Anna: un racconto per guardare oltre

Marco Masoni Sguardo al futuro

history 10 minuti di lettura

Cos'è la per me? È un argomento molto complicato e difficile. Lo è sempre stato, ma posso dire che grazie a un lungo percorso di consapevolezza, adesso ho raggiunto un piacevole equilibrio, evviva! In passato non è stato facile, anzi, la sessualità ti mette in continuo confronto con il tuo aspetto e con la tua intimità. Ho un corpo che non ho mai accettato fino in fondo, non è facile accettare un corpo con dei difetti, con delle cicatrici, con delle evidenti malformazioni. Il rapporto con il mio fisico e la mia inizia quarantatré anni fa, coincide con la mia nascita. Una malattia congenita dal nome strano, artogriposi multipla congenita, ha portato ad una serie di malformazioni agli arti e alle articolazioni.  Fin da quando sono nata, il mio corpo è stato oggetto di cure, di interventi ortopedici, di sedute di fisioterapia, il tutto accompagnato da fatica e sofferenza fisica. Il primo intervento è stato a quaranta giorni di vita e l'ultimo a tredici anni. Poi all'età di diciassette anni, in piena adolescenza, ho portato un corsetto alla schiena in cui mi sentivo costretta in un guscio. In più, ho un cammino molto complicato con due bastoni e utilizzo la carrozzina. Anche questi ausili, indispensabili per i miei spostamenti, hanno avuto un forte impatto sul mio aspetto e immaginavo che, essendo un problema per me, lo fosse anche per gli altri. Tutto questo che ho raccontato è stato assolutamente necessario per la mia salute e per il raggiungimento della mia autonomia, ma purtroppo non è stato di aiuto nelle mie relazioni con i ragazzi, che sono avvenute molto avanti negli anni.

Nonostante avessi una vita sociale attiva, ho sempre avuto tanti amiche e amici che non mi hanno mai fatto pesare la mia disabilità, non mi sentivo attraente. Già è difficile accettarsi in adolescenza, figuriamoci con dei difetti così evidenti.

In più vedevo le mie amiche che avevano le loro esperienze, le loro prime cotte, i loro innamoramenti, per loro ero anche una buona ascoltatrice, da una parte ero felice di sentirmi utile ma dall'altra mi chiedevo quando avrei vissuto anche io quella felicità. Poi, nell'andare avanti con gli anni loro si sono sposate, hanno avuto figli. Ho partecipato con gioia a numerosi matrimoni, ma io ero sempre lì, ad aspettare l'amore di qualche ragazzo, che pensavo dovesse essere un “super eroe” per stare con me. Sognavo, immaginavo il principe azzurro che arrivasse a salvarmi, ma ho capito presto, che non funzionava così, perché non esiste nessun principe, non esiste nessun uomo perfetto né tanto meno con il cavallo bianco.

La sessualità è stata per tanti anni un pensiero secondario nella mia vita in quanto la priorità da affrontare era la cura del mio corpo e la mia autonomia, con tanto impegno e sacrifici da parte mia, dei miei genitori, di mia sorella e di mio fratello. Una volta raggiunta una buona e parziale autosufficienza, sempre con la mia famiglia, abbiamo realizzato insieme il mio desiderio di frequentare l'università, e di affrontare anche questo percorso non semplice, arrivando da un paesino prevalentemente in montagna lontano dalle città. Sono seguiti tutti i problemi della vita indipendente e di una studentessa fuori sede con disabilità, che hanno occupato molti pensieri e molte energie, accantonando ancora una volta il mio desiderio di avere una relazione con un ragazzo. Anche il riuscire a prendere la patente è stata una fatica e, allo stesso tempo, una grandissima conquista. Insomma, per una persona con disabilità è tutto, ma davvero tutto, molto più complicato rispetto a una persona senza disabilità. In più, per chi nasce con un handicap è tutto da costruire e da elaborare, non esiste già un vissuto, anche nel rapporto con gli altri.

 

Una volta che la mia salute si era stabilizzata, che avevo trovato il lavoro che desideravo e per cui ho studiato, ho capito che era il momento di affrontare il tema della sessualità. Il desiderio di provare ad avere una relazione era sempre più forte ma allo stesso tempo mi spaventava molto. Ho provato a vincere la paura di non essere accettata, si essere rifiutata, di non essere all'altezza un po' come si fa quanto si entra in mare e l'acqua è fredda, quindi vai piano piano poi ti tiri un po' indietro, e, un passo dopo l'altro, ti accorgi di esserci riuscita.

 

Questo periodo è durato parecchio tempo. Cosa mi ha “smosso”? L'aver capito che potevo permettermi di avere una relazione con un uomo come potevano averla le mie amiche, come può averla qualsiasi altra persona che nello specifico non ha disabilità. Questo aspetto poteva far parte della mia vita. Questo pensiero si è piano piano fatto spazio nella mia mente e da lì le cose si sono mosse un po', scoprendo che questo corpo, che a me non piaceva, in realtà agli uomini attraeva. A loro non interessava che avessi la schiena storta, che fossi in carrozzina e ciò all'inizio mi ha dato molta forza e sicurezza. Il fare esperienze mi ha aiutato nel processo di accettazione, mi ha permesso di conoscermi meglio e di capire cosa volevo e cosa non volevo da una relazione.

Il grande problema per una persona disabile è avere occasioni di incontro, non è facile. Io ho avuto sia esperienze con persone che ho conosciuto di persona, tramite amicizie in comune, sia ragazzi che ho conosciuto prima nel web e poi dal vivo. Per questi ultimi, per evitare l'effetto sorpresa, c'era il patema di dover comunicare la mia disabilità, qualcuno spariva e qualcuno rimaneva. È stato un periodo pieno di emozioni, tormentato ma anche entusiasmante, stavo vivendo le mie prime esperienze, belle e brutte, come hanno tutti. Era quello il mio desiderio, volevo la possibilità di vivere ciò che vivono tutti, delusioni comprese; stavo scoprendo un nuovo modo di vedere me stessa, il mio corpo e la mia femminilità. In questo periodo, l'affetto, i sorrisi e la leggerezza delle mie amiche e di mia sorella, sono stati di aiuto nei miei momenti di confusione e felicità, soprattutto quanto i primi superavano i secondi.

 

Poi è arrivato il passo successivo, cioè il desiderio di una relazione più duratura e profonda. In questa fase complessa ho deciso di farmi aiutare da un professionista, e sono stata veramente contenta di questo percorso, se l'avessi fatto prima avrei evitato pensieri negativi, illusioni e delusioni, quindi lo consiglio moltissimo a chi hai dei dubbi da sciogliere.

Farmi seguire da una psicologa per me non è stato un fallimento, una vergogna. Anzi è stato un modo per migliorarmi e superare le mie paure. Mi ha aiutato a prendere coscienza della mia identità ed interiorità, a comprendere le mie emozioni e le motivazioni delle mie azioni, a liberarmi dai condizionamenti esterni, ad assumermi le responsabilità dei miei comportamenti anche nella sessualità e ad aver rispetto del mio corpo. Abbiamo trattato insieme altri argomenti legati alla sessualità, molto importanti e altrettanto difficili per me, che sono la contraccezione e la maternità. Spesso la contraccezione viene vista come una questione tutta al femminile, ma non è così.

Affrontare queste tematiche per una persona disabile significa, a volte, doverle condividere anche con la propria famiglia. Sì, perché la vita di una persona con disabilità è interdipendente con quella dei famigliari, i quali, spesso di occupano della nostra assistenza. In particolare, per un naturale senso di protezione e di pudore da parte dei miei genitori, il tema della sessualità è stato un tabù, ma, evitando l'argomento (anche da parte mia), ha generato ancora più disorientamento e difficoltà. Il sostegno psicologico mi ha aiutato anche nella consapevolezza di voler portare avanti le mie scelte che potevano non essere approvate da chi mi stava vicino, senza per questo metter in discussione l'affetto. Tale aspetto fa parte della propria autonomia che, non potendo essere fisica, lo deve essere nel pensiero.

 

In questi anni mi sono anche scontrata con il pensiero della gente comune. Per la società la sessualità è ancora un tabù, sessualità e disabilità insieme sono un super tabù. Per cui sentivo il giudizio delle altre persone come se facessi qualcosa di sbagliato. Lo capivo dai loro sguardi, talvolta solo incuriositi, ma in altre occasioni, passeggiando con il mio moroso mano nella mano, delle persone mi chiedevano se fosse mio fratello o un mio parente e, a quel punto, seguiva uno sguardo di compassione, come se il mio fidanzato si sacrificasse a stare con me.

Questo fa capire quanto ci sia ancora una cultura del pregiudizio della sessualità delle persone con disabilità.
Il condizionamento della società e della religione hanno avuto un peso fortissimo sul sentirmi accettata e sull'accettarmi.
Noi persone con disabilità non siamo da meno di qualsiasi altro individuo, magari per noi è un po' più difficile ma assolutamente possibile. È possibilissimo. Lavorare sulle proprie emozioni e liberare le proprie energie è stato fondamentale.

Il comprendere che il mio corpo, per anni oggetto di cure, di visite mediche, di esami ecc. non era solo era un corpo “medicalizzato” ma anche capace di trasmettere emozioni e femminilità, mi ha dato forza.

Anche la nudità mi ha dato disagio fino a poco tempo fa.

A tal proposito è significativo il rapporto che ho avuto con un quadro che ho a casa. Rappresenta una donna nuda seduta di spalle con indosso solo un bellissimo cappello fucsia, è sospesa su una base fluttuante rossa e un telo verde, guarda l'infinito oltre la finestra e una tenda svolazzante.

Questo quadro l'ha dipinto il mio moroso tanti anni fa, ancora prima che ci conoscessimo e poi me l'ha regalato. L'ho tenuto nascosto per mesi, non me la sentivo di esporlo perché mi rispecchiavo in quella donna, che ha le mani e i piedi piccoli e ha delle imperfezioni nella schiena, proprio come me. Ora invece ne vado fiera, sono orgogliosa di me stessa così come sono, e mi rendo conto che anche questo, è stato un percorso, è stata un'elaborazione che ha portato pace in un animo inquieto. E quando guardo la donna del quadro vedo che non è perfetta, ma è altrettanto attraente.

Mi sono chiesta: il guardare al di là di quella donna, il guardare oltre, è quello che ha fatto il mio moroso con me? No, Marco non ha guardato oltre la mia disabilità, non l'ha proprio vista, ha visto semplicemente Anna e se n'è innamorato.

Ancora adesso dopo anni che siamo insieme, quando usciamo, a volte si dimentica di scaricare la carrozzina dal baule dell'auto e mi guarda come dire “ma perché non scendi dalla macchina?” e io gli sorrido.

Per Marco sono Anna e non la mia disabilità. Ed è vero che la disabilità non ci identifica, per lui non esistono limiti, per me invece ci sono. La disabilità è una parte di me, condiziona la mia quotidianità, la vita di coppia e il pensare ai progetti futuri. La vedo nei miei occhi, ma per fortuna, non nei suoi dolci occhi azzurri e insieme, guardiamo oltre.
Anna De Fabiani

Perché il domani
quello col sole vero arriva
E dovremo immaginarlo migliore per costruirlo
Perché domani non dovremo ricostruire
Ma costruire e costruendo sognare
Perché rinascere vuole dire costruire
insieme uno per uno
Ezio Bosso

 

 

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