
In Bolivia non si placano gli scontri in varie località del paese. E non mancano morti e feriti. La situazione è andata aggravandosi. L’idea che ci sia un tentativo di golpe contro il presidente Morales non è tanto vaga. Non siamo di fronte alla stessa situazione del Cile o dell’Iraq.
Nelle ultime ore gli agenti della capitale La Paz si sono uniti all’ammutinamento della polizia iniziato questo venerdì a Cochabamba e in altre città della Bolivia e hanno lasciato il Palazzo del governo non protetto, secondo quanto precisa il corrispondente di El País dalla Bolivia.
Il tutto è cominciato con lo spoglio dei voti delle elezioni presidenziali del 20 ottobre. Il Tribunale Supremo Elettorale aveva iniziato a diffondere, per poi bloccarli, i risultati di un conteggio preliminare deciso per migliorare la trasparenza delle elezioni. Si trattava di un conteggio non vincolante e diverso da quello ufficiale, i cui risultati sarebbero stati annunciati successivamente. Questo però ha fatto gridare il candidato dell’opposizione Carlos Mesa, del partito Comunidad Ciudadana, allo scandalo per brogli. Di fatto l’accusa era che Morales non lo avesse distaccato di oltre il 10% di voti, situazione che avrebbe impedito a Mesa di andare al ballottaggio.
La commissione elettorale ha riconosciuto la regolarità delle elezioni del 20 ottobre scorso e un divario superiore al 10% tra i due candidati. L’Organizzazione degli Stati americani (OSA) di cui fanno parte fin dalla sua fondazione gli USA ha licenziato un documento in cui si sostiene la necessità di una revisione del processo elettorale.
Per chi conosce come sono organizzate le elezioni (dalle iscrizioni alle liste ai meccanismi di conteggio) negli Stati Uniti riesce difficile accettare le parole di Michael Kozak, assistente segretario del dipartimento di Stato americano per gli affari dell’emisfero occidentale, che riferendosi all’interruzione nel conteggio dei voti del Tribunale Supremo Elettorale l’ha definita un «tentativo di sovvertire la democrazia boliviana» [1].
Sta di fatto che manifestazioni e scontri tra i sostenitori delle due parti sono diventati quotidiani. E questo nonostante il presidente ha richiesto un blocco delle mobilitazioni fino alla fine del controllo delle votazioni che l’ OSA sta svolgendo e che durerà circa due settimane.
Morales sicuramente ha commesso l’errore di candidarsi nuovamente dopo che nel 2016, il 51,3% degli votanti votarono contro il referendum costituzionale che avrebbe consentito al Presidente della Repubblica di candidarsi per un terzo mandato consecutivo. Il risultato del referendum fu superato da una votazione in favore di Morales da una decisione poco chiara della Corte Costituzionale. Sicuramente ha commesso altri errori, anche facendo scelte contrarie alle urgenze ambientali ma tutto questo non può essere addotto per giustificare un assalto al suo potere.
Va anche detto, con tutti gli errori che può aver commesso, anche per esempio sul tema della libertà di informazione, che «la Bolivia di Morales ha goduto e gode di uno dei maggiori tassi di crescita del continente e di relativa stabilità, nonostante ripetute manifestazioni di malcontento nel corso della sua amministrazione. […]. Sul piano interno, l’obiettivo è stato perseguito con la nazionalizzazione mirata dei comparti strategici dell’economia; le manovre di sostegno alla domanda interna; l’aumento della spesa pubblica e del welfare; il riconoscimento costituzionale (con la Carta fondamentale del 2009) e politico delle popolazioni indigene e dei meno abbienti; la redistribuzione della ricchezza. Politiche che hanno tagliato il tasso di povertà dal 60% al 35% e quello di povertà estrema dal 32% al 15%, riducendo le disuguaglianze. Le manovre economiche hanno fatto perno sulle nazionalizzazioni (in primis nei settori energetico, elettrico, delle telecomunicazioni) ma evitando estremismi e soprattutto con politiche di bilancio più prudenti di quelle dei vicini, che hanno evitato alla Bolivia un indebitamento massiccio nel primo decennio di gestione» [2].
Per quanto sembra che in questo momento sia in atto uno scontro tra due realtà della Bolivia, quella delle città più grandi, dei bianchi di ceto medio-alto, degli studenti e dall’altra dei contadini, minatori, coltivatori di coca, lavoratori e organizzazioni sindacali sostenitrice di Morales, il sospetto è che ci sia dell’altro. Un sistema che ha tenuto fuori le multinazionali dell’agro-business e del settore estrattivo è sempre inviso agli Stati Uniti e come già accaduto da altre parti in Sudamerica potremmo trovarci di fronte ad un inizio di golpe dove «la storia dei dieci punti è funzionale alla strategia golpista. Perché un golpe, per essere in qualche modo venduto alla comunità internazionale, ha bisogno di almeno un appiglio formale, non può procedere dichiarando l’intento di ripristinare il dominio statunitense su un altro paese» [3].
Un’altra storia poco chiara nel “cortile USA”.
Pasquale Esposito
[1] “Le proteste in Bolivia per i risultati delle elezioni”, https://www.ilpost.it/2019/10/22/bolivia-proteste-risultati-elezioni/, 22 ottobre 2019
[2] Lorenzo Di Muro, “Successi e limiti del modello boliviano”, https://aspeniaonline.it/successi-e-limiti-del-modello-boliviano/, 3 novembre 2019
[3] Fabrizio Casari, “Bolivia, gli USA tentano il golpe”, https://www.altrenotizie.org/primo-piano/8667-bolivia-gli-usa-tentano-il-golpe.html, 7 Novembre 2019
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