Carlos: il viaggio di Santana. Un docufilm che delude gli appassionati.

Carlos Santana
history 5 minuti di lettura

Il docufilm Carlos: il viaggio di , diretto dal regista Rudy Valdez e presentato in anteprima all'ultimo Tribeca Film Festival, rappresenta certamente un appuntamento atteso e imperdibile per tutti i fan del leggendario e iconico chitarrista Carlos Santana.

Ma dobbiamo subito evidenziare che dalla collaborazione tra un regista vincitore di due Emmy Awards per i suoi due precedenti documentari e un artista che può vantare, sia pure tra alti e bassi (strepitosi gli alti e rarissimi i bassi), oltre 55 anni di carriera con successi e vendite in ogni angolo del mondo, era lecito attendersi qualcosa di diverso: di più originale e innovativo, di meno scontato e prevedibile.

Il documentario è introdotto da alcune dichiarazioni del regista e dello stesso Santana che riassumono la genesi e gli intenti del progetto. Il chitarrista, in particolare, ci tiene a garantirci in merito alla sincerità di ogni contenuto e alla sua personale approvazione relativamente a ogni singolo fotogramma mostrato. Ma questa sua  supervisione sembra togliere freschezza e spontaneità al filmato e i suoi interventi, nei quali racconta piccoli episodi e qualche aneddoto, appaiono spesso recitati.

Il regista, dal canto suo, sembra sempre impegnato a costruire inquadrature emozionali ed evocative, a volte fastidiosamente dolciastre e romantiche, o a colpirci con una vertiginosa e convulsa sequenza di immagini che vorrebbe sintonizzarsi con il ritmo trascinante di alcuni spezzoni musicali.

Carlos: Il viaggio di Santana appare inoltre cronologicamente sbilanciato. Valdez si dilunga nel raccontarci, sia pure con un interessante corredo fotografico, l'infanzia di Santana nella nativa Autlán de Navarro e, successivamente, a Tijuana; il suo primo approccio con la musica grazie al padre, violinista in un complesso mariachi; i primi passi e i primi successi nell'area di San Francisco; il fondamentale incontro con il promoter Bill Graham; la trionfale esibizione al Festival Pop di Woodstock del 1969; la conseguente affermazione a livello mondiale e l'immediato e quasi inevitabile insorgere di problemi all'interno del gruppo da lui capeggiato dovuti a differenze caratteriali e musicali oltre che all'abuso di sostanze stupefacenti. Da qui in poi il racconto si fa un po' troppo frammentario e superficiale. Poco si mostra in merito al sempre più assorbente interesse di Santana per la meditazione e per gli insegnamenti del guru Sri Chinmoy e si sorvola un po' troppo rapidamente sul declino, quanto meno a livello di vendite, degli anni 80 e 90.
Il racconto riprende fiato e vigore nel mostrarci la rinascita del chitarrista quando, grazie alla fiducia e alla lungimiranza del mitico produttore Clive Davis, in quegli anni a capo della prestigiosa etichetta discografica Arista Records, nel 1999 realizza quello che diventerà il suo più grande successo (15 volte disco di platino nei soli Stati Uniti e vincitore di ben 8 Grammy Awards): Supernatural.

Tutto quanto sopra ci viene raccontato e illustrato con il consueto ricorso a fotografie e filmati d'epoca, ad alcuni interessanti e inediti video amatoriali realizzati dallo stesso Santana e al ricordo, da parte di quest'ultimo, di alcuni episodi della sua carriera.
Divertente, anche se ormai ampiamente noto, il racconto relativo alle sue alterate condizioni mentali durante l'esibizione di Woodstock, dovute a una pastiglia (possiamo facilmente immaginare di quale sostanza) offertagli da Jerry Garcia, chitarrista dei Grateful Dead, da lui incautamente assunta nella convinzione di doversi esibire molte ore più tardi.
Più interessanti e commoventi i ricordi di Santana riguardanti i genitori. Il chitarrista trattiene a stento l'emozione guardando e ascoltando il padre intervistato alla tv dopo un concerto tenuto a Città del Messico e risulta toccante il duetto casalingo violino-chitarra improvvisato poco prima della sua scomparsa.
Un altro divertente siparietto è quello che vede due delle sorelle di Santana raccontare alcuni episodi familiari alla sua seconda moglie Cindy Blackman (sposata nel dicembre 2010) alla presenza del fratello che assiste compiaciuto.

Dal punto di vista strettamente musicale Carlos: il viaggio di Santana non offre nulla di nuovo a chi conosce e ammira il chitarrista messicano naturalizzato statunitense. Al contrario, mostra molte lacune, alcune piuttosto importanti.
Ad esempio nulla si dice e si racconta in merito alle sue collaborazioni con alcuni prestigiosi jazzisti del calibro di Herbie Hancock e Wayne Shorter, né della sua amicizia con Miles Davis, né della sua partecipazione al tour di Bob Dylan nel 1984, né della sua attività come solista (piuttosto significativa se si pensa che il suo album del 1987 Blues for Salvador si è aggiudicato un Grammy Award come Best Rock Instrumental Performance). Probabilmente non c'era spazio e modo per fare di più e meglio e il risultato ottenuto non è certo disprezzabile. Tuttavia è inevitabile che alla fine della proiezione, peraltro durata solo 87 minuti (sic!), si rimanga un po' delusi per quella che appare, soprattutto agli appassionati, un'occasione mancata.
GianLuigi Bozzi

Carlos Santana filmCarlos: il viaggio di Santana
Regia: Rudy Valdez
Fotografia: Rudy Valdez
Montaggio: Viridiana Lieberman
Musica: Carlos Santana
Produzione: Imagine Documentaries, Sony Music Entertainment
Distribuzione: Nexo Digital
Paese: USA
Durata: 87 minuti
Anno: 2023

canale telegram Segui il canale TELEGRAM

-----------------------------

Newsletter Iscriviti alla newsletter

-----------------------------

Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie

In this article