BCE: aumentati i tassi d’interesse e nuovo anti-spread

Banca centrale europea BCE
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La Banca Centrale Europea (BCE) per la prima volta dopo undici anni da deciso di aumentare i tassi di interesse sui depositi. La BCE ha scelto una linea forte: l’aumento approvato è dello 0,5% (rispetto alle attese dello 0,25%) in considerazione che l’Unione sta attraversando un periodo a dir poco complicato per gli effetti della pandemia, dell’aumento dei prezzi e della guerra. Mettere i freni attraverso i tassi d’interesse potrebbe avere contraccolpi sull’economia. Negli USA, la Federal Reserve aveva già aumentato i tassi dello 0,75% per combattere l’inflazione anche se da quelle parti è più trainata dalla domanda di beni e servizi e dai salari in crescita che dai prezzi dell’energia.

A medio e lungo termine l’obiettivo della BCE è portare l’inflazione ad un più sostenibile 2% rispetto a quella di questi tempi, superiore all’8% e di cui ne fanno le spese i percettori di salari e stipendi (in Italia in particolare), non più ancorati all’inflazione, e soprattutto ne fanno le spese i meno abbienti che in molti casi devono ridurre spese fondamentali per arrivare a fine mese.

Per quanto l’andamento dei dati economici e monetari faranno da guida, la banca nel suo comunicato precisa che «nelle prossime riunioni del Consiglio direttivo sarà opportuna un’ulteriore normalizzazione dei tassi di interesse», come a dire che la stretta sui tassi continuerà. Non vedremo per molto tempo i tassi negativi che hanno caratterizzato questi ultimi anni. Infatti il tasso sui depositi presso la BCE e presso  le banche centrali nazionali dei paesi dell’area dell’euro è stato portato a zero da -0,50 (le banche finora depositando denaro presso la BCE e le Banche centrali pagavano invece di incassare un interesse).

L’aumento dei tassi d’interessi si ripercuoterà su tutto il sistema e quindi chiedere denaro alle aziende (per esempio attraverso le obbligazioni o richieste di finanziamento) e ai privati (ad esempio i mutui) sarà più costoso. La conseguenza potrebbe essere il rallentamento ulteriore dei consumi e della crescita come si diceva.

A livello globale c’è anche il tema debito pubblico che da circa il 79% nel 2019 è arrivato a circa il 90% nel 2021 nei paesi dell’UE. Grecia, Italia, Portogallo ma anche Francia potrebbero essere costretti a pagare sempre più interesse agli investitori per poter collocare il loro debito già abbondantemente oltre il 100% del proprio Prodotto interno lordo.
Va anche detto però che per gli stati indebitati l’inflazione un aspetto positivo lo può generare e cioè che l’aumento dei prezzi fa cresce il Pil nominale e quindi migliora il rapporto debito/Pil a cui si faceva cenno.

Il contrasto all’inflazione passa anche tramite l’avvio dello scudo anti-spread, il Transmission Protection Instrument (Tpi) che servirà, secondo la BCE, a «sostenere l’effettiva trasmissione della politica monetaria», assicurando che «l’orientamento di politica monetaria sia trasmesso in modo ordinato in tutti i paesi dell’area dell’euro, un presupposto affinché la Bce possa adempiere il mandato di mantenere la stabilità dei prezzi». Il Tpi  è rivolto quasi esclusivamente ai titoli pubblici con scadenze tra uno e dieci anni e verrà attivato a condizione che vengano rispettati alcuni criteri: il rispetto della sostenibilità fiscale prevista dall’UE, l’assenza di gravi squilibri macroeconomici, la presenza di politiche macroeconomiche solide e sostenibili previsti dagli impegni del Piano di Ripresa e di Resilienza (PNRR).

Vedremo se ancora una volta dalla Germania arriveranno gli stop per incostituzionalità come nel passato. Ma forse i banchieri e i politici tedeschi dovranno valutare gli aiuti che potrebbero giungere dall’Italia per le forniture di gas in caso di diminuzione degli approvvigionamenti nei prossimi mesi.
Ciro Ardiglione

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