As Film Festival, quando l’autismo è vita e neurodivergenza

AS film festival
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Non sempre l’autismo si strappa i capelli. Non sempre l’autismo corrisponde a un immaginario che lo identifica con un mondo di assoluta sofferenza e incapacità. A volte, e sempre più spesso per chi ha voglia di scoprirlo, l’autismo assume il volto di Nicola Chiodi giovane uomo autistico che collabora all’As Film Festival promosso da Giuseppe Cacace insieme ad alcuni ragazzi autistici e alle loro famiglie.

As è un festival corsaro, dai contenuti variegati che non racconta solo l’autismo. Ed è un’iniziativa che mette alla prova, nel mondo del lavoro e delle relazioni, ragazzi che molto e troppo spesso non avrebbero altre opportunità. Ho incontrato Nicola e Giuseppe in albergo, sono passati loro a trovarmi. Perché Roma in carrozzina può essere veramente feroce.

Avevo preparato la mia batteria di domande, ma ben presto l’intervista si è trasformata in qualcosa di diverso. È stato un piccolo viaggio nel mondo dell’autismo. Nicola è arrivato col suo fare distinto e il capello brizzolato insieme a Giuseppe,

Nei giorni precedenti avevo anche raccolto qualche suggestione sull’andamento del Festival di cui Giuseppe è direttore artistico e organizzativo.  Un amico che ha visionato diverse pellicole sostiene che “Sono stati particolarmente significativi l’iraniano “The sprayer”; il palestinese “Checkpoint”; lo spagnolo “Loop” e il delicatissimo e commovente lavoro russo “The encounter”. Una vera occasione da ghiottoni del cinema di animazione è stata quella di poter vedere l’introvabile lungometraggio australiano “Mary and Max” del 2009, storia di una amicizia fra una bambina e un quarantenne con la sindrome di Asperger. Nelle altre sezioni, cortometraggi italiani e stranieri, le giurie delle scuole hanno premiato lavori che probabilmente in altri festival sarebbero passati inosservati”.

Con Nicola e Giuseppe ci siamo seduti al bar dell’albergo. La parte del leone l’ha fatta Nicola, con la sua capacità di penetrare diverse sfaccettature di un mondo complesso come quello dell’autismo. Giuseppe ha lasciato che privilegiassi la voce di Nicola. Come sempre accade sono partito dalle mie curiosità, dal mio tentativo di capire.

Giuseppe e Nicola
Giuseppe e Nicola durante l’intervista. Foto Gianfranco Falcone 2022

Ho guardato la pagina web del Festival. Mi ha colpito che lo promuoviate come Asperger Film Festival ma poi non fate distinzione tra Asperger e autismo. D’altronde, nella sua ultima versione il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), che è un po’ la bibbia della psichiatria, li mette insieme, anche se non tutti i ricercatori sono d’accordo su questo accorpamento.
Giuseppe – Quando abbiamo iniziato a fare il Festival ci siamo posti questo problema. Diciamo che siamo autistici? Diciamo che c’è questo elemento nel nostro festival o non lo diciamo? Vogliamo far prevalere la nostra passione per il cinema oppure vogliamo dire qualcos’altro? C’era il rischio di essere riconosciuti solo come autistici.

Era facile identificarvi così.
Diventava il Festival dei “ragazzi disabili”. Allora abbiamo deciso di chiamare il Festival As Film Festival. As sta per Autism Spectrum, quindi Spettro Autistico, ma anche per Asperger. Io mi occupavo di cinema. Ero tra i fondatori del cineclub Detour di Roma, non sapevo nulla di autismo e Asperger, e sono stato contattato nel 2008 dai genitori del Gruppo Asperger, all’epoca una delle poche realtà che si occupava di promuovere una corretta informazione sul tema. Ai tempi nel DSM c’era la distinzione tra Asperger e autismo. Quindi per anni il Festival è stato il Festival Asperger.

La sigla As lascia un margine di ambiguità.
Esatto. Ci serviva poi segnalare che c’era una differenza rispetto ad altri festival. Perché il nostro era un piccolo festival del cortometraggio che si è allargato ai lunghi e a tutta una serie di altre cose. Però la nota “As” andava inserita. C’era anche il problema del lancio che proponeva “Un festival uguale agli altri, però diverso”. All’epoca dicevamo che era diverso il punto di vista. Oggi diciamo che è neuro divergente. In realtà in dieci anni è cambiato tutto il linguaggio. Prima c’era Asperger e autismo, che poi è diventato neurodiversità. C’è stato un momento in cui la neurodiversità sembrava indicare l’autismo. Poi si è detto no. L’autismo non è neurodiversità. La neurodiversità è l’insieme delle persone neurotipiche come me e neurodivergenti come Nicola.

Che cosa intendi con neurodivergenza e neurodiversità?
Nicola – Innanzitutto partiamo dalla premessa che nel corso degli ultimi anni, negli ultimi dieci, vent’anni sull’autismo ci sono state molte innovazioni, sia dal punto di vista della ricerca che dal punto di vista dell’auto rappresentanza. Sono nate e si sono sviluppate comunità di persone autistiche, ed emerge sempre di più questa idea della neurodivergenza. Io sono nel Festival dal 2015, ma il Festival era già cominciato nel 2013, quando ancora c’era il DSM-4, dove compariva la parola Asperger. A partire dal DSM-5 non compare la parola Asperger. Si parla di autismo ad alto funzionamento. Oggi si distingue tra autismo di livello uno, due, tre, cioè alto, medio, basso. Si comincia a parlare di tipo. Individuando il tipo uno, il tipo due, il tipo tre. Il Tipo uno ha poco bisogno di supporto, è relativamente lieve; il Tipo due necessita di medio supporto, il Tipo tre di molto supporto.

Tu di che tipo sei?
Nelle mie vecchie diagnosi c’era scritto Sindrome di Asperger e Autismo ad alto funzionamento. Però considerando l’evoluzione della ricerca credo che oggi sarei considerate un Tipo uno con le mie compromissioni. L’autismo in sé non è una malattia, ma è una condizione. Però le comorbidità, le compromissioni, le co-occorrenze, potrebbero essere malattie. Non è detto che siano fisse, possono andare e venire, e sono molto influenzate dall’ambiente. Insieme alla ricerca si evolve soprattutto il linguaggio. Nascono molti attivisti autistici e molti rappresentanti della comunità autistica. Noi cerchiamo di tenerne conto. Quando parlo in via ufficiale non mi classifico come Asperger. In gergo, in maniera scherzosa, quando siamo fra amici dico Asperger Aspi. Se no ufficialmente mi classifico come una persona autistica e come una persona neurodivergente. Ma andiamo alla domanda. Io pure usavo neurodiverso e neurodiversità come sinonimo di autismo. In realtà è la parola neurodivergente che si riferisce di più agli autistici. Perché tutti gli autistici sono, anzi siamo neurodivergenti. Poi esistono anche altre neuro divergenze come il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) e la come la sindrome di Tourette.

In base a quello che dici mi sembra di poter affermare che siamo tutti neuro diversi perché ognuno ha la propria specificità. Invece le persone autistiche sono neurodivergenti perché divergono, si differenziano, rispetto a quella che chiamiamo “normalità”?
Giuseppe – La chiamiamo neurotipicità.
Nicola – Esiste da una parte il neurotipico, che ha un funzionamento, una conformazione neuronale, o una distribuzione delle funzioni neuronali che è tipica ed è piuttosto comune e diffusa fra i cervelli. Le persone autistiche, quindi neurodivergenti, hanno invece una distribuzione del funzionamento, delle aree neuronali, un modo di essere, un modo di funzionare che è diverso, ed è soprattutto più atipico e divergente, e quindi essendo atipico e divergente è più raro. Siccome la società è fatta soltanto su misura dei neurotipici il neurodivergente può trovarsi facilmente in difficoltà. Avrà difficoltà nelle relazioni sociali, difficoltà a comprendere, difficoltà ad orientarsi. E poi ci sono anche tutte le altre comorbidità. Andiamo al punto centrale. Parafrasando Judy Singer, “La neurodiversità è tra i cervelli umani il corrispettivo della biodiversità in natura”.

Attraverso le tue risposte mi dai un’immagine delle persone autistiche diversa da quello che è portata dallo stereotipo comune. Fai saltare i miei schemi mentali neurotipici.
Giuseppe – Questa è una delle funzioni del festival. Nel senso che il festival nasce con lo scopo di dire ai ragazzi autistici “Siete in grado di fare delle cose che non fa nessuno. In Italia ci saranno tanti festival, ma le persone che li fanno sono poche rispetto alla totalità”. guardando il nostro staff al lavoro tanti genitori capiscono che i loro figli possono essere molto di più che semplici “premi-bottone”. L’altro elemento è far vedere al pubblico che l’autismo non è quello che normalmente noi conosciamo. Noi siamo stati portati fuori strada da Rain Man. Rain Man ha rovinato tutto quanto. Rain Man è un bellissimo film ma ha contribuito a costruire uno stereotipo. All’epoca Rain Man era una storia che sfondava, che riusciva ad entrare a Hollywood.

Attualmente s danno anche altre rappresentazione come quelle nelle serie TV The Good Doctor e Avvocata Woo. Non so se le avete viste.
Giuseppe – Le ho viste per lavoro.

In qualche modo ti rappresentano Nicola?
Nicola – Su Avvocata Woo ancora non posso parlare perché non l’ho visto. Su The Good Doctor si. Non è che un autistico come Shaun Murphy [protagonista interpretato dall’attore Freddie Higmore, ndr] sia proprio impossibile. Però in realtà Shaun Murphy è un autistico plusdotato, un savant, ha un grande talento. Per certi versi assomiglia, ma solo in piccola parte, al dottor House. Il savant fa pure parte in qualche modo dello spettro autistico, perché anche il savant è un divergente. Certo, il problema è che le caratteristiche del savant sono diverse, però ci sono delle cose in comune tra alcuni savant e alcuni autistici. In Shaun c’è la parte medical drama e sentimentale che piace sia a un certo pubblico americano che a un certo pubblico europeo, ma che poi sbilancia la storia sul drama e non è che faccia una cosa molto approfondita sull’autismo. Tuttavia non è un cattivo prodotto. Sicuramente quelli a cui piacciono le storie sentimentali e i medical drama non resteranno delusi da the Good Doctor. Alla fine anche l’attore fa un buon lavoro, quindi si può guardare. Però è chiaro che quella non è una rappresentazione dell’autismo, ma è una rappresentazione di un tipo raro di dottori autistici. Perché è vero che esistono dottori autistici, ma comunque è uno dei mestieri meno fatti da quello che conosco.

Che tu sappia esistano davvero dei dottori con autismo?
Noi non diciamo con autismo diciamo autistici. Perché l’autismo non è una cosa che si ha, ma una cosa che si è.
Esiste qualche dottore autistico, ma secondo me sono una minoranza. Ci sono psichiatri autistici, forse anche un chirurgo autistico. Ma se esiste un chirurgo autistico di sicuro non è un disprassico [disprassia è la difficoltà nel coordinare i movimenti necessari per compiere un’azione volontaria, ndr] perché esistono molti autistici disprassici, e un chirurgo, non potrebbe essere disprassico.
Visto che hai parlato di prodotti televisivi, ci sono stati Atypical e As We See It che hanno rappresentato altri tipi di autistici. Sicuramente non possono essere esaustivi, hanno dei difetti anche quelle due serie. Però se si vuole guardare qualcosa sull’autismo si possono guardare entrambe. In Atypical c’è qualche momento banale, però ci può stare, soprattutto per le famiglie che hanno bambini e adolescenti. As We See It rappresentava alcune cose di alcuni autistici, anche se secondo me aveva qualche difetto, o meglio qualche leggerezza di trama. Però aveva spunti molto interessanti.

Nella relazione con gli altri e nei rapporti sentimentali io sono un gran casino.
Capisco per tanti anni lo sono stati anche per me.

L’amore che cos’è per te?
In realtà queste sono due grandi domande e sono piuttosto difficili. Forse non esiste un solo tipo di amore. Nell’antica Grecia esistevano tante parole per designare l’amore. Di primo acchito posso pensare all’amore sentimentale.

Mi riferivo proprio a quello, all’amore come possibilità di far entrare qualcun altro nella propria vita. Per te è possibile, lo desideri, ne hai voglia? C’è già qualcuno?
Sì, io al momento sono fidanzato e potrei dire che sono a posto.

Io no.
C’è tempo, c’è tempo. Anche perché io fino a trent’anni non ero mai stato con una donna, mai nemmeno toccato una donna.

È autistica anche lei?
No. Lei è neurotipica. Diciamo che mi sono confrontato soprattutto virtualmente ma anche realmente con le donne autistiche. Sì, esistono autistici che sono invecchiati, sono morti, senza aver mai avuto una relazione, soprattutto gli uomini, ma giusto per un fatto culturale. Poi certo, conosco donne che hanno difficoltà. Però ci sono modi diversi di intendere l’amore, perché da un punto di vista culturale l’idea dell’amore è quella monogama, tradizionale, un poco influenzata dalla religione, ma ancora di più in realtà influenzata da stereotipi culturali.
Diciamo che tra gli autistici è possibile trovare tanto dei rigidi monogami, come il protagonista di Atypical che ama una sola persona, quanto persone che hanno pulsioni e tendenze alla poligamia o al poliamore, ed è impossibile per loro avere una sola relazione.

Sei poliamoroso?
In passato ho avuto pulsioni o tendenze poliamorose. Anzi, c’è stato un periodo in cui per me era impossibile pensare a una relazione fissa, benché avessi bisogno di una persona. Poi c’è chi diventa monogamo perché si sente così, o chi diventa monogamo per scelta. Oppure ci sono persone che per necessità devono essere poliamorose. Ci può stare. Se è una cosa controllata e gestita è sempre meglio che tradire qualcuno. Bisogna stare attenti, perché c’è gente che pratica il poliamore, ma in realtà cerca di avere un controllo su altre persone o una scusa per non impegnarsi. Tra gli autistici che io sappia e per quello che ho sentito dire è leggermente più diffusa la percentuale di persone che hanno tendenze poliamorose. Sono anche più diffusi quelli che hanno una disforia di genere, che non si identificano in un genere maschio o femmina, c’è anche qualche omosessuale e qualche bisessuale.

Sto andando fuori dalla batteria di domande che avevo preparato.
Giuseppe – Non avevo dubbi che non ce l’avresti fatta. Nicola è in grado di catturare l’attenzione dell’interlocutore e portarlo sui suoi percorsi ed è da sempre una persona di estrema curiosità. Inoltre ha una diagnosi tardiva. Questo è fondamentale perché tutto quello che tu stai sentendo è frutto di una curiosità sorta quando ha scoperto di essere autistico. Quando l’hai scoperto?
Nicola – A ventinove anni.
Giuseppe – Avere una diagnosi a ventinove anni innesca reazioni molto diverse. Conosco persone che dopo una diagnosi si sono chiuse a riccio, altre che come Nicola hanno deciso di prendere in mano la propria vita e di dire  “Ok, do un nome a quello che sono e combatto per quello che sono”. Per cui tutto quello che tu stai sentendo lui lo ha approfondito in solitaria, l’ha fatto da solo. Ecco perché secondo me era fondamentale che venisse Nicola.
Nicola – Conosco molti attivisti autistici, anche persone che fanno parte del nostro gruppo, che hanno avuto la diagnosi da adulti.
Giuseppe – In termini di consapevolezza [rivolto a Nicola, ndr] e di capacità, secondo me, tu sei una voce importante. Perché sei molto efficace e diretto nel raccontare il vostro punto di vista.

Ti consideri un’attivista?
Nicola – Per essere intellettualmente onesto no. Non perché non mi piacciono gli attivisti, al contrario, ma per una forma di onestà e di rispetto verso altri attivisti che hanno studiato, hanno letto libri, hanno fatto progetti. Loro sono attivisti.

Capisco perché dici di no. Però sei un intellettuale e fai attivismo da intellettuale. Non vai a distribuire volantini però quando parli sei già un’attivista. Sei un’attivista in modo divergente.
Giuseppe – Però lui non ti dice, per esempio, che ha aperto un gruppo Facebook che si chiama Asperger City, attorno al quale ruotano una marea di persone. Lui ha messo in piedi un meccanismo per cui la gente si è ritrovata. Quello è attivismo. Parlare, presentare un festival e andare in giro per l’Italia a portare cortometraggi sull’autismo e dire signori, ognuno di questi corti racconta un autismo, è attivismo. Tra l’altro, come dice puntualmente la nostra Serena, c’è un autismo per ogni autistico.

Abbiamo parlato di affettività e di relazioni. Quindi la figura dell’educatore all’affettività e all’emotività, uomo e donna che sia, che accompagna alla scoperta delle emozioni, alla sessualità, all’erotismo, alla conoscenza del corpo, le persone “disabili” e quindi anche le persone autistiche, potrebbe essere una figura da sponsorizzare, da introdurre?
Nicola – Per me sì, certo. Anche se bisognerebbe fare un lavoro molto mirato. Io non l’ho mai avuta. Però mi sono confrontato con operatori o psicologi che facevano anche questi discorsi. Io credo che ci siano certi autistici che ne avrebbero molto bisogno. Perché come possono esserci autistici asessuati, all’opposto ci sono e ci possono essere, autistici sessualmente molto carichi che a volte possono perdere il controllo. Così come io sono personalmente d’accordo su un’assistente sessuale per i disabili. Secondo me un’educazione affettiva e sessuale per l’autismo, per molti autistici sarebbe importante. Alcuni hanno fatto le loro scoperte da soli, ma non tutti possono farlo. Non esiste un autistico uguale all’altro. Ci possono esistere autistici con peculiarità comuni ma anche opposte. Sì, questa figura per me è importante, ma poi su autismo e sessualità sono stati scritti libri, ci sono ricerche in corso. Sono tutte cose da approfondire.

Famiglia. Sono migliori le famiglie iperprotettive o le famiglie che spingono ad affrontare la vita?
Quando si fanno queste domande a due è un po’ pericoloso schierarsi, ma alla fine la cosa più semplice da dire sarebbe che è necessario cercare un equilibrio fra le due cose. Poi ci sono i casi singoli. Ci sono famiglie più dure o dispotiche che dicono facciamolo soffrire, mandiamolo avanti sennò non imparerà a difendersi. Ma così può succedere che la persona impazzisce, si suicida, oppure diventa cattivo come le altre da cui doveva difendersi. Oppure ci sono famiglie che dicono che è giusto proteggere perché se si viene lasciati allo sbaraglio si può anche morire. Ed è successo. Quindi, per questo direi che è impossibile dare uno standard su come fare. Bisogna vedere i singoli casi.

Che lavoro fai?
Nicola – Ho trascorso tanti anni di disoccupazione, inoccupazione, precariato contratti non rinnovati, rischio di licenziamento, sia nelle aziende private che nelle associazioni di promozione sociale e culturale, nei lavoretti giornalieri. Poi in alcuni periodi non lavoravo per niente perché fisicamente non ci riuscivo. Ho lavorato anche con la nostra associazione Not Equal, in parte il Festival è un lavoro, siamo pagati. Lavoro in un palazzo istituzionale, in un ruolo in cui mi trovo bene. Dopo aver superato uno dei vari concorsi che ho provato  ho fatto un tirocinio di sei mesi, e ora sto facendo il periodo di prova di due mesi al termine dei quali sarò a tutti gli effetti un dipendente pubblico.

Che diploma e che laurea hai?
Io mi sono diplomato a fatica in un liceo classico, dove comunque molte cose funzionavano davvero male e io avevo difficoltà di apprendimento, di studio e altri problemi, È vero che allora non avevo diagnosi, ma sono dovuto ricorrere a supporti privati. All’università è stato pure faticoso, ma sono riuscito a prendere una laurea triennale in Filosofia e Scienze Umane e in alcune cose è andata meglio

In teatro per fare gli auguri si dice merda. Allora merda.
Lo so. Ho fatto due laboratori di teatro quando vivevo in Umbria. Io sono calabrese, nato e cresciuto a Cosenza, ma ho vissuto otto anni in Umbria.

Adesso vivi da solo?
Adesso vivo con la mia fidanzata qui a Roma, quindi c’è anche una convivenza con le difficoltà della convivenza.

La tua famiglia è intervenuta per aiutarti?
A volte mi ha pagato l’affitto quando perdevo i lavori e non avevo più soldi. Poi mi faceva studiare e fare i concorsi. Quando non li passavo ci riprovavamo e ci preparavamo ai colloqui. Mi hanno pagato alcuni corsi di aggiornamento, ad esempio corsi per lavorare nelle biblioteche. Alla fine la mia famiglia ha accettato di pagarmi alcuni mesi fuori casa anche quando non lavoravo. Durante quei mesi ho seguito un corso in Umbria di comunicazione e giornalismo interculturale e un piccolo laboratorio di alfabetizzazione cinematografica che mi ha fatto scoprire che il cinema mi piaceva. Da lì poi ho cominciato a frequentare i cineclub.

Quale ruolo svolgi all’interno del Festival?
Mi occupo della selezione dei cortometraggi, poi durante l’evento faccio un po’ di presentazione, qualche intervista. In passato ho fatto anche accoglienza per dare informazioni. Quando posso do qualche spunto per l’organizzazione. Le mansioni principali al momento sono selezione dei cortometraggi, qualche volta una piccola mano nella preparazione dei testi, e poi se c’è la web-tv.
Giuseppe – I testi li fate voi. Lui è il frontend, io sono il backend.

Sei il Damiano della situazione sei il frontman.
Nicola – Parlando dei Maneskin il front man no. Mi ritengo ancora una persona riservata che può avere difficoltà. Però quando sono sul palco, ma soprattutto quando sono insieme per esempio a Marco e Valerio riesco ad avere carica.

Hai una bella carica umana anche in questa intervista, sei potente.
Potente. Questo ancora mancava. Il fatto di fare due cose diverse, tipo una volta la presentazione in sala, una volta l’intervista mi ha dato carica. Poi il fatto che ci sono con me Marco e Valerio mi dà quel supporto e quella carica per affrontare il pubblico. Perché delle volte mi incespico quando parlo, o sbaglio il tono, o mi manca la fluidità. Però se ci sono loro con me, in qualche modo mi sento supportato.

La società come si relaziona alla tua neurodivergenza? Quali sono le difficoltà maggiori?
La società ci stigmatizza, anche se negherebbe. Magari non sono molte le persone che direttamente ci dicono che noi autistici facciamo schifo, o che ci mandano a quel paese, oppure che ci dicono che non valiamo niente. Ce lo hanno detto in passato. Molti autistici hanno storie di bullismo, mobbing, straining [Azione ostile o discriminatoria compiuta da un superiore nei confronti di un subalterno, ndr] e altri tipi di vessazioni o anche licenziamenti ingiusti. A volte c’è un pietismo che può dare fastidio, ma poi c’è una cosa importante, l’abilissimo.

Qual è il tuo sogno più grande Nicola?
È difficile parlare di sogni. Non esiste solo un sogno o un obiettivo e altri vanno definiti. Ho alcune idee personali e altri sogni e idee che abbiamo per il futuro io e la mia fidanzata. Intanto a me interessa sopravvivere e arrivare a fine mese con il lavoro. Voglio il benessere della mia fidanzata, della famiglia, degli amici, delle persone a me care. Nel frattempo mi piacerebbe avere il tempo di lavorare su me stesso, di esplorare me stesso. Vorrei poter continuare a collaborare con il Festival. Perché il Festival è anche un’occasione per fare qualcosa nel mondo dello spettacolo, nel mondo del cinema. Questo mi piace anche se è difficile. Mi piacerebbe anche fare qualcosa collegato all’autismo. Ci sono tanti gruppi e associazioni, però è difficile ritagliarsi uno spazio. Con il Festival almeno abbiamo una possibilità di sperimentarci. Poi certo, se magari avrò un po’ di tempo da dedicare a me mi piacerebbe sperimentarmi in qualcosa come ad esempio la scrittura e vediamo se vale la pena oppure proviamo un’altra cosa ancora.

Potresti trasformare i dibattiti e i dialoghi che avete su Facebook in un libro.
In realtà qualcuno ha già fatto queste cose e sono stati già pubblicati libri, non con cose prese da Facebook, ma prese dalla vita reale. Comunque la pagina Facebook Asperger City mi ha permesso di conoscere due o tre persone. Tra cui una professoressa autistica, peraltro molto brava. Diagnosticata a quaranta anni, anche lei da adulta.
Giuseppe – Un’altra persona che come Nicola ha saputo fare tesoro della diagnosi e ora non perde l’occasione per fare corretta informazione sull’autismo tra i suoi studenti e con i colleghi.

Uno dei problemi nell’autismo è riuscire ad avere diagnosi precoci?
Nicola – Questo è un grosso problema perché non esiste in tutte le regioni uno standard unico per considerare l’autismo come invalidità o disabilità. Attenzione, anche le condizioni possono essere invalidanti e il sussidio è un diritto. Alcuni autistici hanno il sacrosanto diritto di prendere il sussidio mensile perché sempre più degli altri avranno difficoltà a trovare lavoro. Alcuni non possono più fare il contratto di apprendistato, o non li vogliono nelle aziende perché non sopportano i burn out autistici.
Giuseppe – Per non parlare dello  stimming. E tu ne sai qualcosa [rivolto a Nicola, ndr].

Che significa?
Nicola – È una scarica di energia dove a volte è difficile controllare il corpo.
Giuseppe – Può capitare che durante una riunione Nicola ogni tanto agiti freneticamente le mani. Per noi è assolutamente normale, gli serve per scaricare. È il suo fisico che ne ha bisogno.

Le aziende preferiscono pagare le multe pur di non assumere persone disabili.
Nicola – Questo è vero. Anche se è obbligatorio assumere persone delle categorie protette non lo fanno. Perché magari un autistico può essere rigido, avere difficoltà ad adattarsi ad altre regole, ha bisogno di lavorare a modo suo, con tempi e orari propri. Ma le aziende e gli uffici pubblici non lo permettono.

Quando le persone parlano con voi che linguaggio usano?
A volte dicono in maniera irritante “piccoli angeli”, “che dolci questi bambini autistici”. Molti autistici non vogliono assolutamente questo, anzi la considerano una forma di abuso. Ma tu prima parlavi di diagnosi. È difficile avere una diagnosi da adulti. Soprattutto è difficile averla nel pubblico. Io mi sono dovuto rivolgere a un privato. Quando alcuni autistici chiedono di avere il riconoscimento dell’invalidità, quindi la Legge 104 e la Legge 168, devono andare anche da uno psichiatra pubblico. Il quale a volte si limita a confermare la diagnosi di un privato, a volte invece la rifiuta e crea un problema per fare il percorso per il riconoscimento dell’invalidità, che purtroppo ha tempi molto lunghi. Nel frattempo l’autistico è disoccupato. Alcune regioni non hanno nessun dottore, nessun centro che possa fare una diagnosi negli adulti. Qui cito la Calabria perché io sono calabrese. In Calabria non esiste un solo dottore, almeno che io conosca, che faccia la diagnosi ad adulti. Ho chiesto e nessuno mi ha risposto.

Per i bambini invece la fanno?
Per i bambini sì. Però è diverso fare una diagnosi a un adulto e fare una diagnosi a un bambino. Sono diversi i test ed è diverso il tipo di osservazione. Ad esempio, una figura che serve è lo psicomotricista. Nella provincia di Catanzaro manca una figura di psicomotricista. A volte anche quando vengono fatti i cosiddetti “progetti di vita” gli autistici sono portati in centri diurni dove possono esserci abusi che sono stati anche documentati dalle telecamere. Poi ci sono famiglie e dottori che ritengono che l’autismo senza compromissioni non esiste, e ritengono che autistici di livello uno, con un miglior funzionamento, non possono parlare a nome degli altri autistici.
Giuseppe – C’è anche un altro problema. Può accadere che quando le ASL prendono in carico i ragazzi autistici li mettono tutti assieme. Per cui trovi magari un ragazzo come Nicola di 17 anni messo con un autistico di tipo tre. Lì inneschi un processo terribile. Immagina Nicola in una situazione del genere?. Noi abbiamo imparato negli anni che non possiamo accogliere nel nostro gruppo dei ragazzi che hanno un autismo disabilitante. Perché fa del male a tutti. È un casino e questo invece le istituzioni lo fanno nell’ottica del dopo di noi. Li mettono tutti assieme.
Nicola – Ma anche il caregiver. Non esiste un caregiver pubblico e se una famiglia non ha soldi ha difficoltà. L’autistico grave non potrà permettersi l’operatore pubblico e le famiglie devono spendere soldi per un educatore privato. Fra l’altro l’educatore deve essere preparato e capire che deve fare un lavoro mirato.

Hai voglia di raccontarmi una cosa che ti è dispiaciuta e una cosa che ti è piaciuta molto negli ultimi tempi’
A me non piace fare delle classifiche, più bello o più brutto. Posso dire che in questi anni sono stato contento di entrare nel Festival e mi piace continuare a farlo. sono contento di avere un lavoro, che ho ottenuto con i miei risultati. Posso dire che sono stato contento quando autonomamente ho cominciato ad andare da solo ad eventi che volevo, per esempio le rassegne e le mostre fumettistiche e cinematografiche o altre cose simili come Lucca Comics. Ci sono alcune sfide che mi sono piaciute, altre le ho evitate perché non ho nessuna motivazione ad affrontarle. Sono contento per aver portato a termine esperienze sociali, artistiche e lavorative che mi creavano disagio. però lì ci volevo provare. mi sono trovato male in alcune esperienze lavorative ma avevo bisogno di soldi. Vabbè, nella mia vita ci sono stati momenti brutti dove sono stato solo, mi sono sentito sbagliato e certi momenti di sofferenza, ma sono ancora qui. io come tanti altri autistici siamo “sopravvissuti” e adesso abbiamo ancora voglia di fare nuove esperienze.

Hai detto che stai facendo psicoterapia.
In realtà soltanto da un anno ho ripreso. Da piccolo ho visto molti psicologi. Nessuno aveva mai pensato che potessi essere autistico. Ne incontrai solo uno che però era ad un evento. Non mi faceva terapia ma nominò la parola Asperger. A quel tempo nessuno la conosceva. I miei genitori non potevano immaginare nulla. A ventisei, ventisette anni mia madre mi portò un opuscolo. Così ho cominciato a fare ricerche.
Giuseppe – Tu sei riuscito a fare una cosa che molti non riescono a fare. Sei riuscito a sforzarti di capire. Tante persone autistiche non ne hanno la forza. Noi abbiamo fatto un progetto e abbiamo invitato autistici di tutta la regione a incontrarci e aiutarci in un progetto editoriale. Tanti ci hanno chiamato, contattato ma una volta richiamati mettevano giù. Non riuscivano, non avevano la forza, avevano difficoltà ad uscire dallo loro comfort zone.

Perché hai deciso di andare via da casa?
NicolaIo dovevo andarmene dalla Calabria. Non c’entrava l’autismo, non sapevo di esserlo. Però se fossi rimasto a Cosenza sarei ancora a fare il disoccupato o chissà.

È stata una tua decisione o una decisione della tua famiglia?
È stata una proposta. Comunque non ebbi molti problemi ad andarmene.
Visto che abbiamo menzionato le scuole possiamo dire che a volte non viene attaccato soltanto lo studente, ma vengono attaccati anche i genitori. A volte sia gli insegnanti che i genitori di altri bulli, di altri studenti, si mettono d’accordo per dare la colpa alla vittima e mistificano la realtà.

Tornando agli attivisti?.
Nicola – Ci sono disabili autistici che potevano dirti molto più di me. Gli attivisti di Neuro Peculiar, di Link Aut per fare un esempio, pubblicano video e podcast da parecchio tempo, e hanno fatto delle conferenze e ti dicono un sacco di cose. Alcuni di loro sono preparatissimi e certi hanno uno spessore molto più elevato del mio. Con alcuni di loro potrebbe essere più difficile, altri sono più alla mano.
Giuseppe – Esistono fronti diversi nell’autismo. Io non so che cosa succede nell’ambito della disabilità fisica, ma dal punto di vista della disabilità dell’autismo non c’è un fronte comune.

Mi spieghi meglio come è nato il Festival e qual è il rapporto con le famiglie?
C’è stato un momento in cui facevo proiezioni per una cooperativa che le chiedeva per i propri ragazzi con disabilità varie. A un certo punto Adina Adami, una nostra amica all’epoca presidente del Gruppo Asperger venne da me e mi chiese di fare un cineclub per i loro soci più giovani.  Il cinema favorì l’incontro di una ventina, trentina di ragazzi che fino a quel momento non avevano mai socializzato. Mai. Il cinema è diventato così una sorta di scintilla, di interruttore che ha attivato la socialità. Ha innescato anche un processo di studio. Inoltre, attraverso l’aiuto di giovani psicologi che partecipavano al cine club ci si confrontava con i temi che venivano affrontati nei film: l’amore, l’isolamento, fare l’amicizia, e altro ancora. da lì le cose si sono evolute. Oggi abbiamo l’As Film Festival e le famiglie dei ragazzi sono con noi.

Siete un modello insomma.
Secondo me sì. Ma più che un modello è un format che può essere replicabile all’infinito. Quello di cui hanno bisogno le famiglie non è solo parlare, organizzare convegni, rilasciare dichiarazioni. Le famiglie e i ragazzi hanno bisogno di cose pratiche.
Serve creare occasioni di socialità.

Gianfranco Falcone

 

 

 

 

 

 

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