
Il Belgio in questi giorni è sotto la luce dei riflettori a causa della fuga di iodio radioattivo dall'Istituto dei radioelementi di Fleurus nella regione di Charleroi. L'episodio è grave perché, sebbene con il consueto ritardo del caso, sia verso la popolazione che verso le istituzioni internazionale, ha costretto le autorità a proibire il consumo di acqua, latte, frutta e verdura della zona [1]. Ma questo paese di circa undici milioni di abitanti e con una lunga tradizione comunitaria europea che ha messo la sua capitale al crocevia dei destini dei popoli europei meriterebbe qualche attenzione in più per la grave crisi istituzionale in cui versa e che si riflette, con evidenti complicazioni, nelle relazioni tra i loro abitanti.
Una maggiore attenzione alla situazione del Belgio è inoltre quanto mai necessaria in questi tempi di separazioni e riconoscimenti spesso in spregio al diritto e agli accordi internazionali che sono i presupposti di pacifiche convivenze. Stiamo parlando ad esempio della recente “conclusione” della guerra lampo russo-georgiana e della proclamazione dell'indipendenza del Kosovo. Senza dimenticare le questioni autonomiste o separatiste nelle varie regioni d'Europa, ovviamente Italia compresa, o in Bolivia per parlare di un altro continente.
Bruxelles, il Palazzo Reale, agosto 2008. foto Pasquale Esposito
Forse non si arriverà a disgregare del tutto l'unità dello stato belga, ma la separazione in atto tra fiamminghi e valloni è profonda.
La netta separazione linguistica ha inizio nel 1932, fortemente spinta dai francofoni che non volevano nè uno stato bilingue né “confondersi” con le Fiandre povere e cattoliche. Dagli anni sessanta in poi, precedute e accompagnate da frequenti crisi di governo, si sono succedute una serie di leggi che hanno portato il regno del Belgio ad una struttura federale con un notevole decentramento di competenze e poteri.
E con il tempo la rappresentanza politica nelle istituzioni è diventata su base linguistico-territoriale e non più espressione di progetti e idee universali o più semplicemente nazionali.
Ai giorni nostri le richieste di separazione provengono in maniera forte dal nord ricco grazie allo sviluppo di aziende nei servizi e nel settore tecnologico. La maggioranza dei fiamminghi non intende sostenere più i sussidi che il sud vallone necessita dopo la crisi delle economie minerarie e siderurgiche.
Ma sono le diversità linguistiche e quindi culturali ad avere un ruolo di primo piano in questo regno. Le due comunità non leggono nulla che non sia nella propria lingua, ognuna di esse ha le proprie istituzioni scolastiche, i propri mezzi di comunicazione, i propri partiti politici.
Secondo Jean Quatremer il rischio è che [2].
Per la stabilità in Europa e ancor di più perché le separazioni raramente sono indolori bisognerebbe assumere atteggiamenti meno distaccati nei paesi della comunità europea: [3].
La realtà è sempre più intricata e sembrano allargarsi gli episodi di divisione. Per fare due esempi banali troviamo situazioni come l'abbandono della bandiera belga dal municipio di Lennik, iniziativa peraltro legale[4], o i sempre maggiori problemi nell'area turistica sulla costa belga del mare del Nord, per lungo tempo indenne da questioni linguistiche, tanto che i francofoni stanno vendendo i loro appartamenti [5]. Non mancano iniziative opposte come quella intrapresa da Marie-Claire Houard, una semplice cittadina, e Vincent Godefroy, giornalista e scrittore, che nel novembre del 2007 riuscirono a raccogliere 140.000 firme in favore dell'unità del paese stanchi della mancanza di un governo solido e di un accordo tra le parti [6].
Ed infatti dal giugno del 2007 quando si sono svolte le ultime elezioni legislative che non si riesce a trovare una via d'uscita nella formazione di un governo stabile.
Anche queste elezioni erano state dominate dalla richiesta di nuove regole nell'ambito dell'assetto costituzionale per consentire un'ulteriore depauperamento dei poteri delle centro a favore delle regioni e quindi a provocare l'ennesimo all'allargamento del fossato che separa le due comunità.
Gent, il mercato, agosto 2008. Foto Pasquale Esposito
I risultati videro un arretramento del partito del premier Guy Verhofstadt i Democratici e Liberali Fiamminghi (VLD) con l'11,8% mentre i Cristiano-democratici (CD&V) riportarono un 18,5% (primo partito belga), il Movimento Riformatore il 12,5% (MR), i due partiti socialisti vallone (PS) e fiammingo (SPA) rispettivamente il 10,9% e il 10,3% e il partito separatista Vlaams Belang il 12%.
Passando per un governo provvisorio affidato a Verhofstadt che vide la luce solo alla fine dello scorso anno e che elaborò, attraverso un comitato di saggi, una proposta concreta per le riforme in due fasi successive. La prima prevedeva il trasferimento alle regioni di alcune competenze inerenti espropri, superfici commerciali, alcuni imposte per la politica energetica, per la sicurezza stradale e per le telecomunicazioni. La seconda che avrebbe dovuto essere avviata a luglio 2008 per il passaggio delle dei poteri su lavoro, sanità, fisco, funzione pubblica e procedura penale [7].
L'accordo prevedeva che Verhofstadt passasse il testimone al suo avversario Yves Leterme capo del CD&V che avrebbe dovuto condurre in porto le riforme e chiudere il periodo id totale instabilità. Ma non c'è mai stata soluzione di sorta anche perché un dei nodi cruciali non era mai stato risolto: il ruolo e l'organizzazione del regione di Bruxelles-Hal-Vilvorde (BHV) dove i francofoni forti della maggioranza linguistica nella capitale vogliono un'estensione mentre i fiamminghi vorrebbero nuove regole a loro favore.
Morale della storia a metà luglio Leterme ha dichiarato il proprio fallimento e quello della sua coalizione composta da cinque partiti fiamminghi e francofoni.
Dopo aver respinto le dimissioni di Leterme il 20 luglio scorso, in un messaggio alla tv, il re Alberto II ha chiesto di reagire a questa situazione affermando <<dobbiamo inventare nuovi modi di vivere insieme nel nostro paese>> [8]. E il 31 luglio ha chiesto ai tre mediatori che aveva designato di prolungare, fino a metà settembre, per trovare nuovi equilibri istituzionali. Vedremo nelle prossime settimane se questi quattordici mesi di crisi avranno una fine e se i belgi saranno ancora uno stato unitario.
Pasquale Esposito
[1] Anna Maria Merlo, “Incidente in Belgio, un atomo tira l'altro”, Il Manifesto 30 agosto 2008, pag. 10; Alberto D'Argenio, “Belgio, incidente nel laboratorio la fuga radioattiva è in città”, La Repubblica, 30 agosto 2008, pag. 23; Enrico Brivio, “Fuga radioattiva, allarme in Belgio”, www.ilsole24ore.com, 30 agosto 2008
[2] Jean Quatremer, “Il lungo crepuscolo del Belgio”, Libération nella traduzione di Internazionale, 7 dicembre 2007, pag. 88
[3] Ian Buruma, “La crisi belga e l'incubo secessione”, nella traduzione di Francesca Santovetti, Il Corriere della Sera, 31 luglio 2008, pag. 34
[4] Lo prevederebbe una cirolare che consente 350 giorni l'anno l'esposizione della bandiera fiamminga, cfr. Martine Dubuisson, “L'exemple flamand, sans doute inique au monde…”, www.lesoir.be, 22 agosto 2008
[5] Laurent Dupuis, “Cote belge ou Vlaamse kust?”, Le Vif, 15-21 agosto 2008, pagg. 20-21
[6] David Charter, “People's power on march to save Belgium“, www.timesonline.co.uk, 19 novembre 2007
[7] Jean-Pierre Stroobants, “Flamands e francophones sont parvenus à un accord sur le premier volet de la reforme de l'Etat”, www.lemonde.fr, 26 febbraio 2008.
[8] “Belgio, re Alberto fa appello all'unità”, http://it.reuters.com, 20 luglio 2008
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