
Lo scorso 21 Gennaio è stato inaugurato l’Anno giudiziario 2022 presso la Corte di Cassazione e il giorno seguente in tutte le 26 Corti d’Appello esistenti sul territorio nazionale, con la presenza dei Procuratori Generali, dei magistrati delle procure generali nonché dei rappresentanti dell’Avvocatura, questo perché essendo la cerimonia di inaugurazione occasione di pubblico dibattito sull’amministrazione della giustizia, possono intervenire i rappresentanti degli organi istituzionali, come prevede l’articolo 2, comma 29, della legge n.150 del 2005 [1].
Nella Relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2021 tenuta da Pietro Curzio, Primo Presidente di Corte di Cassazione, sono stati evidenziati segni di criticità e di miglioramento nello stesso tempo. I punti salienti hanno riguardato la situazione dei carichi pendenti nei procedimenti penali e in quelli civili, dove si è registrato un decremento delle pendenze pari al 6,5% in confronto all’anno precedente, passando da 3.321.149 a 3.306.123 procedimenti [2].
Si legge nella puntuale Relazione che i reati commessi nel 2021 sono leggermente cresciuti rispetto il 2020 – anno di forte calo a causa della pandemia – ma restano del 12,6% meno ad un anno “normale” come il 2019. Quello che però balza agli occhi è la specificità delle categorie che hanno avuto un incremento degno di nota, e in particolare sono cresciuti in maniera rilevante i reati informatici.
Il punto, però, sul quale il Primo Presidente si è voluto soffermare ha riguardato gli incidenti sul lavoro, sui quali si è così espresso: ”Inaccettabile rimane il numero degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, particolarmente grave nei settori maggiormente caratterizzati da attività precarie e usuranti. L’INAIL ha comunicato che nei primi dieci mesi del 2021 è stato superato il livello delle mille denunzie di infortuni mortali” [3].
Un altro elemento da ricordare, evidenziato con soddisfazione nella Relazione, è il dato relativo agli omicidi volontari perpetrati nel 2021, che si attesta a 295, confermandosi uno dei dati migliori dei Paesi europei.
Lo sconcerto, però, prende immediatamente il sopravvento quando proprio quei dati ci dicono che delle 295 vittime ben 118 sono donne, di cui 102 assassinate in ambito familiare e tra queste, 70 per mano del partner.
Fermare i femminicidi e la violenza contro le donne deve partire da un convinto e forte impegno dello Stato – inteso nelle globalità delle sue funzioni – e forse in primis dal Parlamento con leggi appropriate, che non deleghino alla severità della legge e/o alla risposta repressiva la soluzione della mancata metabolizzazione del principio cardine dell’uguaglianza, perché le cause di una piaga così profonda e destabilizzante della società, deve trovare anche una sua canalizzazione proprio nei luoghi deputati alla formazione della personalità dell’individuo e cioè nella famiglia e nell’istituzione scolastica.
Tornando al testo della Relazione, un altro punto balza decisamente agli occhi e tratteggia alla perfezione quel quadro chiaroscuro del quale ha parlato il Presidente, riferendosi tra i punti toccati, allo squilibrio nel numero dei magistrati effettivi.
Basta una lettura veloce del rapporto 2020 della Commissione Europea per l’efficacia della Giustizia (CEPEJ), per capire che quella del numero dei magistrati rimane ancora una delle questioni cruciali da risolvere.
Il Rapporto ci dice che in Italia il personale impiegato nel “sistema giustizia” è inferiore a quello di altri Paesi europei.
Le cifre parlano chiaro. In Italia operano 11,6 giudici affiancati da 37,1 amministrativi, 3,7 pubblici ministeri e 14,1 amministrativi ogni 100.000 abitanti. In Germania, per lo stesso numero di abitanti, sono operativi 24,5 giudici coadiuvati da 65,1 amministrativi, 7,1 pubblici ministeri affiancati da 14,5 amministrativi [4].
Prosegue il documento della Comunità Europea, segnalando che la scopertura degli organici supera le 1.300 unità e che tale voragine sarà colmata solo in parte e in tempi non brevi, quantomeno fintanto che non si darà inizio ai concorsi. Ma proprio sullo strumento che permette l’accesso in magistratura, il Primo Presidente Curzio ha fatto emergere un problema che, forse per noi non addetti ai lavori potrebbe rivelarsi come un paradosso, riguarda la qualità della scrittura.
In sostanza la sottolineatura di questa grave carenza, che evidentemente ha raggiunto estremi parossistici, serve per stimolare una capacità di sintesi nei giudici che, tra l’altro, lo stesso codice di procedura richiede prevedendo che le sentenze devono essere chiare e concise.
Sulla stessa lunghezza d’onda è anche il linguista Luca Serianni – citato non a caso nella Relazione – il quale si è battuto a lungo per evitare l’abolizione del tema di italiano all’esame di maturità, difendendo anche il mitico “riassunto” come lo strumento più idoneo proprio per affinare quella capacità di sintesi che evidentemente fa difetto nei nostri giudici [5].
In contemporanea con Roma, anche Palermo ha inaugurato l’Anno giudiziario e cito la cerimonia di apertura presso questa Corte di Appello, perché mi è parso interessante il taglio dell’intervento fatto dal magistrato Nino Di Matteo – presente come ospite in rappresentanza del Consiglio Superiore della magistratura (CSM) – il quale più che perdersi in una lunga dissertazione sull’amministrazione in astratto della Giustizia, ha invece scoperchiato quella pentola che forse da tempo nascondeva una verità nota ai più e dai più mai confessata e cioè: ”stiamo vivendo una profonda crisi di credibilità della quale oggi parte del potere vuole approfittare per avviare un vero e proprio regolamento di conti contro quella parte di magistratura che si è dimostrata in passato capace veramente di esercitare il proprio ruolo a 360 gradi, di estendere al controllo della legalità anche l’esercizio del potere da parte di altri” e ha rimarcato auspicando che il CSM sappia riscattarsi da quella opacità che ne ha ridotto la credibilità ritornando a “tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura abbandonando per sempre squallide logiche di potere e sottopotere che hanno troppe volte ispirato le sue scelte” [6].
Unendo idealmente le due Relazioni, mi sembra evidente che il “sistema Giustizia” versi in una grave emergenza, e l’allarme è ancora lanciato dal Primo Presidente Curzio il quale individua le cause, anche se sommessamente, nella riforma del processo della ministra Marta Cartabia e, nello specifico, nell’introduzione del criticato istituto dell’“improcedibilità” che, come sappiamo, cancella i processi che durano troppo e che ancora sia l’Associazione Magistrati che lo stesso CSM non riescono a digerire.
Quindi per il Primo Presidente la vera riforma, sembra suggerire, si avrà solo quando si riuscirà a ridurre il numero stesso dei processi e “il dibattimento si svolgerà solo se gli elementi acquisiti nelle indagini consentiranno una ragionevole previsione di condanna” [7].
A proposito di CSM, voglio ricordare che l’ipotesi di riforma che la ministra Cartabia intende proporre, giace ancora nei cassetti del Ministero sebbene l’urgenza per un intervento legislativo sia stato reclamato già nel 2019 quando, cioè, è esploso il caso Palamara che sembra aver portato ad individuare nel sistema elettorale adottato per la nomina dei consiglieri togati, la causa principale del mercato delle nomine. A tutt’oggi, come detto, siamo in una fase di stallo che speriamo possa sbloccarsi anche perché la eventualità di una elezione al Quirinale della ministra Cartabia è evaporata velocemente e quindi si possono considerare svanite quelle precauzioni assunte dalla Guardasigilli che le suggerivano di non uscire allo scoperto proprio per evitare di crearsi altri nemici non necessari alla sua corsa quirinalizia.
Il tempo però stringe perché entro luglio o al massimo non oltre la fine dell’estate, la riforma del CSM deve vedere la luce perché il mandato degli attuali consiglieri scade il 25 settembre. Secondo indiscrezioni, i lavori potrebbero riprendere a marzo il che significherebbe non avere tempo a sufficienza per eventuali modifiche da apportare. Intanto, è notizia di pochi giorni fa, si conoscono gli esiti del referendum interno fra i magistrati relativamente al sistema da adottare per l’elezione dei magistrati nel CSM. A larga maggioranza si è detto no al sistema maggioritario sul quale, si presume, stia lavorando la ministra, manifestando invece un forte gradimento per il sorteggio, eventualità vista come fumo negli occhi dalle “correnti”.
Ma ritornando sulla Relazione di apertura, è importante soffermarsi su una osservazione fatta dal Primo Presidente, all’apparenza ovvia, circa l’acquisizione delle prove nel corso delle indagini, che in realtà mette in evidenza un altro dei problemi che pongono in affanno l’esercizio stesso del processo.
Infatti non è un mistero che l’acquisizione, lo studio, l’elaborazione, proprio di quegli elementi che devono permettere all’organo inquirente di confezionare un pacchetto accusatorio, rappresenta il più delle volte un gigantesco lavoro di sintesi che viene svolto in perfetta solitudine dal singolo magistrato, con evidente prolungamento della durata del processo.
Forse la soluzione di questo problema è molto più vicina di quanto si possa immaginare se diamo seguito alle affermazioni proprio della ministra Cartabia, che nella Relazione Annuale al Parlamento letta il 19 gennaio, si è soffermata tra i vari punti toccati, sul capitolo “Risorse e Organizzazione”, dandoci notizia di una innovazione indubbiamente rilevante che è l’istituzione dell’”Ufficio del Processo”, uno strumento che dovrebbe portare negli uffici giudiziari migliaia di giovani giuristi in ausilio al lavoro dei magistrati [8].
Dopo anni di sperimentazione in varie Corti d’Appello, si apprende, questo Istituto modellato sull’esperienza maturata in Francia, in pratica segnerebbe il passaggio dal lavoro individuale a quello di squadra. Ma affinché si possano vedere i cambiamenti sostanziali, bisognerà mettere in atto una radicale trasformazione di tutti gli uffici giudiziari che necessariamente dovranno rimodellare le loro procedure operative proprio per accogliere quei rinforzi che, secondo il documento letto dalla Ministra, saranno operativi già da febbraio prossimo in un numero non inferiore alle 8.000 unità.
Un piccolo passo in avanti che speriamo possa essere il preludio a quella profonda riforma del sistema giudiziario che non può più essere rimandata.
Stefano Ferrarese
[1] giustizia.it – Ministero della Giustizia – “Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2022” –
22/1/2022
[2] cortedicassazione.it – Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2021 –
21/1/2022
[3] ibid. nota 2
[4] coe.it – “Efficacia e qualità della giustizia in Europa; rapporto 2020” – 22/10/2020
[5] libertàegiustizia.it – Luca Serianni “Nessuno tocchi il tema di italiano” – 29/11/2021
[6] palermotoday.it – Inaugurato l’Anno Giudiziario tra pandemia e crisi del CSM –
24/1/ 2022
[7] ilmanifesto.it – Andrea Fabozzi “Giustizia in piena emergenza; crescono i tempi dei
processi” – 22/1/2022
[8] sistemapenale.it – Relazione annuale al Parlamento della Ministra della Giustizia Cartabia
19/1/2022
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