
Giorgio Gaber è stato indubbiamente uno degli artisti più geniali e influenti della seconda metà del secolo scorso.
Nato a Milano nel gennaio del 1939, Gaber esordisce come chitarrista già nel 1954, compare in televisione come membro del complesso di Adriano Celentano nel 1957, nel 1958 incide il suo primo disco come solista (Ciao ti dirò, di Calabrese e Reverberi, uno dei primissimi brani rock in lingua italiana), nel 1959 forma il duo I due corsari con l’amico Enzo Jannacci e nel 1960 raggiunge definitivamente il successo con il brano Non arrossire e quindi con La ballata del Cerutti e Porta Romana, su testi dello scrittore e drammaturgo milanese Umberto Simonetta.
Durante l’intero decennio la sua popolarità aumenta sempre di più: partecipa a quattro edizioni del Festival di Sanremo, gira diversi Caroselli, è protagonista, in qualità di conduttore e interprete, di numerose trasmissioni televisive, incide canzoni di grande successo (Torpedo blu, Com’è bella la città, Barbera e champagne).
Nel 1970, inaspettatamente, all’apice della popolarità, Gaber abbandona il mondo della televisione e della musica leggera, decide di dedicarsi al teatro e inventa una nuova formula di spettacolo: il teatro canzone, un’originale e innovativa forma d’arte che alterna parti cantate a monologhi e racconti mescolando così teatro, cabaret e canzoni in una combinazione avvincente che gli consente anche di affrontare, in modo ironico e apparentemente leggero e scanzonato, tematiche di forte impatto sociale.
In un’intervista del 1993 Gaber ricorderà e motiverà così questa sua scelta: “… fare televisione era diventato dequalificante. Mi nauseava un po’ una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi, d’accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni. Mi sembrò che l’attività teatrale riacquistasse un senso alla luce del mio rifiuto di un certo narcisismo”.
Con la fondamentale collaborazione dell’amico pittore Sandro Luporini, che diventa coautore dei testi, nascono spettacoli che rivelano un Gaber affabulatore e istrione, dotato di una dirompente presenza scenica, capace di essere nel contempo ironico, divertente, sentimentale così come critico, caustico, pungente e sferzante fino all’invettiva.
All’esordio de Il signor G (descritto da Gaber come “un signore un po’ anonimo, un signore come tutti che però mi assomigliava, in bilico fra un desiderio di reale cambiamento e un inserimento nella società”) seguiranno spettacoli di sempre maggior successo: I borghesi, Dialogo tra un impegnato e un non so, Far finta di essere sani, Anche per oggi non si vola, Libertà obbligatoria, Polli d’allevamento, Anni affollati, Io se fossi Gaber, Il Grigio e infine Un’idiozia conquistata a fatica con il quale termina la trentennale collaborazione con Luporini.

E in trent’anni di spettacoli portati in giro per l’Italia Gaber ha attraversato e raccontato la storia del nostro paese, ha assistito alle molteplici trasformazioni della società e al modo di rapportarsi con essa da parte degli italiani, ha messo alla berlina i loro vizi, si è fatto interprete dei loro sogni, ne ha stigmatizzato errori e debolezze e ha contribuito a risvegliarne e stimolarne le coscienze.
Da tempo malato di un tumore ai polmoni, Giorgio Gaber muore nel pomeriggio del Capodanno 2003.
Gaber è stato un innovatore, un inventore, un uomo e un artista capace di mettere sempre tutto in discussione, a cominciare da se stesso, di utilizzare sempre dubbi e interrogativi quali insostituibili metodi di analisi della società, di elevare l’etica a irrinunciabile e non negoziabile regola di vita.
Stefano Orlandi nasce a Varese nel novembre del 1967, si diploma come attore nel 1996 presso la Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi di Milano e dal 1998 è socio della Compagnia teatrale A.T.I.R. (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca) per la quale recita in numerosi spettacoli di vari autori, da Euripide e Aristofane a Goethe e Shakespeare, da Camus e Lorca a Checov e Baricco.
Le sue doti di cantante e intrattenitore lo inducono a scrivere e interpretare gli spettacoli G (semplicemente) nel 2004, con canzoni e monologhi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini; Roba minima s’intend nel 2008, una sorta di concerto “malincomico” su canzoni di Enzo Jannacci; Smisurata preghiera nel 2009, con canzoni di Fabrizio De André accostate a testi di vari poeti. Questi tre spettacoli sono stati più volte replicati nel corso degli anni rivelando in Orlandi un sorprendente e camaleontico talento interpretativo, doti canore non indifferenti e una coraggiosa e molto personale capacità di rivisitare e contestualizzare con efficaci accostamenti il repertorio di artisti tanto differenti fra loro quanto estremamente complessi e impegnativi.
A ulteriore riprova del suo eclettismo e delle sue notevoli abilità non solo attoriali ma di uomo di spettacolo e artista a tutto tondo, Orlandi dal 2010 fa parte della Compagnia Nina’s Drag Queens, composta da attori e danzatori con i quali si esibisce in diverse rappresentazioni più volte replicate con successo. Occorre infine ricordare la sua collaborazione con l’Università dell’Insubria di Varese, presso la quale conduce un laboratorio teatrale per il corso di laurea per Educatori professionali, e l’attività didattica svolta presso diverse scuole di teatro.
Per la realizzazione di Anche per oggi non si muore – Lo strano caso del signor G, messo in scena al Teatro Gerolamo di Milano, Stefano Orlandi rimette mano al suo precedente spettacolo G (semplicemente) e, con il supporto di Massimo Betti alla chitarra, di Stefano Fascioli al contrabbasso e di Omar Nedjari alla regia, riporta in vita il teatro canzone di Gaber ripercorrendo alcune tra le tappe principali della sua produzione e tributandogli un affettuoso e sentito omaggio.
Si immagina che il signor G, ormai orfano del suo autore, si aggiri per i teatri interrompendo le rappresentazioni in corso per raccontare in breve la sua storia e con la volontà di porre fine alla sua ormai inutile esistenza di personaggio. Eccolo quindi comparire in mezzo al pubblico del Teatro Gerolamo, guadagnare il palco mentre gli ultimi spettatori stanno ancora prendendo posto, interrompere un improbabile concerto di musica contemporanea e convincere i due musicisti a fornirgli un sottofondo musicale per il breve racconto della sua vita, dalla nascita al tentato suicidio, rappresentando le sue incertezze e contraddizioni, le sue paure e le sue lotte, i suoi momenti di tenerezza e innamoramento, i suoi entusiasmi e le sue frustrazioni, il suo spaesamento in una società nella quale fatica sempre più a riconoscersi e a trovare una propria dimensione.
Orlandi è molto convincente nel riproporre, a volte per intero, a volte solo in parte, Il signor G nasce, I borghesi, Pressione bassa, Oh Madonnina dei dolori, Lo shampoo, Oh mamma, La libertà. Ma è addirittura straordinario nel legare i brani musicali con una serie di monologhi recitati con eccezionale trasporto e con una mimica facciale e gestuale davvero degna di nota.
Con il solo aiuto di un impermeabile, di un cappello e di un tubetto di pillole che continua a ingoiare e che si riveleranno semplici mentine per l’alito e non barbiturici con i quali suicidarsi, Orlandi riempie la scena con grande maestria e cattura l’attenzione del pubblico senza concedersi pause, in un crescendo sempre più drammatico fino al fallito suicidio. A questo punto il signor G, sulle note e i versi di C’è solo la strada, abbandona la scena.
C’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza. C’è solo la voglia e il bisogno di uscire, di esporsi nella strada e nella piazza. Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo. Bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo.
Chiusura poetica ed estremamente significativa di uno spettacolo di forte impatto emotivo, condotto da Orlandi con rigore, partecipazione e notevolissima abilità interpretativa. Prima dei calorosi applausi finale c’è ancora il tempo per una talentuosa e virtuosistica interpretazione di Quello che perde i pezzi, tratto dallo spettacolo del 1973 Far finta di essere sani.
Per riproporre il repertorio del teatro canzone di Gaber occorre una buona dose di coraggio, consapevolezza e fiducia nelle proprie capacità espressive e fors’anche un pizzico di incoscienza. Orlandi supera brillantemente la prova affrontando il compito con umiltà e profondo rispetto, senza mai cadere nella facile trappola dell’imitazione, interpretando i brani cantati e i monologhi con sincera partecipazione, riuscendo a mantenersi fedele all’originale e, nel contempo, risultando personale nella riproposizione.
Appare evidente, in ogni momento dello spettacolo, l’amore e l’ammirazione nei confronti del repertorio gaberiano ma anche la convinta condivisione degli importanti contenuti dello stesso. E’ forse questo il motivo per cui Orlandi riesce a ricordarci e a omaggiare davvero la figura di un artista che ha saputo ritrarre con sincerità e coerenza i costumi, le abitudini, le preoccupazioni e le trasformazioni, i vizi e i sogni propri della società italiana negli ultimi trent’anni del secolo scorso. E con questo suo spettacolo Stefano Orlandi ci fa toccare con mano l’assoluta attualità e contemporaneità del messaggio artistico e umano di Giorgio Gaber.
GianLuigi Bozzi
Teatro Gerolamo – Milano
fino a domenica 5 dicembre 2021
ANCHE PER OGGI NON SI MUORE
Lo strano caso del Signor G
regia Omar Nedjari
con Stefano Orlandi
chitarra Massimo Betti
contrabbasso Stefano Fascioli
scene e costumi Maria Paola Di Francesco
produzione Atir
durata spettacolo: 80 minuti
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