
Blu come il cielo, come il mare, il blu che nel mondo occidentale evoca la pace e la spiritualità, la tranquillità; il blu che raramente è blu, se non per il cielo dopo il tramonto o il mare quando è profondo; il blu che è quasi sempre una gamma di azzurri. Soprattutto nella cultura italiana e nella lingua italiana è il colore più amato – secondo uno studio il colore preferito dal 50% degli europei – ma il blu è anche un blues, il colore della tristezza, della malinconia, della non riuscita, come soprattutto la lingua francese ricorda ma anche quella inglese ed è il colore dell'invidia nel Corano.
Il blu è in generale il colore della fedeltà, che designa un rapporto stabile e privo di tensioni, caratterizzato da sentimenti profondi, della freddezza, della calma, del silenzio e della pace – insieme al bianco – della lealtà e dell'equilibrio, insieme al verde. È considerato anche simbolo di spiritualità, tranquillità, sensibilità e mistero. “Blu” è termine utilizzato per definire la musica blues, come la malinconia, un coup de bleu.
Colore freddo che ha come complementare l'arancio, insieme crea un senso di grande benessere, un'energia che fluisce armoniosa e serena e per questo è la combinazione ideale nelle camere da letto. Il primo rimando al blu è il cielo, che non è mai saturo, denso, ma appunto arioso: il blu spesso lo si associa a questa sinestesia tattile di leggerezza che diventa anche metaforica, lieve come lo spirito. È in particolare il colore del cielo notturno, quando è chiaro e sereno, perché le molecole di gas che compongono l'atmosfera terrestre diffondono solo la luce blu, che ha lunghezza d'onda minore, mentre le lunghezze d'onda maggiori vengono assorbite. In teoria il cielo dovrebbe esser bianco ma non lo è e il motivo fu scoperto 150 anni fa dal fisico irlandese John Tyndall: il cielo è azzurro perché la luce solare, che è bianca, a contatto con l'atmosfera terrestre, si suddivide e i raggi blu, che hanno una lunghezza d'onda più breve degli altri, si diffondono in tutte le direzioni.
Ora anche le grandi distese d'acqua, come mari e laghi, con il cielo sereno spesso appaiono blu anche perché riflettono l'azzurro e il celeste del cielo, assumendo però una tonalità più scura in quanto le bande energetiche vengono assorbite in modo differente dall'acqua, facendo scomparire le radiazioni più deboli: prima il rosso, poi il giallo, poi il verde, lasciando come colore dominante il blu. In natura dunque il blu è associato al sole e al sereno.
In natura ci sono diversi minerali blu come l'ambra blu, l'azzurrite, lo zaffiro blu, l'agata blu, la boleite, la cornetite e il lapislazzulo; farfalle, pesci e soprattutto è legato al blu il piumaggio degli uccelli. Molto raro nei fiori, è sempre una sfumatura tra l'azzurro e il viola. Forse per questo il fiore blu è considerato una chimera, come viene introdotto dicato dal poeta dello Sturm und Drang, Novalis, il cui vero nome era Georg Philipp Friedrich von Hardenberg che ne fa un simbolo centrale d'ispirazione, nel suo romanzo incompleto di formazione Heinrich von Ofterdingen, dove il giovane protagonista sogna un fiore blu che lo chiama, assorbendo totalmente la sua attenzione. Esso rappresenta il desiderio, l'amore e lo sforzo metafisico di accostarsi all'infinito e all'irraggiungibile. L'occhio azzurro per l'essere umano, carattere recessivo, è legato a purezza, nobiltà, bellezza in genere, almeno tradizionalmente. Nella cultura araba esiste una figura mitica, la hamamah zarqah, letteralmente la colomba blu, una donna dagli occhi blu che vedeva più lontano degli altri, prevedendo anche sciagure, una sorta di Cassandra. Si narra che avesse avvistato i nemici da lontano e messo in allarme la sua tribù che le credette, venendo così distrutta.
La parola “blu” deriva dal protoindoeuropeo bhle-was. La cui radice bhle, oltre a significare “blu” appunto, significava anche “color della luce”; dalla stessa radice, abbiamo il latino blavus, “sbiadito”. Il termine in italiano è un adattamento del corrispondente termine francese bleu, anch'esso correntemente usato in italiano, e in modo prevalente fino agli anni Ottanta; che a sua volta deriva dal provenzale antico blau, e questo dal franco blāo, della stessa radice del latino blavus e così si chiude il cerchio. Per curiosità, per sapere se si scriva “blu” o “blù” con l'accento è utile ricordare che normalmente le parole di una sola sillaba, come “re”, “no”, si scrivono senza accento, salvo che per distinguerle da altre che hanno la stessa grafia.
Per i Maya ad esempio il blu non si distingue dal verde e dal punto di vista linguistico esiste una sola parola per definirli. Nella loro mistica il blu-verde è il colore del centro dell'universo. In sanscrito la parola nila significa sia nero sia blu e Śiva ha la gola colorata di blu, segno del veleno che ha ingoiato ma che non l'ha ucciso; a Krishna invece è attribuito un blu tendente al grigio, come le nuvole di un uragano.
Quanto alla sua simbologia e storia, sembra che i primi esseri umani non conoscessero il blu: non ce n'è per esempio traccia nelle pitture rupestri europee di 20mila anni fa e compare raramente in quelle africane eppure è diventato poi un colore primario nella pittura.
Nei testi più antichi arrivati fino a noi, non esistono nemmeno parole per indicarlo. Non viene mai nominato nella Bibbia. Ad esempio è stato scoperto che la parola tehelet, che si credeva indicasse il blu, indicava invece il rosso porpora, estratto dai molluschi trovati sulle spiagge israeliane e libanesi.
Omero nell'Iliade e nell'Odissea – hanno fatto notare gli studiosi – nomina il bianco e il nero un centinaio di volte, più raramente il rosso (una quindicina), poi il giallo e il verde (meno di dieci) ma mai il blu, nonostante le tante scene marine del secondo poema, dove il mare viene definito “scuro come il vino”, che è però il rosa arancio intenso che acquista al tramonto, come scrive anche Leonardo Sciascia nel racconto omonimo Il mare color del vino che dà il titolo alla raccolta omonima.
Gli Egizi lo consideravano il colore degli dei, mentre ai Greci e Romani non piaceva affatto. In particolare nell'Antico Egitto il blu era opposto al rosso ed era considerato il colore dell'introspezione e dell'infinito, era anche la tinta della pelle del dio dell'aria Amon. Non veniva considerato un colore a sé stante, ma variazioni ora di bianco, ora di verde, ora di nero.
Cyanos, il blu greco, è il colore della sofferenza: “cianotico” è una persona pallida, sofferente. Tuttavia esisteva il Caeruleus, derivato da caelum, che i Romani utilizzavano per descriverne il particolare colore. Successivamente verrà invece ad esser considerato come colore che dà serenità e invita alla calma, simboleggiando l'evasione e la pace. In Oriente era considerato positivo e protettore contro il malocchio; gli occhi blu, inoltre, si ritenevano segno di poteri magici.
Quanto al valore del blu, certamente il Cristianesimo ha dato a questo colore una connotazione di primo piano, identificandolo con la spiritualità e legandolo alla figura di Maria: blu è il suo manto, blu i suoi occhi che hanno dato anche il nome a un fiore. Una leggenda racconta tra l'altro che durante la fuga in Egitto la sua veste si sia impigliata in un ramo di rosmarino che aveva allora fiori bianchi ma che in suo onore gli abbia mutati in azzurro-lilla.
Nel Buddismo il blu segna il passaggio dalla rabbia alla saggezza e quindi individua la devozione e la spiritualità; così come nel Feng Shui indiano, Vatsu, indica il cielo e denota l'ispirazione, la fortuna, lo slancio artistico e la femminilità, in Occidente legata più al rosa e ai colori della terra.
Se nel Corano il colore sacro è il verde e anzi il blu è citato per parlare dell'invidia, è vero che esiste il cosiddetto Corano blu, in arabo المصحف الأزرق, romanizzato al- Muṣḥaf al-′Azraq, un antico manoscritto scritto in caratteri cufici. La datazione, il luogo di origine e il patrono del Corano blu sono sconosciuti e sono stati oggetto di dibattito accademico, sebbene sia generalmente accettato che il manoscritto sia stato prodotto tra la fine del IX e la metà del X secolo a Kairouan, in Tunisia o a Cordoba nella Spagna degli Omayyadi. Il manoscritto è tra le opere più famose della calligrafia islamica, notevole per le sue lettere in oro su una rara pergamena color indaco. Lo storico dell'arte Yasser Tabbaa ha scritto che “l'effetto evanescente” delle lettere dorate sulla pergamena blu “sembra affermare la credenza Mu'tazili nella natura creata e misteriosa della Parola di Dio”. D'altronde il blu lo ritroviamo tra i colori dell'arte arabo-musulmana accanto al bianco, nero, ocra e verde, a simbolo della fuga dal mondo.
A partire dagli antichi Greci fino al Rinascimento, le materie prime utilizzate per produrre il colore blu erano di origine naturale, sia nel caso della pittura sia per tingere stoffe e tessuti. Due erano i minerali utilizzati: il lapislazzulo e l'azzurrite, che venivano polverizzati e amalgamati da olii, in particolare olio di lino, o sciolti nell'acqua. Questo procedimento rendeva il blu il colore più costoso in assoluto tra la gamma dei colori a olio ed era quindi usato con molta parsimonia (al contrario di colori come il marrone in cui bastava mescolare olio e terra).
Gli usi sociali, artistici e religiosi del colore blu non risalgono alla notte dei tempi, come abbiamo accennato e anche quando comparvero le prime tecniche di tintura degli abiti, l'uomo iniziò a tingere in blu molto tempo dopo il rosso, l'ocra, il rosa e il viola, probabilmente a causa della costante difficoltà di fabbricare buoni coloranti e pigmenti di quel colore. I primi coloranti blu conosciuti sono di origine vegetale – il guado che cresceva nell'Europa nel nord, l'indaco in Asia e in Africa – mentre i primi pigmenti blu provengono da minerali, hanno magnificato l'arte pittorica e l'intarsio in marmo noto come ‘Commesso fiorentino' nel Rinascimento.
Dal XIII secolo, a cominciare dalla Francia, ebbe inizio una fiorente attività produttiva per l'indaco, diventando molto richiesto in tutta Europa: il periodo culminante del colore fu il Settecento quando venne inventato un pigmento artificiale, il Blu di Prussia a tal punto che nell'Ottocento cominciò ad essere prodotto artificialmente in Germania.
Negli ultimi cento anni l'azzurro, divenuto appunto il colore preferito in Europa, è particolarmente utilizzato nella comunicazione ed è stato constatato che il suo abbinamento a prodotti come sonniferi, o di pulizia diventa un colore fondamentale per avere un riconoscimento dal mercato.
Secondo la Teoria dei colori di Luescher, chi dà la preferenza al blu esprime il bisogno di quiete e serenità emotiva, oppure è un tipo calmo per natura, altruista, in pace con se stesso e con il mondo. Il blu è un colore che racchiude l'attesa, la magia, il mistero. Ci apre a dimensioni più mistiche, come per esempio il suo utilizzo nell'arte islamica.
Ecco che ritroviamo il blu nelle dimensioni più profonde: cielo e mare, evocando il senso dell'infinito, come ci suggerisce la ricerca dell'artista Yves Klein, che ha dato il suo nome a una particolare tonalità intensa, elettrica, opaca e polverosa.
Kandinskij – che abbiamo già incontrato lungo il viaggio nei colori – scrisse che “la vocazione del blu alla profondità è così forte, che proprio nelle gradazioni più profonde diviene più intensa e intima. Il blu è il colore tipico del cielo. Se è molto scuro dà un'idea di quiete”.
È anche il colore del benessere, avendo proprietà antisettiche, astringenti e anestetizzanti e lo si usa in tutti i sintomi che sviluppano calore e nei dolori ma anche per curare problematiche dell'epidermide legate a prurito o irritazioni, alla febbre, all'insonnia, al mal di denti o stati di iperattività. Ha inoltre effetti antispastici, rinfrescanti, analgesici e rilassanti. In particolare, in cromoterapia il blu è considerato utile per il suo effetto altamente calmante, grazie all'effetto di rallentamento della frequenza del battito cardiaco e della respirazione, abbassando così la pressione sanguigna e tendendo a rilassare il corpo e allontanare il senso di ansia.
Tra le curiosità, in politica il blu è usato, nella maggior parte dei paesi, per indicare i partiti conservatori; tuttavia ciò non accade negli Stati Uniti, dove tradizionalmente il blu è il colore non ufficiale del Partito Democratico. Tra l'altro è il colore del lavoro, delle tutte blu dei metalmeccanici che in certi anni ha assunto un valore politico, così come il blue jeans, il dénim è nato come tessuto da lavoro e trasporto in una sinergia tra materiale e colore: così sia in francese sia in italiano il ‘colletto blu' è l'operaio contrapposto al ‘colletto bianco', che non si sporca le mani e che nella lingua francese ha tipicamente un'accezione legata al mondo della finanza.
Lo troviamo nella segnaletica stradale dove, assieme al rosso, è utilizzato nelle luci dei mezzi di soccorso (ad esempio: polizia, ambulanza, vigili del fuoco), spesso rotanti; utilizzato per indicare un obbligo e in Italia nei segnali stradali anche per indicare strade extraurbane principali, mentre le autostrade sono in verde, al contrario di quanto avviene in Francia o in Croazia ad esempio, quindi attenti quando si passa il confine.
Per terminare ripensando alla parola “blu”, vorrei sottolineare come in italiano nelle espressioni idiomatiche sia associato alla paura – una fifa blu ad esempio – e all'aspetto cianotico della poca salute, legata alla difficoltà della circolazione o del respiro; mentre in francese presenta una grande ricchezza che indica il livido o i formaggi erborinati, les fromages bleus e in generale qualcosa che non funziona: l'essere blu in qualcosa come je suis bleu en mathématique, “essere una schiappa in matematica”; o un vin bleu, “un vino di cattiva qualità”. C'è la paura che è blu, la collera, l'avere il sangue blu o anche la grande bleue, “il Mediterraneo”, ma essere nel blu è essere incerto; mentre l'heure bleue, espressione romantica che non ha corrispondenza in italiano è l'ora prima dell'alba o dopo il tramonto quando il cielo è blu e limpido, intenso. Gli esempi possono moltiplicarsi all'infinito e tra i tanti che ho trovato voglio ricordare che nello slang australiano, Strine, il blu ha varie declinazioni da making a blue, “fare un errore”, copping a bluey, “ricevere una multa” e perfino blue o bluey, per indicare – pensate – le persone con i capelli rossi. Evidentemente il colore è certamente un fenomeno fisico, può avere un codice ma è anche una percezione estremamente soggettiva.
Ilaria Guidantoni
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