Autonomia differenziata e faccende interne al Governo Meloni

Mezzogiorno

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Il governo presieduto da Giorgia Meloni si sta caratterizzando anche per la capacità con la quale i partiti che lo compongono riescono a scambiarsi i ruoli da protagonista sulla scena politica.

Ha iniziato proprio la Meloni riportando alla ribalta il presidenzialismo, idea che aspetta sviluppi anche se è stato già chiarito che si potrebbe andare avanti senza l'ausilio dell'opposizione.
La compagine leghista per bocca del ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, già padre della scellerata legge elettorale del 2005 conosciuta come Porcellum, ha presentato il 1° gennaio una bozza di legge riguardante l'.
Silvio Berlusconi, al momento è silente ma pronto a fare la sua parte quando si entrerà nel vivo della riforma della Giustizia, l'unico tema politico che lo interessa fino in fondo.

Il ministro Calderoli va avanti per la sua strada, minimizzando su quella che lui chiama una semplice bozza di legge – presentata lo scorso novembre in sede di Conferenza delle Regioni – proprio quando comincia a salire il dissenso totale sul contenuto, manifestato dalle opposizioni, da comitati, associazioni  e dai semplici cittadini. Ma l'apparente basso profilo non deve trarre in inganno.

Il punto di partenza è che la probabile futura legge sull'autonomia differenziata, è stata ed è la merce di scambio con il presidenzialismo; è cioè la base sulla quale poggia l'intesa fra Lega e Fratelli d' per fare le riforme istituzionali. Se dunque l'accordo c'è, altro sono i tempi di messa in cantiere delle rispettive proposte. Ad oggi, la Meloni frena l'irruenza dell'alleato, pressato da Salvini, stanco di inanellare insuccessi a ripetizione tanto da portare il suo partito ad uno stato di evidente vassallaggio alle dipendenze di Fratelli d'Italia. Calderoli non demorde perché sa benissimo che prima porta sulla scrivania della Presidente del Consiglio il testo sull'autonomia e prima riceverà una risposta.

Il nodo, in parte, è tutto qui. Giorgia Meloni vuole, nell'arco della sua presidenza, portare a compimento la trasformazione dello Stato da una Repubblica parlamentare ad una semipresidenziale e, se anche dovesse procedere tutto senza intoppi, ci vorrebbero almeno due anni. Troppo lunga l'attesa per un partito, la Lega, che in quel lasso di tempo potrebbe addirittura sprofondare nell'infinitamente piccolo. Ma anche l'eventuale approvazione della c.d. “Legge di differenziazione” – prevista dal comma 3 dell'articolo 116 della Costituzione – potrebbe avere tempi inaspettatamente lunghi, in quanto il dettato costituzionale prevede l'approvazione della legge da parte delle Camere a maggioranza assoluta.

È quindi in corso una guerra di logoramento fra i due alleati, che vede parzialmente indebolita però la forza d'urto della Lega ora che il Governatore dell'Emilia-Romagna,  Stefano Bonaccini si è sfilato dall'appoggio dato alla proposta Calderoli – appoggio, va detto, formulato con molti distinguo – a fronte della candidatura alla Segreteria del PD dove rischierebbe di perdere i voti degli Amministratori del Sud. Insomma è tutto in ebollizione e dentro questa cornice si consumerà il braccio di ferro tra gli ‘amici-nemici' di Lega e Fratelli d'Italia.

Ma ancora una volta dobbiamo fare attenzione; questa non è una bagatella di poco conto fra due partiti. La posta in gioco è altissima perché riguarda l'integrità della Repubblica e, aggiungerei, l'unità dello Stato. Come afferma l'economista e scrittore Giuseppe De Marzo:

«Pochi riescono a comprendere che l'autonomia differenziata, qualora dovesse passare, è un progetto eversivo per la nostra democrazia, perché la secessione dei ricchi, di fatto, istituzionalizzerebbe le povertà e le disuguaglianze del nostro Paese» [1].

Potrebbero apparire parole forti, magari solo frutto di interpretazioni estreme, ma non è così; quella semplice bozza composta da soli nove articoli, stilati per definire le modalità di attuazione dell'autonomia differenziata che le Regioni a statuto ordinario possono richiedere, è un vero e proprio detonatore posto alla base dell'unità nazionale che, giova ricordarlo, si fonda sul rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà. Non a caso il Presidente Sergio Mattarella nel discorso di fine anno ha voluto ribadire con poche ma essenziali parole questo concetto: «La Repubblica siamo tutti noi. Insieme.  »[2]. Ecco, l'uso dell' avverbio “insieme” racchiude il senso più alto della convivenza civile, del non essere divisi o separati. Altra via non c'è, e il segno di interpunzione finale, il punto, suggella senza alternative questo modo di essere Repubblica e Stato. Il riferimento, neanche troppo velato, alle sgomitate della Lega con la bozza di lavoro sull'autonomia differenziata, è fin troppo evidente. Ma d'altronde questo testo, per quanto rivedibile e migliorabile, porta alla negazione di tutto ciò che sta alla base di una concezione pluralista dell'unità politica, che deve essere indirizzata a soddisfare gli interessi generali.

Il testo di Calderoli va a cozzare contro tutto, come un camion in una cristalleria, anche contro il testo stesso di riforma del Titolo V della Costituzione – Le Regioni, le Province e i Comuni – che contiene l'articolo 116 di riferimento alla bozza, improntato comunque ad un modello di regionalismo su base solidaristica tendente allo sviluppo della società nel suo complesso. Allo stato attuale, se è pur vero che il 3° comma dell'articolo 116 della Costituzione permette il trasferimento alle Regioni di 23 materie ancora oggi disciplinate dallo Stato, va evidenziato anche l'esistenza di un ulteriore pericolo; cioè una carambola frontale fra le Regioni che hanno preso l'iniziativa – cioè Lombardia (richiedente 20 materie sulle 23 previste), Veneto (richiesta di 23 su 23) e Emilia Romagna (solo 16 su 23) e le altre. Insomma uno scontro fra Nord e Sud, avvolto dal puzzo di secessione.

D'altro canto, nessuno sa come la pensano oggi quei cittadini che nel 2017 hanno votato il referendum regionale per la differenziazione, e quindi andrebbe detto loro che la richiesta di autonomia differenziata porterà ulteriore potere alle classi dirigenti regionali «ma è assai discutibile che porterà automaticamente vantaggi ai cittadini. Si può pensare questo, solo se si accetta la vulgata leghista – priva di riscontri teorici, scientifici e fattuali – secondo cui più sono forti le Regioni, meglio è per i loro cittadini»[3].

Il fatto che da questa sciagurata iniziativa possano avvantaggiarsi le classi dirigenti, mi sembra abbastanza evidente anche perché sarebbe interessante conoscere quale potrebbe essere il tornaconto di una famiglia, ad esempio lombarda, nel sapere che i propri figli hanno insegnanti selezionati dai concorsi indetti dalla Regione Lombardia. Sorge il dubbio che qualcuno possa pensare che è meglio conoscere Manzoni di Pirandello. Gli esempi potrebbero seguire all'infinito. Prendiamo la Sanità. Perché una famiglia del Nord dovrebbe trovare più conveniente la gestione regionale al Servizio Sanitario Nazionale? Non può quindi sfuggire l'evidenza che in un contesto nazionale già così frammentato, con punte aguzze  di disuguaglianze, il dibattito sul regionalismo differenziato – almeno per come è impostato nelle intenzioni della Lega – vada necessariamente a configurarsi come portatore di una intrinseca e, direi, manifesta pericolosità. Questo perché tutto sembra essere improntato più ad una logica competitiva che solidaristica con l'aggravante – non sempre evidenziata dai commentatori – che la funzione del Parlamento, in questo caso, verrebbe ad essere svilita a tal punto fino a trasformarlo ad organo ratificatore delle decisioni prese dagli esecutivi regionali; senza possibilità di proporre emendamenti.

Quindi si ritorna al punto di partenza e cioè che quei 9 articoli contenuti nella bozza-Calderoli siano solo materiale esplodente che va tenuto a debita distanza. La sintesi al dibattito, che spero si accenderà quanto prima nelle sedi opportune, è stata già tracciata dal professore di Economia applicata presso il Dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Bari Gianfranco Viesti proprio a ridosso della presentazione della proposta in bozza. Osserva il docente:

«Io non la chiamerei riforma, perché le riforme rappresentano una serie di cambiamenti a vantaggio dei cittadini. E, mi pare, non sia questo il caso. Bensì, trattasi di una richiesta di poteri da parte di alcune Regioni che implicherebbe delle conseguenze molto negative sia sul funzionamento del Paese, sia sulle disparità fra cittadini. Ovvero, essendo una richiesta dalle dimensioni enormi, i suoi effetti sono molto differenziati nei diversi ambiti di applicazione, poiché influiscono sulle politiche pubbliche nel loro insieme, e alcuni di questi potrebbero essere ancora indefiniti al momento di accettare tale richiesta. In realtà, ciò che conta sono i dettagli del trasferimento di poteri, di risorse finanziarie e di personale. Dettagli che verrebbero stabiliti successivamente all'eventuale approvazione della richiesta di autonomia differenziata da parte di commissioni miste (governo-regione) le cui decisioni diverrebbero insindacabili» [4].

Non si può non concordare e, aggiungerei, che oltre alla pericolosa dilatazione fra Nord e Sud, la bozza causerebbe nella pratica uno stravolgimento della Costituzione senza passare attraverso l'iter previsto dall'articolo 138.

Stefano Ferrarese

   

[1] Federica D'Alessio https://www.micromega.net/mobilitazione-contro-autonomia-differenziata/, 22 dicembre 2022
[2] Sergio Mattarella https://www.quirinale.it/elementi/75654, Palazzo del Quirinale 31 dicembre 2022
[3] Gianfranco Viesti, https://www.rivistailmulino.it/a/autonomia-differenziata-il-silenzio-del-nord, 25 novembre 2022
[4] Giulia Gigante, https://formiche.net/2022/12/autonomia-differenziata-viesti-nord-sud/, 21 dicembre 2022

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