
Analizzando alcuni dati, sembra aumentare il numero degli occupati (come nel 2008) ed il numero dei disoccupati ufficiali all'11,3 % anziché 11,5 %, mentre il tasso di inattivi (disoccupati non iscritti ai centri per l'impiego) scende dal 34,7 al 34,4 %; il prodotto interno lordo cresce del 1,3 % mentre le esportazioni crescono del 4 %; inoltre, qualcuno sostiene che grazie al Jobs Act nell'ultimo anno c'è stato un incremento di 295.000 nuovi addetti nell'industria e servizi.
Tutte le analisi partono da dati, per essere serie, ma, come tutti i seri analisti sanno, non c'è dato che “parli” da sé; per fornire una corretta rappresentazione della realtà – in questo caso, della realtà economico-sociale italiana – la quantificazione dei fenomeni prevede indispensabilmente l'interpretazione dei dati e la loro contestualizzazione, la loro messa in relazione con altra fenomenologia della produzione di ricchezza che con essi ha insopprimibili legami e stabilisce rimandi manifesti. Infatti, di fronte ai numeri di questo tipo, per corrispondere a genuine esigenze conoscitive, non si può trascurare di rilevare quanto segue: con la fiscalizzazione prevista dalla Legge chiamata Jobs Act, le imprese hanno prima trasformato i contratti di lavoro precari a tempo indeterminato, finiti i finanziamenti predisposti dal Governo, hanno nuovamente licenziato i lavoratori che erano stati assunti a tempo indeterminato per motivi economici (con l'abolizione dell'art. 18 e con il Jobs Act lo possono fare) e successivamente ancora riassunti con apposita contrattualistica che condanna il lavoro dipendente alla precarietà; quasi tutta la nuova occupazione dell'ultimo anno diretta espressione del precariato strutturale implementata dalla normativa sul lavoro intervenuta di recente. Inoltre, non viene affermato nelle sedi istituzionali competenti che nel 2016 l'Italia è stato l'unico paese dell'Europa dove la paga oraria è diminuita dello 0,9 % e, mentre un paese come la Germania aumenta le esportazioni in virtù degli investimenti intensi ed innovativi, l'Italia ha aumentato le esportazioni diminuendo i salari e tutto il costo del lavoro; questa situazione di bassi salari, di rinnovi contrattuali ormai sottoposti all'oblio decennale anche da parte dei Sindacati, di scarsi investimenti innovativi e risparmio su tutti i costi, anche della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, ha comportato: un estremo impoverimento di chi lavora soprattutto, non solo dei cosiddetti “non garantiti”, un aumento notevole degli infortuni e morti sul lavoro, ed ha tolto diritti e dignità alla classe lavoratrice. Se di ripresa si vuol parlare, il riferimento è soltanto a quella dello sfruttamento, delle disuguaglianze, dello “sviluppo” a costi umani altissimi, del capitalismo barbaro e perverso.
Non è casuale che il Cardinale Gualtiero Bassetti scriva il Documento d'indirizzo della 48ª Settimana sociale dei cattolici in Italia “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale“, in svolgimento a Cagliari dal 26 al 29 Ottobre 2017, titolandolo “Il lavoro è la priorità per il Paese, la disoccupazione la grande emergenza”. Nell'appassionata elaborazione di idee, è, tra l'altro, chiaramente detto che «il lavoro è, senza dubbio, la priorità più importante per il Paese. E la disoccupazione giovanile è la grande emergenza. Nonostante in Italia ci siano piccoli segnali di ripresa per l'economia, come facciamo a non essere preoccupati di fronte agli otto milioni di poveri descritti dall'ISTAT, la metà dei quali non ha di cosa vivere? Sono giovani, spesso preparati e desiderosi di dare il loro contributo, ma che sono alle prese con tante porte chiuse, con una società che sembra non aver bisogno di loro». In coerenza con i contenuti del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, redatto dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, alcune indicazioni dalla Settimana sociale dei cattolici in Italia iniziano a trapelare. In particolare, colpisce la proposta di riconvertire gli Oratori in un'organica articolazione del Welfare State nazionale considerandoli “Laboratori dei talenti” (con rif. alla Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell'educazione alla vita buona del Vangelo, CEI, 2 Febbraio 2013) in grado d'attualizzare le esperienze primordiali della “tradizione filippina” (San Filippo Neri, 1515-1595) e della “tradizione piemontese” (San Giovanni Bosco, 1815-1888) integrandole con finalità professionalizzanti, occupazionali, reddituali. Gli Oratori sono in procinto d'essere riconfigurati: da strumento di animazione dei ragazzi e dei giovani, il cui metodo educativo li coinvolge a partire dai loro interessi e dai loro bisogni, inserendoli organicamente in un cammino comunitario, non pensato e non costituito come una realtà a sé stante, ma come espressione qualificata della pastorale giovanile di una comunità parrocchiale, si intende trasformarli in luoghi d'apprendimento, istruzione ed addestramento tecnico-professionale (il Learning by Doing è da tempo metodo privilegiato per educare al protagonismo virtuoso e responsabile dei giovani che frequentano gli Oratori) riconosciuti legalmente ed in grado d'impattare sul mercato del lavoro, alla stessa stregua dell'istruzione e formazione professionale statale. La comunità educativa parrocchiale che ha avuto, nel tempo, grazie alla presenza territoriale dell'Oratorio, la possibilità storica di “costruire relazioni sociali” orientate religiosamente, si offre ad una ulteriore commistione di ruoli e funzioni pubbliche. Non va dimenticato che la Chiesa cattolica, oltre a beneficiare ancora di un regime fiscale “privilegiato” sugli immobili di proprietà, gode di un legittimazione istituzionale – l'Articolo 7 della Costituzione 1 – che non ha riscontri in altri paesi, che consente arbitri quale quello rappresentato dall'insegnamento curricolare della Religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado della Repubblica italiana che si dice laica e che – in dispregio dell'Art. 33 della Costituzione, secondo il quale “[…] Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato […] – usufruisce, anche grazie a leggi regionali compiacenti, di ingenti finanziamenti ministeriali. L'onda lunga di penetrazione nel fragile tessuto laico della comunità nazionale porta il Vaticano a porre la posta della cogestione del Welfare. Non si può negare che, ad esempio, la Caritas italiana – organismo pastorale costituito dalla CEI al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell'uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica (rif. Art. 1 dello Statuto) – abbia agito nella crisi economica in atto come un efficace “ammortizzatore sociale”; ma ciò depone solo a sfavore dello Stato e dei suoi Governi, non deve autorizzare altri cedimenti politico-istituzionali o cessioni di sovranità.
La Chiesa sta reagendo a tale consapevolezza di ruolo che la crisi capitalistica globale ha generato “laicizzando”, per così dire, progressivamente i contenuti del messaggio ideologico delle sue prassi, al fine ovviamente di dimostrare la propria necessità storica e di conservare i poteri di “rappresentanza”.
Siamo ad un tornante decisivo del compito sociale della Chiesa cattolica: la prospettiva vocazionale può inglobare la gestione diretta di servizi dello Stato, con particolare riguardo alle fasce sociali deboli quali i giovani privi di occupazione.
Come è potuto accadere questo? Per la debolezza dello Stato. “Se lo Stato – dice Gramsci – rinuncia a essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente” (p. 1872, Quaderni del carcere); e quando ciò avviene, “lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge ogni oppositore della Chiesa che abbia la capacità di limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini” (ib.).
Sono le mancate risposte socio-amministrative (l'adozione d'una metodologia – il “bilancio partecipativo”, ad esempio) alla crisi del Welfare State che generano “vacanza di ruolo”. Sarebbe sufficiente un cambio di prospettiva; investire nella creazione di più servizi per i giovani. A titolo esemplificativo: prendersi cura della propria salute sessuale e riproduttiva fin dalla più giovane età, negli spazi giusti e nei tempi dedicati e, soprattutto, con persone opportunamente formate; anche mettendo a disposizione, gratuitamente, contraccettivi presso i Consultori per gli under 26, nella prospettiva di assicurare ai giovani protezione e sicurezza nei rapporti. Questo deve diventare un obiettivo della revisione delle politiche per la salute e politiche sociali, in sede governativa. Vanno fornite indicazioni organizzative di Spazi Giovani da applicare in tutto il territorio italiano per rendere omogenea l'offerta di servizi per la fascia di popolazione 14-19 anni, istituendo Spazi Giovani Adulti (per le persone dai 20 ai 34 anni) e prevedendo la contraccezione gratuita, nei servizi consultoriali, per tutte le donne e gli uomini di età inferiore ai 26 anni, e per le donne di età compresa tra i 26 e i 45 anni con esenzione disoccupazione o lavoratrici colpite dalla crisi nei 24 mesi successivi a un'interruzione volontaria di gravidanza e nei 12 mesi dopo il parto. Esempi a garanzia della fertilità e promozione della salute sessuale, relazionale e riproduttiva. Esempi che potrebbero rinsaldare il Welfare e far arretrare la palese surroga istituzionale. Purtroppo l'Italia, oggi, non ha un personale politico all'altezza, libero da ricatti economici, da sudditanze ideologiche, tale da poter confidare in un cambio di passo; emblematica, a questo proposito, la risposta di Orlando, da oltre tre anni Ministro della Giustizia, alla domanda del giornalista della trasmissione televisiva Report sul tema dei lavoratoti assunti “in nero” nella Pubblica Amministrazione: “È il capitalismo, baby!”.
Giovanni Dursi
[1] “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale [cfr. art. 138]”. A. Gramsci, lucido interprete della storia, riteneva che “Il concordato è il riconoscimento esplicito di una doppia sovranità in uno stesso territorio statale“(p. 1866, Quaderni del carcere). Non nel senso ch'esiste una sovranità statale e una sovranità ecclesiastica, ma nel senso che quest'ultima si esplica in due modi: uno diretto (all'interno dello Stato del Vaticano) e l'altro indiretto (all'interno dello Stato italiano). A p. 1871 egli fa esplicito riferimento alla teoria del “governo indiretto” elaborata dal Bellarmino; affrema ancora Gramsci: “”Mentre il concordato limita l'autorità statale di una parte contraente, nel suo proprio territorio, e influisce e determina la sua legislazione e la sua amministrazione, nessuna limitazione è accennata per il territorio dell'altra parte: se limitazione esiste per quest'altra parte, essa si riferisce all'attività svolta nel territorio del primo Stato…”(ib.), in quanto appunto attività “indiretta”.
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