
Come previsto dalla Costituzione del Bangladesh, i parlamentari devono giurare entro tre giorni dalla pubblicazione dei risultati elettorali, pena l'annullamento. I deputati del partito della Lega Awami (AL, Lega popolare) della rieletta Primo Ministro, Sheikh Hasina hanno giurato così come quelli del partito Jatiya (JaPa) channo prestato giuramento, mentre i parlamentari dell'opposizione tra cui il Partito Nazionalista del Bangladesh (BNP) non l'hanno ancora fatto a dimostrazione di un clima ancora troppo teso.
Entro trenta giorni dal giuramento deve essere convocato il nuovo Parlamento che comunque potrà iniziare i suoi lavori solo dal 29 gennaio prossimo e cioè il giorno dopo la chiusura del vecchio [1]
In questa undicesima legislatura sono state elette 22 donne su 299 seggi (il trecentesimo causa la morte di un candidato non è stato assegnato). Molto poche, ma comunque un passo avanti per un paese dove sono il 29% della forza lavoro e contribuiscono per il circa il 34% del Pil.
Da molte parti si continua a parlare di democrazia, ma le elezioni nazionali che si sono svolte il 30 e 31 dicembre scorso hanno poco di regole democratiche, né quelle delle democrazie liberali né tantomeno di una democrazia reale. In un clima di violenza con 17 morti e centinaia di feriti non è possibile pensare a condizioni di voto sicure che possano consentire una libera scelta. Se poi si pensa alla repressione messa in atto dal governo tramite l'autorità giudiziaria e gli organi di polizia durante la campagna elettorale si può trarre la conclusione che queste elezioni, come del resto quelle del 2014 boicottate dal BPN e con un affluenza del 22%, andrebbero riconvocate come vorrebbe l'opposizione.
Un rapporto dell'associazione Human Rights Watch che cita dati del segretario generale del Bnp, Ruhul Kabir Rizvi, parla di «circa tremila cause coinvolgono 300mila politici e attivisti bengalesi, diverse delle quali palesemente montate, in più casi ai danni di nomi noti dei partiti di opposizione, accusati di “aver ordito attività sovversive” malgrado i presunti colpevoli fossero defunti da anni. Molti degli arrestati hanno subito pestaggi, minacce e torture, inclusi i giornalisti finiti in custodia per effetto della famigerata sezione 57 dell'Information and Communication Technology Act (Icta), legge che dalla sua introduzione ha soffocato la stampa libera, costringendo i principali media all'auto-censura preventiva, come denunciato da Reporter sans Frontières» [2],
A queste si sono aggiunte segnalazioni di molti brogli che hanno il sentore della verità e così dalla Gazzetta ufficiale risultano 257 seggi per la Lega Awami, 22 seggi per il partito Jatiya, guidato dall'ex dittatore militare HM Ershad che insieme con due seggi per ognuno formano l'Alleanza di governo; il Partito dei Lavoratori del Bangladesh ha tre seggi, la Federazione Tariqat del Bangladesh ne ha uno come il Partito Jatiya e cinque seggi al maggior partito di opposizione: il BPN.
Quest'ultimo ha dovuto fare a meno della sua leader ed ex Primo ministro Khaleda Zia, condannata lo scorso febbraio a cinque anni di carcere per il reato di corruzione e per altri due per abuso di potere. Una misura che anche questa sa di regolamento per via giudiziaria della disputa politica.
E così la premier Sheikh Hasina, 71 anni, figlia del presidente fondatore del Bangladesh, nazione a maggioranza musulmana e nata con l'indipendenza dal Pakistan dopo una guerra devastante, con la sua Lega popolare conserva e amplifica (siamo al quarto mandato) un potere che per molti, all'interno e all'estero, vedono come autoritario, se non peggio. Infatti «attivisti e giornalisti descrivono un clima di paura in cui criticare il governo può avere conseguenze pericolose. A settembre, il governo di Hasina ha approvato un nuovo atto di “sicurezza digitale” che impone condanne detentive a determinati tipi di “propaganda”, una legge che i redattori dicono che gli storpi fanno pressione sulla libertà» [3].
Sia pur con modalità e con dimensioni diverse di autoritarismo sembra di vedere quello che potrà accadere in alcuni paesi europei, nel prossimo Brasile di Bolsonaro o forse nelle democrazie liberali dove si scambiano migliori condizioni economiche con libertà e diritti. L'economia del Bangladesh continua a crescere a ritmi elevati (+7,3% e cioè più di India e Cina) trainata dal manifatturiero e il livello di povertà scende (anche per le rimesse degli emigrati) anche ma ancora oltre il 26% della popolazione lo scorso anno ha sofferto la fame e le disuguaglianze sono molte anche per le condizioni di lavoro dove le multinazionali di mezzo mondo sono corresponsabili. E pure con buona pace dell'estesa corruzione che caratterizza il paese.
La lotta al terrorismo islamico fa ben considerare la premier in particolare dalla vicina India, mentre l'aver dato rifugio a centinaia di migliaia di profughi musulmani Rohingya, sotto attacco in Myanmar, la mettono sotto una luce meno fosca.
Pasquale Esposito
[1] Ashif Islam Shaon, “I parlamentari appena eletti hanno giurato, il BNP salta la cerimonia del giuramento”, https://www.dhakatribune.com/bangladesh/election/2019/01/03/newly-elected-mps-take-oath, 3 gennaio 2019
[2] Emanuele Confortin, “Fake democracy, il Bangladesh torna alle urne in un clima di terrore”, https://eastwest.eu/it, 28 Dicembre 2018
[3] Joanna Slater e Azad Majumder, “Why Bangladesh's landslide election result is bad for its democracy”, https://www.washingtonpost.com/world/2018/12/31/why-bangladeshs-landslide-election-result-is-bad-its-democracy/?utm_term=.d7536e9a0805, 31 dicembre 2018
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