
Dalla strada si vedono solo le tende. Sarebbero anche difficili da notare, non fosse per un via vai di persone più o meno costante nei dintorni. Il traffico scorre senza frenesia in questa parte di Roma. Sembra di essere alla periferia della capitale, dove lo stress più irrequieto lascia il posto alla monotonia di giornate sempre uguali. Invece, siamo praticamente a due passi dalla stazione Tiburtina, uno dei principali snodi urbani.
Il Baobab Experience, un presidio per migranti, si trova qui, in quest’angolo di città che appare dimenticato da tutto e tutti. Eppure, pochi metri più in là, la via è dominata da un enorme palazzone di recente inaugurazione, sede di un’importante banca italiana. Due mondi distanti, che la sorte ha voluto vicini, quasi fossero ognuno la negazione dell’altro.
Le foto sono di Lorenzo Raffanelli
Ci avviciniamo con cautela, non per timore, ma per non minare un luogo che ci sembra di invadere, come turisti irrispettosi. Alcuni ragazzi rimangono indifferenti alla nostra vista, abituati a convivere con gente che va e viene; altri ci scrutano, pur tornando presto alle loro faccende abituali, ai loro spazi improvvisati e condivisi. Tutti ci salutano con un “ciao”, timido o sorridente, che evidentemente l’esigenza della quotidianità ha imposto loro di memorizzare in fretta.
Il Baobab è una delle realtà più significative di Roma in termini di accoglienza. Si tratta di un centro autogestito, dove alloggiano soprattutto migranti in transito. La sua storia, fin dalle origini, coincide in buona parte con le cronache dei fenomeni migratori, al centro dell’attenzione politica e mediatica da ormai alcuni anni.
È l’estate del 2015, i migranti in arrivo in Italia sono migliaia, e Roma è una tappa obbligata del loro viaggio della speranza, destinato spesso a proseguire verso il nord Europa. La città si trova costretta a gestire una situazione esplosiva, ai limiti del collasso. Nel silenzio delle istituzioni, incapaci di trovare soluzioni adeguate, la risposta arriva dai cittadini, che si attivano per gestire come possono la massa umana in costante aumento. I migranti si spingono verso via Cupa, nei pressi della stazione Tiburtina, dove c’era già un centro di accoglienza, troppo piccolo però per garantire assistenza alle centinaia di migranti che ogni giorno sono in transito nella capitale. I residenti della zona protestano per una situazione che effettivamente diviene presto insostenibile, complici gli sbarchi quotidiani sulle coste italiane. Iniziano i contrasti tra i volontari del Baobab e le forze dell’ordine e le istituzioni, che si traducono in sgomberi forzati.
Il Baobab a via Cupa resiste fino al settembre dello scorso anno, quando la chiusura definitiva gli impone un pellegrinaggio alla ricerca di una nuova sistemazione. Sembra la fine di quella grande esperienza di umanità. Ma i volontari non si danno per vinti e dopo varie soluzioni temporanee giungono a piazzale Maslax, sede attuale del Baobab. E così, a maggio 2017, prende avvio una nuova pagina dell’accoglienza a Roma e del progetto Baobab Experience.
Le foto sono di Andrea Bussoletti
Non esistono porte in questo presidio. Non potrebbe essere altrimenti per un’associazione e un’attività che fanno dell’ospitalità il loro punto di forza. L’intenzione è quella di permettere l’ingresso a chiunque lo desideri, senza esclusioni, favorendo allo stesso tempo forme di autogestione da parte dei ragazzi. I volontari sono presenti quasi sempre, alternandosi secondo i propri impegni; tuttavia, pur costituendo la spina dorsale del progetto, i veri protagonisti restano i ragazzi, con le loro esigenze e inclinazioni. E che la strada intrapresa, nonostante mille difficoltà logistiche, dia risposte positive lo si capisce semplicemente trascorrendo del tempo insieme ai ragazzi all’interno del centro. Sorridono, giocano, sembrano tenere lontani i loro tormenti, quantomeno ai nostri occhi: a ingannarci, forse, è la percezione ingenua e distorta di chi osserva la tragicità dei fenomeni migratori dall’esterno, senza esserne coinvolto direttamente.
Ognuno dei ragazzi ha i suoi spazi, il suo gruppo di amici, il suo riparo fatto di stoffe e materassi; ognuno trascorre il tempo come preferisce, pur nel costante tedio e malessere di un’esistenza priva di slanci. Aspettano un sussulto, un segnale, una notizia positiva dai soffocanti ingorghi della burocrazia italiana in grado di dare una svolta al loro futuro. Aspettano di sapere in che modo saranno uniti i fili del loro destino da cui, come marionette, dipenderanno le loro sorti. Ci sono migranti aventi diritto di protezione in attesa di capire dove saranno collocati; altri aspettano di racimolare qualche soldo per acquistare un biglietto di sola andata direzione Ventimiglia; altri ancora aspettano che venga accolta o respinta la loro domanda d’asilo. Attendono. Come hanno atteso prima di attraversare il deserto, prima di salire su un barcone instabile, prima di fuggire da un mondo privo di garanzie e certezze. Tutte le loro giornate sono l’attesa infinita di una novità che spesso tarda ad arrivare. Il momento propizio, un colpo di fortuna, il caso per una volta non avverso: tutto ciò riempie di fiducia le loro giornate senza clamore.
Nel frattempo, l’associazione Baobab gli resta vicino come può, garantendo loro quei servizi essenziali che costituiscono già un rifugio rispetto all’abbandono totale, unica alternativa possibile. Tutto questo ce lo spiega Andrea Costa, coordinatore del progetto, con un tono che sottintende la normalità di quello che l’associazione fa, senza inserirne l’operato tra gli atti eroici della solidarietà: “Abbiamo il team legale che dà consigli ai ragazzi e li supporta; abbiamo medici per i diritti umani che vengono con il camper tre volte a settimana per aiutare sanitariamente i ragazzi; ci siamo sempre all’ora dei pasti per garantirgli di mangiare tre volte al giorno”. A tutto ciò, si aggiungono una serie di attività organizzate dall’associazione, finalizzate all’inserimento sociale degli ospiti del presidio all’interno della collettività: avviamento al lavoro; gite culturali a Roma; concerti; cinema. Per risvegliare il loro orgoglio ferito serve probabilmente più tempo, ma le proposte del Baobab costituiscono già un segnale forte rispetto all’emarginazione e alla discriminazione totale a cui i migranti rischiano di essere relegati con disprezzo.
Se il Baobab riesce a portare avanti le sue iniziative è anche grazie al sostegno che riceve da parte della cittadinanza. Andrea Costa ci tiene a sottolineare che molte persone hanno mostrato vicinanza e comprensione nei confronti del Baobab e dei migranti, aiutando l’associazione a recuperate tutto il materiale di cui necessita nella sua attività quotidiana. Gli attivisti si rivolgono spesso alla collettività, attraverso campagne di sensibilizzazione o appelli, che sono stati sempre accolti in maniera positiva. Comitati di quartiere, singoli cittadini, parrocchie, associazioni varie e partiti politici portano cibo al presidio, forniscono tende o abiti, partecipano agli eventi promossi dal Baobab, contribuendo a rendere più condivisa l’opera della solidarietà.
Ciò che spinge i volontari a portare avanti questo coraggioso progetto è un intimo coinvolgimento interiore: la convinzione che la strada dell’accoglienza sia l’unica percorribile di fronte a processi migratori dettati da storie di sofferenze e privazioni. “Noi abbiamo scommesso sull’accoglienza – ci racconta Andrea Costa –. Noi pensiamo che più si accoglie e più si toglie terreno al fondamentalismo. Se loro arrivano e trovano un’Europa che alza i muri, che li picchia, li tratta male, sarà più facile trovare manovalanza per criminalità o atti folli di terrorismo”.
Un aspetto su cui il Baobab punta fortemente è il dialogo, persuasi del fatto che sia l’arma più efficace per favorire l’inclusione e rispondere alle varie forme di rifiuto sempre più diffuse. “Non siamo un collettivo no border violento – precisa Costa – ma siamo aperti al dialogo con tutti. Non abbiamo mai chiuso le porte a nessuno. Anche gli sgomberi li abbiamo subiti, facendo semmai resistenza passiva, ma senza avere mai reazioni violente”. Questo spirito ha fatto evolvere l’attività dell’associazione: non più confinata soltanto all’accoglienza di prima necessità, ma capace di avviare rapporti ben più strutturati e duraturi che accompagnino i migranti nel loro successivo percorso di vita.
Gli attivisti del Baobab, infatti, hanno ormai sviluppato un legame consistente con le associazioni, i collettivi, i comitati che operano ai confini con i migranti, dando origine a una rete europea di solidarietà condivisa. Gran parte dei migranti che stanziano a Ventimiglia o a Como sono passati prima dal Baobab, dove sono stati messi nelle migliori condizioni possibili, sia fisiche che psicologiche, per affrontare il resto del viaggio. I volontari del Baobab cercano di assistere gli ospiti, fornendogli pasti caldi e protezione e aiutandoli a ricomporre i tasselli di un’esistenza messa spesso a dura prova, eppure ancora integra. Oltre non possono andare. Per il resto, i migranti dovranno nuovamente aggrapparsi alla loro volontà, secondo quel patto segreto che hanno stretto con se stessi prima di partire e che, a ogni sosta, s’impegnano a rinnovare.
Lorenzo Di Anselmo
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