Che tu sia per me il coltello di David Grossman

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Ho comprato questo libro questa estate con la consapevolezza che non sarebbe mai stato una lettura leggera, ‘da ombrellone'. L'ho comprato anche perché, probabilmente, ha uno dei titoli più intriganti tra quelli della mia libreria; ecco, partendo da questo presupposto, già dopo le prime pagine sono rimasta delusa. Perché non è una geniale invenzione dell'autore, ma una ripresa kafkiana dalle .
Questa era solo la prima delusione. La seconda, come un'autodenuncia, è che questo è il primo che non riesco a concludere, sebbene ogni sera io lo prenda e ricominci la stessa riga del giorno prima.

Grossman nasce a Gerusalemme, cresce in una biblioteca, si laurea in filosofia all'università della sua città. Che tu sia per me il coltello è il suo romanzo sperimentale, pubblicato nel 1998, in cui l'autore mette in scena una storia piuttosto surreale tra un uomo ed una donna; ad una festa di liceo vede tra la folla , di cui ignorava l'esistenza, stringersi nelle spalle, un gesto che lo tocca profondamente e che lo spinge ad interrogarsi sul motivo di quell'atto. Da qui comincia il romanzo che attraverso delle lettere spiega, srotola lentamente il rapporto che si viene a creare tra i due, in una sorta di relazione epistolare in  cui Yair seduce la donna attraverso le sue parole.

È proprio il personaggio maschile che rende la storia stucchevole e veramente poco rintracciabile nella realtà. Yair ha il comportamento di una adolescente innamorata o forse no, è ambiguo, è troppo criptico nelle sue metafore. Scrive a Myriam non sapendo nemmeno lui quali siano le sue reali intenzioni e, di conseguenza, confonde il lettore che spesso è portato a chiedersi se stia leggendo di una storia d'amore o di una seduta dallo psicanalista.
Quello che riesce a fare Grossman è mettere insieme una storia che di reale ha ben poco, men che meno i personaggi, ma a cui dà una credibilità attraverso il linguaggio, sempre posato, lineare, semplice. La lettura è lenta, troppo lenta, e manca il colpo di scena che il lettore si aspetta fin dalla prima pagina (l'incontro tra i due? La scoperta della relazione da parte dei rispettivi coniugi? La rottura del rapporto epistolare?), trascinando a fatica la narrazione fino a pagina 338 a cui, ripeto, non sono riuscita ad arrivare.  La forma epistolare è costruita in un modo che rende la lettura ancora più ripetitiva e stanca:  per più di metà libro, l'unico ad intervenire è Yair e questo rende l'altro personaggio ancora più distante, al punto tale che quando subentra, il lettore deve ricordare che Myriam viene citata già dalla prima pagina. I monologhi del personaggio maschile sono flussi di coscienza, e la donna è un destinatario scelto quasi per caso.

Do sicuramente atto delle grandi proprietà linguistiche di Grossman, il romanzo è riuscitissimo dal punto di vista stilistico, ma sembra più un compito ben fatto che un libro da ricordare. L'autore utilizza i caratteri del racconto breve modernista: si parte da fatti a cui nessuno può dare una spiegazione, i protagonisti nemmeno, i quali sono costretti ad interrogarsi sul perché sia avvenuto il loro incontro e sui motivi che li spingono ad andare avanti nella corrispondenza. La fine, appunto, è una non-fine.
Probabilmente mi manca la sensibilità necessaria per vivere a pieno e apprezzare l'esperienza di questo libro, il problema è che sono troppo concreta e ‘di carne', ma io non mi sento per niente Yair, come molti lettori ammettono di essersi sentiti. Ho cercato il mio Luz ma non l'ho trovato.
Michela Bonamici


Che tu sia per me il coltello
Oscar Mondadori, 1999
pag. 330

 

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