
In una pubblicità televisiva sarà stato notato il viso più che preoccupato di una signora che si era sottoposta ad analisi cliniche di controllo per valutare i livelli del suo colesterolo. L’intento era di magnificare le caratteristiche di un prodotto alimentare che aiuterebbe a controllarne la presenza. Nella pubblicità, per pochi milligrammi in più sui valori normali, l’impressione che arriva è che sembra si stiano per scatenare, a causa di quei valori, le peggiori condizioni per l’esistenza di chi vi incorre. Sicuramente esagerata la manifestazione che, ovviamente mira a catturare attenzione per indurre maggiori vendite del prodotto. Per il colesterolo però, già abbastanza demonizzato e troppe volte purtroppo a ragione, arrivano ulteriori conferme di preoccupazione quando negli individui eccede nelle sue concentrazioni e si accumula nei distretti sbagliati. Proprio come recenti studi rivelano accada per il colesterolo nel distretto cerebrale. La causa è riconducibile ad alcuni geni mutati che lo indicherebbero come un responsabile della formazione delle placche insolubili che bloccano la formazione di mielina, a protezione dei neuroni, tanto da causare demenza e la malattia di Alzheimer.
Negli ultimi anni il colesterolo a più riprese era comunque stato studiato e considerato inizialmente come facilitatore sulla formazione delle placche amiloidee ed anche come corresponsabile delle patologie vascolari legate all’aterosclerosi. La sua principale causa dell’effetto di notorietà era per il suo ruolo, universalmente accettato come una litania, di maggiore causa di aumento del rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Infarto ed ictus i nomi che hanno terrorizzato con numeri a dir il vero che impressionano come malattie causa di morte; la più alta nella nostra nazione. Quel che viene adesso riproposto per il colesterolo presente nel distretto cerebrale è un ruolo di acceleratore nel processo di aggregazione delle placche di proteina beta-amiloide.
Le gravi conseguenze della formazioni delle placche, causa della malattia di Alzheimer, hanno costantemente, e su più fronti, impegnato la comunità scientifica nel tentativo di avere quelle certezze che tuttora mancano come pure le conoscenze sulle cause ed i possibili rimedi ad esse. Le gravi condizioni in cui i malati e le loro famiglie vengono progressivamente proiettati, l’alto numero di chi vi incorre, sono la ragione per la quale è obbligatorio intensificare studi su ipotesi risolutive.
I pazienti accusano sintomatologie che da piccole discrepanze nella memoria più recente, da difficoltà del linguaggio, progrediscono fino a mutamenti di umore e poi, in modo più preoccupante e devastante, peggiorano fino ad assumere incapacità nel quotidiano e in atteggiamenti autolesionisti. Alta quindi l’importanza che assume il lavoro pubblicato da Nature il 16 novembre scorso a firma di Elie Dolgin [1]. La ricerca riporta come una variazione di un gene dell’Apolipoproteina E (ApoE), uno dei 5 tipi di apolipoproteine contrassegnate dalle lettere A-B-C-D-E, possa essere messa in relazione al rischio di Alzheimer. Il gruppo delle apoliproteine hanno importanza principale nel metabolismo lipidico, nella formazione della struttura delle lipoproteine e nella possibilità di legarsi ai recettori a vari livelli.
L’ApoE è una delle proteine deputate al trasporto dei grassi nel circolo ematico, nello specifico chilomicroni, lipoproteine a maggior diametro e minore densità che nell’intestino recuperano trigliceridi e colesterolo degli alimenti. Veicolano anche le lipoproteine ad alta densità (HDL) meglio note come colesterolo buono e le lipoproteine a bassissima densità (VLDL). Si crede quindi che le ApoE possano essere responsabili del consistente aumentato rischio a sviluppare la malattia di Alzheimer ( AD).
L’Apolipoproteina E è codificata dal gene ApoE che esiste in tre forme: la E2, la E3 e la E4; questi rappresentano gli alleli che vengono ereditati in coppia quindi in ogni persona possono essere presenti due delle tre forme di alleli. La presenza di una o due forme dell’allele E4 può discriminare il livello di rischio che, nella forma omozigote, è maggiore. L’altra ipotesi è che la E2, molto più rara, possa proteggere dall’alzheimer mentre la E3 è del tutto estranea. La genotipizzazione molecolare della Apolipotroteina E può rappresentare una maniera per una valutazione del rischio che però non è suffragato da controprove che certifichino la certezza della malattia. Attraverso questo esame specialistico, eseguibile solo in laboratori che dispongono di tecniche sofisticate, non di routine, potrebbe essere svelata solo una aumentata probabilità; al momento questo è quanto la comunità scientifica suppone.
Il lavoro pubblicato da Eli Dolgin mostra come la variante genica APOE4 aumenti il rischio di sviluppare Alzheimer di tre volte se ne viene ereditata una sola copia, fino a otto o dodici volte quando è presente in coppia. Questa variante genera una particolare elaborazione del colesterolo nel distretto cerebrale. Il colesterolo è un lipide della classe degli steroidi del quale è la responsabilità dei difetti nelle guaine che ricoprono le fibre nervose e facilitano il passaggio dello stimolo elettrico. Sarebbe dovuto a questo la causa dei deficit sulla memoria e sull’attività cognitiva.
Gli studi di Li-Huei Tsai, neuro scienziata del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, hanno riportato che gli oligodendrociti, le cellule della neuroglia che accumulano il colesterolo, lo fanno in luoghi diversi da dove servirebbe come isolante delle cellule nervose. La protezione delle cellule nervose con la guaina mielinica, è basilare per la trasmissione degli impulsi nervosi; un errore in questo comporterebbe un rallentamento nella trasmissione degli impulsi cosa che comporta un deterioramento della fase cognitiva dei soggetti che ne sono interessati. Vengono anche riferite interazioni tra le proteine codificate da APOE4 e le placche amiloidee il cui prodotto risulterebbero di tipo colloso in modo da condurre i neuroni alla morte. A questi studi sono anche seguite valutazioni su alcune persone decedute che avevano ApoE ed una storia di Alzheimer. Sono state riscontrate nelle cellule cerebrali di questi pazienti, anomalie particolarmente gravi nel metabolismo lipidico. Nella fattispecie si notava che gli oligodendrociti con forme di ApoE accumulavano colesterolo all’interno degli organelli cosa che probabilmente comportava una minore attitudine alla formazione delle guaine mieliniche. L’ipotesi successiva è stata quella di trattare le cellule cerebrali con ApoE con ciclodestrina che induce la rimozione di colesterolo cosa alla quale è seguito il ripristino delle guanine mieliniche negli animali da laboratorio.
In conclusione l’utilizzo di farmaci in grado di ripristinare la giusta presenza di colesterolo ed il suo corretto utilizzo nel cervello può aiutare nella cura della malattia. Vedremo se le nuove proposte farmacologiche di cui è stato annunciato l’uso e la loro disponibilità, le molecole contro le proteine PCSK9 che hanno attività regolatoria sul colesterolo ad esempio, oppure nuove statine o anche altre soluzioni farmacologiche per lo stesso scopo, possano aiutare in questa direzione.
Emidio Maria Di Loreto
Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi necessità sul proprio stato di salute, su modifiche della propria cura o regime alimentare, si consiglia di rivolgersi al proprio medico o dietologo.
[1] -Elie Dolgin, This is how an Alzheimer’s gene ravages the brain, Nature 16 novembre 2022.
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