
“Voglio essere Barbie. Quella puttana ha tutto”. Recitava così una spudorata t-shirt americana, recitava queste mortificanti parole, il cui significato recondito ha provato a contaminare la crescita di una generazione di potenziali future baby prostitute [1].
Ne parla Loredana Lipperini nel suo libro “Ancora dalla parte delle bambine”, che stimola riflessioni piuttosto allarmanti sulla responsabilità del marketing nell'ambito della differenziazione dei giocattoli per bambini.
L'analisi si basa sul fatto che il marketing stia palesemente suggerendo ai bambini giocattoli differenti rispetto ai quelli creati per le bambine.
Per esempio si è soliti regalare alla femmina oggetti prettamente domestici e casalinghi, ancora meglio se colorati di rosa, come i peluche, le bambole che accudiscono i neonati, le bambole spose, le bambole infermiere, le bambole che stirano e ovviamente le bambole che cucinano.
Insomma il marketing propone alle bambine preferibilmente giochi circoscritti nel recinto della casa, dotati di oggetti già semi costruiti e che quindi non necessitano di particolari sforzi intellettuali da parte delle femminucce, neanche quando il gioco richiede un processo di costruzione del gioco stesso.
Ma ciò che stupisce di più è il caso di una marca molto famosa che produce giochi intelligenti, attraverso un modello di domande a quiz, che ha deciso di differenziare macroscopicamente lo stesso gioco per i due generi.
Ci si è accorti che i quiz proposti alle bambine si basavano su temi molto frivoli come la moda, le feste o il diario, mentre il modello elaborato per i maschi conteneva domande su argomenti molto più articolati come i numeri, la logica ed i mestieri.
È incomprensibile, ma sembra che al maschio sia richiesto un impegno intellettuale, mentre alla femmina no.
Un altro caso eclatante citato nel libro, riguarda un'altra nota azienda di “costruzioni” per ragazzi che ha creato per le bambine giocattoli facilmente realizzabili in poche ed intuitive azioni, mentre ai bambini propone da sempre la costruzione di infrastrutture complesse che possano stimolare ragionamenti molteplici ed incoraggiare una sana competizione.
Dunque il marketing sembra partire dall'assioma, secondo il quale i bambini e le bambine desiderino prodotti diversi. E la conferma arriva sfogliando qualsiasi rivista, per accorgerci che la pubblicità tende a proporre dogmaticamente dei modelli stereotipati e differenziati tra bambini e bambine, rischiando di influenzare la psicologia evolutiva dei bambini stessi.
Come mai nelle pubblicità le bambine vengono spesso ritratte in spazi chiusi, mentre i bambini vengono rappresentati mentre corrono in spazi aperti o mentre costruiscono oggetti?
Questo criterio adottato dai media e dalle aziende che producono giocattoli rischia di condizionare nel bambino quelle categorie di maschio e di femmina che tendono a svilupparsi già a partire dai cinque anni.
I bambini infatti elaborano dei modelli su come ci si aspetta che si debbano comportare a seconda del sesso, ed assorbono quindi questi rigidi stereotipi principalmente dai media. “Se il presupposto è che la pubblicità non anticipi ma raccolga quanto già esiste, dobbiamo dedurre che nel mondo reale sia ancora profondamente radicata una visione che differenzia i due sessi secondo antiche simbologie” [2].
Infatti si continua ad assegnare al genere maschile il rischio, l'avventura, l'esplorazione e il dominio del mondo esterno, mentre a quello femminile la seduzione e l'attesa negli spazi chiusi.
Questi rigidi luoghi comuni anacronistici, si radicano purtroppo nelle coscienze dei bambini, influenzando le loro relazioni sociali ed i loro comportamenti.
C'è chi sostiene un principio alternativo, come il professor Johannes Fromme dell'università di Magdeburgo che nel 2003 osservava che “all'inizio maschi e femmine presentano scarse differenze di comportamenti: ma che crescendo e dunque essendo sottoposti ad altre influenze e adeguandosi ai modelli dati , differenziano altre strade” [3].
Invece il marketing sembra proporre alle bambine un duplice modello femminile che prevede il doppio imperativo: devi piacere a tutti i costi e devi accudire la tua famiglia.
Ci si domanda: alle femmine si continua regalare l'”intramontabile” bambola per imparare a piacere a tutti i costi?
Ma chi è la bambola se non la statuaria bambola che rappresenta la donna ideale di un certo egocentrico sguardo maschile? Quali idee prendono forma nella mente delle bambine che giocano con una bambola sexy come un'adulta, asessuata come un giocattolo e che sembra il trionfo del soft-porno anoressico? Che concezione della donna può nascere nella testa delle bambine che giocano con una bambola fatta di seni finti e che sembra incarnare irrimediabilmente l'idea di donna bella, muta e sigillata?
Se ne deduce quindi che il marketing imponga alle donne due dogmi: sedurre il mondo attraverso il proprio corpo perfetto, oppure accudire ed amare il mondo incondizionatamente, in virtù di un indiscutibile istinto materno.
Gli uomini, invece, il mondo lo devono dominare.
Le donne non chiedono di dominare obbligatoriamente ciò che le circonda. Hanno diritto a gestire un'azienda o governare un paese quando lo meritano.
E non solo, l'educazione conservatrice o una sovra-esposizione ai media non devono imprigionarle negli spazi circoscritti delle categorie mentali. È per questo che i genitori, i responsabili marketing, le case produttrici di giocattoli ed i media dovrebbero assumersi una maggiore responsabilità affinché i bambini insieme alle bambine possano iniziare a confrontarsi su un terreno neutro, in una dimensione del gioco aperta e libera dai preconcetti, in cui possano sfidarsi alla pari. E non è detto che vincano i maschi.
Bianca Tor
[1] Loredana Lipperini, “Ancora dalla parte delle bambine”, Feltrinelli 2010, pag. 126
[2] Loredana Lipperini, ibidem, pag. 98
[3] Loredana Lipperini, ibidem, pag. 133
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