
Ancora una volta una parte dei brasiliani sono scesi in piazza per manifestare contro la presidente e il suo governo, mentre lo scandalo Petrobas o dell'Autolavaggio continua rendere chiaro quanto esteso sia il sistema di corruzione nel paese. La protesta ha riguardato anche le misure di austerità adottate dall'esecutivo reo di aver aumentato il costo delle bollette e di non fronteggiare adeguatamente la crescente inflazione.
I primi cento giorni del nuovo mandato della presidente Dilma Rousseff e così sembra che le uniche “buone notizie” vengano dalla sua dieta che le avrebbe fatto perdere tredici chili e mostrata in gran forma [1]. Il problema è che la cura dimagrante la stanno facendo i brasiliani e rischia di farla tutto il Brasile e il suo stato di potenza regionale, di astro nascente della geopolitica mondiale. Quattro anni fa l'economia brasiliana diventava la sesta economia mondiale superando quella britannica, ma da allora il quadro è via via cambiato non solo a livello internazionale, ma soprattutto al proprio interno dove la spinta propulsiva delle politiche di Lula non è stata assecondaata nel prosieguo.
Ma torniamo allo scandalo che sta minando le istituzioni e rodendo le basi della fiducia tra cittadini ed eletti, ivi compresa la presidente per la quale si è arrivati, da qualche parte, a richiedere l'impeachment.
Per la seconda volta dall'inizio dell'anno João Vaccari, tesoriere del Partito dei Lavoratori (Pt) è stato arrestato qualche giorno fa a San Paolo nell'ambito dell'inchiesta, mentre sua moglie Giselda Rousie de Lima ha dovuto deporre di fronte ai magistrati e sua cognata Maurice Correa de Lima è stata fermata. Sui conti intestati a loro due sono stati trovati soldi provenienti da tangenti.
Il sistema di corruzione che ruotava intorno alla compagnia petrolifera statale ha coinvolto più di quaranta politici tra cui i presidenti dei due rami del Parlamento ed ex-ministri. Negli ultimi dieci anni, secondo la polizia federale brasiliana, sono stati illegalmente travasati dalla Petrobas quattro miliardi di dollari in favore di realtà pubbliche e private. Questi numeri e l'importanza delle personalità coinvolte mostrano la gravità e il grado di estensione dell'illegalità nel Paese. Certo è che la magistratura e la polizia sono riusciti ad indagare, mettere sotto accusa e incarcerare politici grandi e piccoli, funzionari, dirigenti di aziende. E questa si che è una “buona notizia” per la solidità delle istituzioni e per risollevare l'immagine a livello internazionale del Brasile.
Ma evidentemente non è sufficiente perché il sistema va riformato come ha promesso la stessa presidente. Anche la Chiesa è intervenuta per ribadire la necessità e l'urgenza di un cambiamento. Alla 53ma Assemblea generale della Conferenza episcopale brasiliana i vescovi ragioneranno sulle proposte per una riforma politica che vede coinvolti più di cento organismi della società brasiliana.
Una risposta concreta è arrivata il 18 marzo in Parlamento con la legge sul finanziamento delle campagne elettorali e sul sistema di voto sostenuta da una serie di misure anticorruzione. Ma questo pacchetto non avrà vita facile perché il Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb) e il presidente della Camera Cunha che spingono e cavalcano l'opinione pubblica della protesta non si disporranno favorevolmente, nonostante siano al governo, e vorranno smarcarsi sempre più dal Pt per avere mano libera approfittando delle difficoltà della Presidente e del suo partito.
Lo scandalo sta avendo anche ripercussioni economiche in settori come quello delle grandi opere e nella capacità espansiva dell'azienda Brasile. «Sino a pochi anni fa le grandi imprese costruttrici erano il biglietto da visita del nuovo miracolo brasiliano, e dominavano il settore delle metropolitane e delle centrali idroelettriche nell'intero Subcontinente. Oggi però l'Operação Lava jato – quella dello scandalo Petrobras – ha finito per indebolirle: molti dei loro vertici sono sotto indagine, con l'accusa di aver formato un cartello per spartirsi gli appalti. Ovvie sono le conseguenze: problemi di liquidità e accesso al credito, debiti aziendali in crescita, declassamento dei rating, difficoltà finanziarie e contratti rescissi, com'è accaduto per l'Oas in Uruguay» [2].
Nel 2014 l'economia dell'America Latina ha subito dei contraccolpi per il forte calo del prezzo del petrolio e in generale delle materie prime. Il calo del prezzo del greggio ha impattato anche il Brasile che ha dovuto fare i conti con meno 22% del prezzo della soia e con un meno 47% di quello del ferro che è la prima voce dell'export brasiliano [3].
Il Paese è di fatto in crisi economica con il Pil nel 2014 cresciuto di qualche punto decimale e un 2015 che rischia di finire peggio e se non c'è crescita, come è avvenuto in molti paesi d'Europa, le politiche di taglio avviate non produrranno nemmeno la diminuzione del deficit pubblico e l'inflazione rischia di mantenersi alta.
Nel frattempo la politica di Dilma Rousseff resta lontana da quella progressista del suo predecessore. E credo per lei non basti nemmeno l'intervento in suo favore, dopo tantissimo tempo di assenza dalla scena politica, dello stesso Lula. Per evitare i rischi di un ritorno della destra, con il seguito di potenti dentro e fuori lo Stato, dovrebbe voltare lo sguardo a quelle realtà come il Movimento dei Senza Terra che chiede una democrazia partecipativa, un modello che può mettere la giusta distanza tra il denaro e il politico.
Pasquale Esposito
[1] “100 giorni Dilma, bene solo la dieta”, www.ansa.it, 10 aprile 2015
[2] Francesco Giappichini, “Il Brasile conta sempre di meno, ecco perché”, https://web.archive.org/web/20200405162756/https://www.lettera43.it/blog/americanos43/, 30 marzo 2015
[3] Maurizio Stefanini, “L'incerto 2015 economico dell'America Latina”, http://www.limesonline.com, 1 aprile 2015
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