L’Argentina di Fernández. Riscatto o ricatto?

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Sono trascorsi poco più di due mesi dall’insediamento del nuovo Presidente argentino Alberto Fernández alla “Casa Rosada”. All’interno di quelle stanze, lungo quei corridoi i cui muri, così come ogni singolo pezzo di mobilio e ammennicolo, avrebbero tanto da raccontare, si respira però già un’aria impregnata di “ritrosia” e gravosità.
Il nuovo Capo del Governo, affermatosi chiaramente alle elezioni di ottobre 2019, seppur sempre nella sfera e all’ombra di un ambiguo rapporto pregresso coi coniugi Kirchner (fu capo di Gabinetto durante il mandato di Cristina, oggi sua vice) infatti, deve già guardarsi da numerose insidie.

Innanzitutto, deve temere la “reazione” interna, prodotta sia dai naturali oppositori delle tante destre (economica, militare, sociale), ma anche da chi lo aveva inizialmente appoggiato per poi ritrovarsi ora in una terra di nessuno, in un limbo di ripensamento. Ciò a causa dei non chiarissimi intenti politici, manifestati nelle prime settimane di investimento. Ci sono poi i “soliti sospetti” della comunità internazionale, sempre condizionati dai diktat e dai ricatti del Fondo Monetario Internazionale così come dal cordone ombelicale della dipendenza dagli Stati Uniti. Oltre ai mercati e alle banche infatti, proprio l’amministrazione Trump, evidentemente mai paca del sangue versato sulla smisurata superficie che si estende all’interno del perimetro latino-americano, il famigerato “cortile di casa”, aveva per prima manifestato un’aperta disapprovazione per l’eventualità di un nuovo corso, ostile al branco dei dispotici tirapiedi che, nel nome del neoliberismo, sorregge oggi con rinnovato spirito imperialista, in tutta l’area. A cominciare dal vicino di casa brasiliano, Bolsonaro che appoggia ignominiosamente.

Il complesso e la “summa” delle enormi incognite che attanagliano da decenni il Paese che si allarga dalla Terra del Fuoco ai confini del Nord, sono dunque ancora tutti presenti, indissolubilmente legati alla gravissima crisi economica. Ne fu origine la speculazione finanziaria, ovvero l’accaparramento selvaggio e del tutto deregolato di titoli di stato ingannevoli, che portò rapidamente il grosso della popolazione nell’abisso di uno stato di povertà, a volte estrema ed assoluta. Il tratto caratteristico, divenuto oggi quasi proverbiale quando si parla di Argentina, è aver creato un enorme, insostenibile indebitamento pubblico. Così, a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso, ovvero dopo il periodo tragico e assassino della “dittatura dei generali”, seguito da governi fantocci e corrotti, gli sconvolgimenti sociali e politici avevano condotto all’affermazione di una proposta politica nuova. Ovvero una forma di peronismo che guarda a sinistra, intenzionato a perseguire una politica di aggregazione popolare e in opposizione ai dettami prepotenti e dominanti dei mercati. Incarnazione di questo nuovo corso furono proprio dei Kirchner, prima Nestor quindi, alla scomparsa di questi, sua moglie Cristina. Tuttavia, di fronte al divampare di altri governi di solidarietà sociale nell’Uruguay di Mujuca, nel Venezuela di Chavez, nella Bolivia di Evo Morales, nell’Ecuador di Correa e nel Brasile di Lula e Dilma, soprattutto le forze rappresentanti le posizioni storiche conservatrici, alimentate dai timori sempre più crescenti di una totale socialistizzazione dell’intero Continente, avevano ristabilito lo “status quo”, facendo eleggere il neoliberista Macrì, fedele esecutore dell’ordine mondiale.

Il 2020 sembra partire con la riproposizione di un assetto politico, sociale ed economico, che mostra di nuovo il favore, tendendovi la mano, verso le classi più povere del Paese in continuo aumento. Tuttavia, il condizionale è d’obbligo proprio per la precarietà dell’esecutivo e l’ambiguità di alcune scelte, direzioni, e collaborazioni soprattutto a livello internazionale.

Obbiettivo principale, nemico dichiarato, appunto come si diceva, l’insopportabile peso del debito pubblico. Una gabella, un dazio scellerato e, soprattutto, impossibile da coprire per le esigue e sempre più leggere casse argentine. In queste settimane Parlamento e Governo stanno provando a introdurre delle leggi di “contenimento” e sostenibilità al fine di presentare un progetto che porti presto a una ripresa economica e un livello di vita globale diffusamente accettabile. Uno dei maggiori protagonisti di queste intense settimane è il ministro dell’Economia, Martin Guzman, impegnato nel difficile compito di “assottigliare” e “rimodulare” il peso debitorio direttamente con il FMI. Una presa di posizione molto forte arriva anche da parte dei Vescovi, la cui Assemblea si è apertamente espressa per suggerire una risoluzione che preveda una uscita morbida dal debito, e dalla speculazione sugli interessi derivati, attraverso una serie di interventi che si ispirino direttamente anche alla risoluzione Onu del Consiglio dei diritti dell’uomo del 23 aprile 1999, che afferma come «l’esercizio dei diritti fondamentali della popolazione dei paesi debitori all’alimentazione, all’abitazione, al lavoro, all’educazione, ai servizi sanitari e a un ambiente salubre non possano essere subordinati all’applicazione di politiche di aggiustamento strutturale e di riforme economiche legate al debito».

È necessario capire gli organi internazionali coinvolti e chiamati a collaborare fin dove sono disposti a spingersi, ovvero se le sorti della grande fetta di popolazione interessata potranno al fine essere aggiustate evitando un nuovo default. In questo nuovo contesto l’auspicio è dunque quello che il grande Paese sudamericano possa trovare una strada alternativa per uno sviluppo sostenibile, attraverso una ridistribuzione più equa delle risorse economiche, e nel nome di un rinnovato senso di solidarietà comunitario sociale.

Cristiano Roccheggiani

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