
Il 27 aprile 1937 moriva Antonio Gramsci, tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia. In aperta violazione dell'immunità parlamentare, era stato arrestato dai fascisti l'8 novembre 1926 a Roma e, dopo un breve periodo di confino trascorso a Ustica, era stato deferito al Tribunale Speciale. Rinchiuso in carcere per oltre un anno a Milano, era stato processato e condannato a 20 anni e 4 mesi di galera. Destinato al carcere di Turi (Bari), vi rimase fino al novembre 1933 quando, per le sue pessime condizioni di salute, fu ricoverato in una clinica di Formia dove rimase fino al 1935 per poi tornare a Roma, presso la clinica Quisisana. Appena riacquistata la libertà, fu colto da emorragia cerebrale la sera del 25 aprile 1937, un giorno che sarebbe poi divenuto centrale per la storia d'Italia. Nella requisitoria del 1928, il pm affermò che era necessario impedire al cervello di Gramsci di funzionare. Le lettere e i quaderni giunti fino a noi dimostrano che quest'obiettivo non fu raggiunto, sebbene il fascismo abbia causato la morte di un grande intellettuale, coraggioso e tormentato, non a caso molto temuto da Mussolini.
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