugina.
Nella seconda parte del film (meno brillante della prima), la famiglia emigrata tornerà nuovamente in Turchia per trascorrere insieme un periodo di vacanza nella casa acquistata da Hüseyin (che, a detta di quest'ultimo, necessita di una semplice ristrutturazione). Ma, con somma sorpresa di tutti, la casa turca è (emblematicamente) composta dalla sola facciata anteriore. Aperta la porta d'ingresso, cioè, non ci sono pareti, non ci sono mobili, non c'è soffitto; manca il pavimento e si riesce appena ad intuire il perimetro della casa dalle fondamenta che emergono dalla nuda terra. Riprendendo quanto detto sopra, la casa può essere allora considerata simbolo della condizione vissuta dai protagonisti della storia. È un po' come se il volto, l'aspetto esteriore di costoro fosse l'unica cosa rimasta della loro identità turca (così come della casa acquistata da Hüseyin rimane in piedi soltanto la parte esterna), avendo questi ormai assunto, chi più chi meno, una diversa identità: non più soltanto turchi, e nemmeno solo tedeschi.
Numerose le gag memorabili nel corso del film. Da antologia quella della consegna dei passaporti nel sogno del capofamiglia e quella dell'incubo del piccolo Muhamed, il giorno prima della partenza, in un paradiso di coca-cola in cui aleggia lo spettro di un crocifisso versione horror.
Gianfranco Raffaeli
Scheda del film:
Titolo originale: Almanya – Genere: Commedia – Origine/Anno: Germania /2011 – Regia: Yasemin Samdereli – Sceneggiatura: Yasemin Samdereli, Nesrin Samdereli – Interpreti: Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Demet Gül, Aylin Tezel, Denis Moschitto, Petra Schmidt-Schaller, Rafael Koussouris, Aliya Artuc, Kaan Aydogdu – Montaggio: Andrea Mertens – Fotografia: The Chau Ngo – Scenografia: Alexander Manasse – Costumi: Steffi Bruhn – Musiche: Gerd
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