Ambiente. I venerdì per il futuro che non c’è

cambiamento climatico riscaldamento globale siccità
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Forse ha ragione David Wallace Wells, vice editore della rivista New York, e autore di The Uninhabitable Earth: Life After Warming sui pericoli onnicomprensivi dei cambiamenti climatici. Chi tiene all', e ci mettiamo anche noi, avremmo dovuto essere meno timidi nel denunciare quello che stava e continua ad accadere. Non avrebbero dovuto preoccuparci le accusa di “allarmismo” o di radicali di sinistra. Lui usa addirittura la parola panico [1]. E come dargli torto.

E quando in provincia di Belluno, lo scorso ottobre, milioni di alberi vennero sradicati e distrutti da un vento impetuoso non avremmo dovuto avere uno stato d'ansia violento?

Dovrebbero non dormire per gli incubi tutti coloro che attraverso l'agricoltura intensiva e industriale stanno mettendo a rischio la vita delle persone; con i cambiamenti climatici in corso e senza la , con 26mila specie a rischio tra piante e animali come denuncia la FAO, la sarà un chimera [2].

Perché perdere due anni di vita a causa dell'inquinamento atmosferico sempre più causa di morte prematura in Europa? Secondo nuove stime quasi 800.000 persone muoiono prematuramente ogni anno nel nostro continente e in maniera superiore alla media globale [3].

L'analisi fatta dalla Ellen MacArtur Foundation prevede che entro il 2050 la negli oceani supererà la quantità di pesce. Immense isole di plastica si formano e si espandano a dismisura e tra queste la è due volte più grande del Texas e si trova tra le Hawaii e la California [4]. Mangiamo già plastica da tempo perché tracce di plastica si trovano nella catena alimentare.

Speriamo che a generare quel panico salutare sia tutta la bella gioventù che oggi in centinaia migliaia di piazze dei cinque continenti parteciperanno al #Fridaysforfuture. Seguiranno l'esempio della ragazza svedese  Greta Thunberg che il 20 agosto 2018 iniziava a protestare davanti al Parlamento svedese per avere un futuro. Un futuro che non ci sarà se non si metterà mano in maniera radicale al modello di sviluppo: non basta riciclare, bisogna produrre meno e consumare meno, produrre meglio e consumare meglio.

Per ora sono quelli più deboli a pagare le onseguenze dei cambiamenti climatici, ma come dice una canzone, “If you tolerate this then your children will be next”.
E se tollerate questo i vostri figli saranno i prossimi.
Ciro Ardiglione

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