
Enorme successo di pubblico per i primi giorni di “Warhol.Vetrine”, la mostra sul maestro della pop art inaugurata lo scorso 18 aprile e in esposizione fino al 20 luglio al PAN – Palazzo delle Arti di Napoli, curata da Achille Bonito Oliva e organizzata da “Spirale d'idee”, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.
Con la complicità del ponte pasquale e dell'ingresso gratuito per il primo week end, è stata registrata una presenza di circa cinquemila persone solo il giorno del vernissage, che si è ripetuta nei giorni successivi. Di certo, un'inaugurazione senza precedenti per la città di Napoli, ma i contro non sono stati da meno: code lunghe quattrocento metri, che dal Pan sono arrivate a Piazza Amedeo da un lato, e fino alle Rampe Brancaccio dall'altro; diversi problemi nell'organizzazione hanno costretto le forze dell'ordine ad intervenire, bloccando l'ingresso al pubblico già in fila, diverse ore prima rispetto alla chiusura ufficiale. Inoltre, il pubblico che i primi giorni ha visitato gratuitamente la mostra, ha assistito ad un'esposizione totalmente priva di didascalie, la cui assenza – secondo quanto affermato dagli organizzatori – è stata giustificata come “un ritardo tecnico” al quale avrebbero provveduto a partire da martedì 22 aprile, giorno in cui il pubblico potrà accedere alla rassegna pagando il biglietto d'ingresso. L'inaugurazione, a quel punto, avrebbe dovuto essere posticipata, per permettere a tutti – esperti e non – di capirne molto di più e godere di un lavoro svolto al massimo e nei minimi dettagli, come era giusto venisse fatto per un evento di questo calibro.
Sono ben 180 – tra quadri, disegni, copertine di dischi, polaroid, serigrafie – le opere dell'artista americano di origine slovena messe insieme in occasione della rassegna, il cui titolo nasce da un gruppo di lavori su carta esposti a Palazzo Roccella e tratto dalla serie Golden Shoes, realizzata da Warhol quando, a metà degli anni '50, lavorava come grafico pubblicitario e vetrinista per i negozi di Madison Avenue, a New York.
Secondo il lavoro del curatore, il concept teorico della mostra prende spunto da una riflessione di Friedrich Nietzche contenuta in Pensieri sui pregiudizi morali (1881): “Siamo come vetrine in cui noi stessi continuiamo a disporre in bell'ordine, a nascondere o a mettere in mostra, le pretese qualità che gli altri ci attribuiscono – per ingannarci”. Nella visione nietzscheana, dunque, la morale ha origine dalla paura della considerazione dell'altro. A partire da questo assunto, la mostra indaga il dialogo stabilito da Andy Warhol con il mondo del commercio sin dal suo arrivo a New York – quando comincia a lavorare come vetrinista e a disegnare le copertine dei primi Lp per importanti case discografiche e musicisti, diventate già rare all'inizio degli anni '40.
Lo fa in un contesto, quello di Napoli, che ha intrattenuto con l'artista un'intensa corrispondenza grazie al rapporto nato verso la metà degli anni '70 con intellettuali appartenenti al mondo dell'arte , come Lucio Amelio e Graziella Lonardi Buontempo.
Andy Warhol, Fate Presto 1981 acrilico e serigrafia su tela trittico 270 x 600 cm Collezione Terrae Motus, Reggia di Caserta
Il percorso espositivo, infatti, si snoda attraverso i ritratti dei personaggi noti della città, conosciuti durante i suoi soggiorni in Italia, tra i quali, Peppino di Bernardo, Ernesto Esposito e, ovviamente, Joseph Beuys. Proprio all'amicizia con Lucio Amelio si deve la nascita del suo più importante headline work, Fate presto, che ritrae la prima pagina del Mattino del 24 novembre 1980 con la notizia della catastrofe causata dal terremoto in Irpinia che, successivamente, ispirò una nuova serie di lavori, intitolati Vesuvius, in cui l'immagine della potenza esplosiva del vulcano – appartenente al patrimonio iconografico locale – viene ripetuta ossessivamente con sfumature cromatiche diverse.
Andy Warhol, Vesuvius 1985 acrilico e inchiostro serigrafico su tela 230 x 300 cm Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli ©The Andy Warhol Foundation for the visual Arts inc. by SIAE 2014
La mostra propone, inoltre, la serie Ladies and Gentleman del 1975, mettendo in risalto fenomeni della realtà partenopea come i “femminelli”; la storica serie Marilyn del 1967 e quella del 1985 firmata da Warhol con la dicitura Marilyn this is not by me, per dare risalto ad elementi (ad esempio, la produzione dei falsi) che nella società di massa non sono più avvertiti come un peccato, ma come un esercizio di adeguamento a modelli comportamentali ormai diffusi. L'arte diventa il momento di esibizione del sogno, della realtà proibita, la pratica che mette in scena lo stile basso delle immagini promosse dai mezzi di comunicazione, dalla pubblicità e dall'industria americana.
Andy Warhol, Drag Queen 1975 PP serigrafia a colori su carta stampata fronte e retro 94,9 x 74,9 cm collezione privata
A chiudere la rassegna, a tal proposito, sono le serigrafie delle Campbell's soup e dei Camoufflage, scatole scultura e t'shirt realizzate dalla Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, in sintonia con la poetica dell'artista che realizza il proprio sogno di popolarità attraverso la riproducibilità e la moltiplicazione seriale del proprio lavoro, diventando egli stesso, parte di quella feticizzazione dell'oggetto-merce che ha attraversato tutta la sua opera.
La mostra crea così un fil rouge tra l'underground multirazziale di New York e l'esplosiva vitalità di Napoli, un territorio sempre in bilico tra degrado e bellezza, tradizione e contemporaneità, morte e rinascita. Ed è lo stesso Warhol a confermarlo: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come a New York. Quello che preferisco di più a Napoli è visitare tutte le vecchie famiglie nei loro vecchi palazzi che sembrano stare in piedi tenuti insieme da una corda, dando quasi impressione di voler cadere in mare da un momento all'altro. A Napoli c'è anche il pesce migliore, la migliore pastasciutta ed il vino migliore. Ritengo che il Vesuvio sia molto più di un grande mito, è una cosa terribilmente reale”.
Angelica Falcone
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