Bruce Springsteen and The E Street Band a Dublino

Bruce Springsteen e la E Street Band a Dublino
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È tornato per scuotere le nostre vite… until the end.

è tornato, a 73 anni, con la forza prorompente di tutte le sue canzoni, dalle prime alle ultime, per dirci che siamo ancora qui, che possiamo lottare ancora, felici di essere sopravvissuti, nonostante tutte le nostre perdite, le ferite laceranti e il mondo senza prospettive che vediamo attorno a noi. E questo anche se, forse, saranno le ultime battaglie.

Ancora una volta non ci ha tradito, al di là delle polemiche uscite soprattutto negli USA  sui prezzi dei biglietti, che, come ampiamente previsto, vengono spazzate via appena lo vedi salire le scale che portano al palco con chitarra in mano, volto di pietra, capelli finalmente grigio naturale rasati ai lati in stile Strummer, camicia e jeans neri, dopo che tutta la E Street Band ha già preso posizione (fiati e cori entrano dopo le prime canzoni).

Ti prende una fitta alla gola e la vista comincia ad annebbiarsi già da lì, perché a distanza di sette anni quasi temevi che non sarebbe più successo, almeno con la band, perché a quell'età pare incredibile che sia ancora così maledettamente in forma, e ci creda ancora così tanto da dare tutto quello che ha per una sequela incredibile di date, con gli occhi di chi non ti mente mai, col sorriso di chi ti è complice, ma soprattutto perché ha un'altra volta mantenuto la promessa di riunirci, e ridarci una consapevolezza che cominciava a vacillare. Forse abbiamo pagato un duro prezzo per correre dietro a quest'uomo tutta una vita, forse abbiamo perso soldi, amori, occasioni, siamo risultati pedanti o per taluni addirittura fanatici (termine che proprio non c'entra), ma nessuno mai potrà rubarci questa emozione. E nessuno mai potrà capirla, se non c'è dentro fino al collo, qualsiasi età egli abbia.

È uno show emotivamente devastante quello che ho visto per due sere a Dublino la settimana scorsa, soprattutto per coloro che seguono l'ultima leggenda vivente del ormai da decenni. È un Bruce diverso, sicuramente più misurato, e se posso dirlo da seguace di vecchia data, ancora migliore, ancora più autentico, se fosse possibile. E sta tutto lì, nel discorso centrale che precede Last Man Standing, il senso di un tour costruito con una logica precisa.
La scaletta del grande ritorno di Bruce Springsteen con la E Street Band è infatti un tragitto definito, che racchiude la storia di una cinquantennale carriera e che va dritta come un treno per tre ore solo a dirti che il tempo è passato, che qualcuno è caduto, che davanti non ce n'è più molto, e che vale la pena godersi ogni istante del presente, prima che i ciao diventino un addio. Soprattutto alla luce di una realtà sempre più povera di quei sogni che avevamo e ancora abbiamo noi (Land Of Hope And Dreams la prima sera).
Nessun giovane ha saputo raccogliere l'eredità artistica di questi pochi mostri sacri rimasti, e questo è l'ultimo rock che ancora riempirà gli stadi. Le canzoni basilari non cambiano e le concessioni passate alla “gigioneria” della raccolta dei cartelli delle richieste o dei bambini che cantano Sunny Day o delle ragazze che ballano nell'oscurità con lui, sono solo un ricordo. Finalmente! Bruce si concede solo l'apertura della camicia sui pettorali scolpiti prima di presentare la band, e qualche giochetto mimico di grande comicità con l'inseparabile Steve, ma è più che altro un vezzo. Non che non ci si diverta, anzi, ma il senso di questo spettacolo è un altro, e viaggia fra la bellezza-durezza della vita e il senso della fine. Bruce qui vuole dire qualcosa di preciso.

Bruce Springsteen e la E Street Band a Dublino
Bruce Springsteen e la E Street Band a Dublino. Foto Marco Quaroni Pinchetti, 2023

Questo tour è figlio e fa parte di un complesso processo artistico nato con la biografia nel 2016 (quella in cui ha confermato la sua perenne depressione, per altro…), seguito dall'interminabile spettacolo solista di Broadway nel 2017 e 2018 e consolidato da due dischi dedicati sostanzialmente alla morte (Western Stars, 2019) e agli addii (Letter To You, 2020). Nella scaletta viene fortunatamente valorizzato quest'ultimo disco con Ghosts, Letter To You, Last Man Standing e la drammaticità finale di I'll See You In My Dreams. Purtroppo nemmeno una canzone per ora è stata donata da Western Stars e solamente una entra dal recente album di cover soul, Nightshift, per altro eseguita in maniera proverbiale insieme al gigantesco corista Curtis King. Il resto è la storia, la sua e la nostra. Che parta con No Surrender (la prima serata) o con My Love Will Not Let You Down (la seconda serata), si viaggia nel solco di un fil rouge studiato. Il messaggio è quello biografico di Broadway, ma in trasposizione rock. Quel filo passa dalla struggente The Promised Land (…spazza via le menzogne che ti lasciano soltanto abbandonato e straziato dal dolore!), una straordinaria versione di Kitty's Back in cui vengono esaltati alla massima potenza fiati e cori, come in Johnny 99 e E Street Shuffle e arriva, soprattutto, alla citata Last Man Standing, acustica, prima della quale Bruce si concede l'unico, importante monologo, ricordando di essere l'ultimo rimasto vivo della sua prima band del 1965, il cui leader era l'amico George Theiss. E poi c'è la canzone secondo me centrale di questo progetto live, cioè Backstreets. L'amore illusorio di una vita, la delusione sconvolgente dei sogni che si infrangono contro la brutalità dell'alba (“…quando a mezzanotte ci fu l'addio, non era rimasto più niente da dire, ma io l'odiai, e odiai te quando te ne andasti via”), il cuore che si tocca nel finale con la mano destra, collegandosi direttamente al brano che chiuderà poi la serata: until the end…

Le classiche non mancano, The Rising e Wrecking Ball sono inamovibili, come la sempre straripante Badlands (e annesso coro) per arrivare a Thunder Road, (solo la prima sera), arrangiata benissimo con tutti i fiati a sostituire l'assolo finale di sax e in cui Bruce non suona nemmeno la parte di chitarra storica, in cui dice “ho imparato a farla parlare”, per donarsi e donarla completamente al suo pubblico, alla sua gente, in un abbraccio d'amore reciproco. E poi la sempre epica Born To Run, che non perde mai il suo smalto. La seconda sera arriva pure la struggente amicizia di Bobby Jean, perfettamente inserita nel contesto di cui il tour parla. In entrambe le serate c'è stata la acclamata Born In The Usa, ma non è una costante. Anche quei classici qui fungono soprattutto da percorso riassuntivo di tutta una vita sul palco. Rispetto al passato Out In The Street o Glory Days o Dancing In The Dark durano la metà. Ed è bello così. Dalla prima alla seconda data Bruce rispetta comunque la sua proverbiale generosità, inserendo canzoni diverse come la citata My Love Will Not Let You Down, la Irish song contro il potere costituito Death To My Hometown, una Darkness On The Edge Of Town tuonante, sul cui urlo finale pareva gli scoppiassero i polmoni, e anche il sempre divertente country di Pay Me My Money Down.

È uno show più asciutto, tre ore secche rispetto alle quasi quattro dell'ultima tornata, ma che forse valgono il doppio, almeno per chi conosce tutta la storia. Quella chiusura poi, con “…perché la morte non è la fine, ti rivedrò nei miei sogni” chitarra e armonica illuminate da un solo fascio di luce, cantata e rifatta cantare dalla gente in un controcanto debordante di lacrime, ti lascia con il cuore in frantumi e ti fa uscire dalla Rds Arena camminando come un automa senza saper più che commenti fare. E guardi le facce stranite degli altri 50mila, giovani, meno giovani e anziani, tre o quattro generazioni, tutte con la stessa espressione. Ti zittisce, per almeno un'ora, prima di riuscire a dire un'altra volta “è incredibile”.
Dal punto di vista musicale la debordante potenza della E Street Band è invariata, semmai esaltata dal soul di fiati e cori che all'ultimo giro mancavano. La voce di Bruce dà l'impressione di crescere di brano in brano, fino a diventare rocciosa come sempre. Per arrivare a superare la perfezione, ma qui siamo nel campo dei desiderata, ci vorrebbe un pezzo di Western Stars (io sogno Moonlight Motel) e uno in più da Only The Strong Survive. Si inserirebbero perfettamente e forse col proseguo di un tour iniziato in Usa a febbraio e che, contro ogni logica anagrafica, già prevede date almeno fino a dicembre, arriveranno. Ma è inutile chiedere qualsiasi altra cosa a questo artista inarrivabile, a questo indomabile gruppo di musicisti (la bravura di Nils, la classe di Garry, la potenza di Max, la strepitosa presenza di un asciuttissimo Steve e la perfezione di Roy, per citare solo il nucleo storico e senza scordare gli omaggiati Clarence e Danny) che da cinquant'anni regge sulle spalle la colonna sonora di tutte le nostre vite, nel bene e nel male.

È una cosa mai vista questo concerto, difficile da capire a fondo per i neofiti totali. Forse lo spettacolo definitivo, senza orpelli, con tanto dolore, tanta gioia e davvero tutte le nostre vite dentro a quelle strofe ormai consegnate alla leggenda. Siamo rimasti senza parole. Ed è inutile aggiungerne altre. Segnalo soltanto che il Boss, non pago dello sforzo fisico sul palco, ha passato le giornate dublinesi passeggiando per la città, andando nei pub a bere con qualsiasi avventore o a cantare un'improvvisata My Hometown, facendo una sorpresa al leader dei Pogues, Shane MacGowan e visitando il Trinity College o County Kildare, proprio come a voler dimostrare tutta la sua fame di vita.

Infine posso solo raccomandarvi di raggiungere questi “giovani vecchi ragazzi” a Ferrara o Roma nei prossimi giorni, o a Monza in luglio, o all'estero o dove diavolo vorrete; non crederete ai vostri occhi. Sarà forse una delle ultime possibilità di vedere lo spettacolo rock – e non solo – più sconvolgente di tutti i tempi. Regalatevi questa chances di cambiare in meglio la vostra vita. E regalatela a chi amate.

Marco Quaroni Pinchetti

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