
Con Chiara Zanini è tutto iniziato quando abbiamo scambiato alcuni messaggi attraverso una piattaforma social. Nessuno di noi due conosceva l'altro. Mi aveva colpito la particolarità e la profondità della newsletter cinematografica di cui troverete i dettagli nell'intervista. Un approccio e uno sguardo sempre oltre le convenzioni come dimostrano la sua attenzione e le sue analisi relativamente a diritti umani, diversity, politiche culturali e del lavoro. Poi durante la prima chiacchierata telefonica le sensazioni sono divenute sostanza e ho avuto la possibilità di potermi confrontare con una professionista sensibile e generosa.

Chiara Zanini è una freelance, critica, programmer, diversity specialist, addetta stampa. Ha scritto per testate quali Rolling Stone, Wired, Internazionale, Il Fatto Quotidiano, Il Manifesto, Elle Decor, Sentieri Selvaggi, Il giornale dello spettacolo, The Vision, Corriere delle migrazioni, Frontiere. Ha pubblicato due libri dedicati a due registe: Céline Sciamma (come co-curatrice e autrice) e Valentina Pedicini (come co-autrice). È co-autrice del Rapporto Diritti Globali 2021. Si interessa in particolare di diritti umani, diversity, politiche culturali e del lavoro, cinema non convenzionale. Cura una newsletter gratuita chiamata Cineaste, dedicata principalmente ai film diretti e scritti da registe donne e non binary, e alla diversity (cineaste.substack.com). È programmer di tre festival: V-Art Festival Internazionale Immagine d'Autore, Docucity e Docudonna. Lavora anche come formatrice e come addetta stampa.
Lei ha avuto modo di essere al Biografilm Festival di Bologna e di partecipare ad un panel sulla disuguaglianza di genere nell'industria cinematografica. A che punto siamo su questo tema a suo parere? C'è ancora tanta strada da fare? Quanto un cambio totale di paradigma potrà aiutare a scardinare questa assurdità?
I dati sono sconfortanti, ma una parte del cambiamento possibile è in mano alle professioniste stesse. Non avverrà se aspettiamo che lo mettano in atto i meno interessati. I dati vanno conosciuti, certamente, per capire l'entità del problema: secondo una ricerca dello European Audiovisual Observatory, tra il 2015 e il 2018, solo il 22% dei registi di lungometraggi europei sono donne. La quota di professioniste che dirigono episodi di fiction audiovisiva è ancora più bassa, è il 19%. Il divario di genere è meno accentuato in sceneggiatura: le donne sono il 25% nei film e il 34% nelle serie. La quota di film realizzati da team a maggioranza femminile è più alta per i documentari che per gli altri generi. Ma oltre ai dati, ritengo importanti le testimonianze che raccolgo a microfoni spenti: tutte riferiscono il maschilismo di chi detiene il potere in quel momento o in un determinato contesto, come in qualsiasi altro ambiente. E nel cinema queste personalità sono produttori, distributori, programmer, ma anche le istituzioni che non mettono in campo iniziative volte a mutare lo stato delle cose.
Rimanendo sul tema Festival, è stata anche Presidente della giuria dei lungometraggi di Immaginaria, festival internazionale di cinema indipendente a tematica lesbica e femminista in Italia. Stiamo uscendo dalla fase più acuta delle chiusure a causa della pandemia: come è andata? Da un punto di vista strettamente cinematografico c'è stata qualche opera che l'ha impressionata?
A Immaginaria ho fatto parte della giuria dei film di finzione, ma forse il mio preferito di questa edizione è un documentario che ha girato parecchi festival, Queering the Script di Gabrielle Zilkha. Racconta la presenza delle persone queer nei media, anzi, la loro rappresentazione. Appena avuto due dosi di vaccino ho ricominciato a seguire i festival in presenza, senza fermarmi perché non ne potevo più di vedere i film dal computer! Non mi ci sono ancora abituata, e soprattutto i festival che radunano comunità come quelli queer sono davvero difficili da ripensare se non in presenza. Oppure festival che si tengono in sale a pochi passi dal mare, come quello di Pesaro. Abbiamo bisogno di poterci confrontare quando usciamo dalla sala e i festival sono momenti formativi e di socialità importantissimi. Quantomeno in questa fase possiamo continuare a programmarli e a frequentarli senza dimenticare le regole che la situazione sanitaria impone.
Lei ha creato la newsletter settimanale gratuita: Cineaste, “la prima newsletter dedicata ai film diretti da persone che si riconoscono come donne (cis o trans che siano) o non binarie, e alla diversity nel cinema”. Lo considero un servizio di qualità che allarga gli orizzonti sul cinema. Ci aiuta ad inquadrare la nascita, le motivazioni e chi contribuisce alle scelte per Cineaste?
Da alcuni anni avevo creato un gruppo Facebook per segnalare proiezioni alla presenza delle registe e delle sceneggiatrici, oppure pubblicazioni sul loro lavoro. Il gruppo è cresciuto soprattutto negli ultimi due anni. Per alcune testate avevo redatto le famose liste di film imperdibili, e durante il primo lockdown ne ho scritte due di film diretti da registe donne reperibili on line. Mi è stato chiesto di farlo ancora, e dato che l'idea della newsletter mi frullava nella testa da un po', a Ottobre mi sono decisa. Non mi interessa però elencare semplicemente film o dati: Cineaste è anche un luogo di riflessione per un pensiero non banale sulle arti e sulle politiche culturali, dal momento che ciò che scrivo altrove a questo proposito spesso viene censurato dalla testate stesse. Per farti un esempio, ho scritto degli articoli critici sulla piattaforma Itsart, quella che il ministro Franceschini lanciò come la “Netflix della cultura italiana”. Due testate non me li hanno pubblicati, allora ne ho scritto uno ancora più posizionato per quella testata bellissima che è Dinamopress. È stato molto copiato e condiviso, e il giorno dopo, mentre ero a un'anteprima in un'ora ho trovato 17 chiamate perse dall'addetta stampa di Itsart. I miei colleghi si spaventano di fronte a una simile intimidazione – perché questo è, 17 chiamate preoccuperebbero anche se arrivassero da una fidanzata – per dirmi poi una supercazzola non richiesta. Questo per dire che Cineaste non può non parlare anche di politiche culturali e dei diritti di chi lavora in questo settore.
Si occupa con continuità di questioni di genere e di discriminazioni che purtroppo sono all'ordine del giorno. Ddl Zan: pregi e difetti? Qualche tempo fa su Rolling Stone ha fatto il punto della situazione a sinistra e tra alcuni movimenti e associazioni sul Ddl Zan: cosa accade?
Conosco Alessandro Zan da quando ero ragazzina e so che per lui questa è una missione. Ed è una legge molto attesa, e come tutte è migliorabile. Ad esempio io preferirei che gli omofobi non fossero puniti ma educati, e tutti abbiamo bisogno di crescere educandoci al rispetto, anche da adulti. Ci sono ad esempio persone lgbt che sono razziste, oppure donne lesbiche apertamente transfobiche, come quelle che seguono la giornalista e blogger Marina Terragni qualsiasi cosa dica, e di solito è discorso d'odio. E l'odio fa male anche quando ci facciamo un po' di anticorpi. Ne so qualcosa io che ho avuto una famiglia omofoba che mi ha ostacolata in ogni modo: c'è chi si beve quei discorsi senza contraddittorio. Per aver usato la parola TERF [acronimo di femminista radicale trans-esclusion, ndr] su Rolling Stone ho subito ogni genere di attacco da Terragni. Ha tentato anche di farmi perdere il lavoro e ha minacciato di querela me e altri. Se la legge verrà approvata – e non ne sono sicura – queste personalità continueranno a occupare i media come fanno: loro non rischiano niente. E bisognerà implementare la spesa per attività di formazione su omolesbobitransfobia, abilismo e misoginia, perché c'è un mondo di idiozie da smontare, a partire da quelle che stanno dicendo diversi senatori in questi giorni. Non abbiamo la possibilità di votare questa legge come cittadini, ma io la sostengo e in genere chi non lo fa disprezza i gruppi sociali coperti dalla legge.
Anche attraverso la sua newsletter si scoprono le numerose piattaforme web su cui si possono vedere film che normalmente non sono disponibili su quelle più note o magari i costi sono esorbitanti. Che ne pensa di questo fiorire dell'on line? Cosa farebbe per rendere più aperto, accessibile e meno costoso un sistema dominato da pochi colossi? E … sala vs piccolo schermo (tv, pc, tablet, …)?
Fosse per me, i prezzi dei biglietti per il cinema dovrebbero essere più bassi, bisognerebbe trovare una formula che non danneggi la filiera e permetta a tutti di andarci con regolarità. A me il cinema ha cambiato la vita e mi dispiace sapere che molti lo fruiscono solo da un device. Non ho un giudizio negativo su chi preferisce computer, tablet, smartphone, ma non è la stessa cosa. Innanzitutto perché lo spirito critico non cresce più di tanto se rimaniamo sempre da soli, anche se leggiamo tanti saggi come facevo io da adolescente. Farsi raccontare Diaz da Daniele Vicari non è come vederlo su una piattaforma. So che ci sono molte persone abbonate a più piattaforme, mentre altre piratano film e serie, e questo ha delle conseguenze per chi fa cinema indipendente. Io credo nel potenziale di MUBI, che predilige i film d'autore e offre anche dei materiali per studiare i registi proposti. MUBI mi ha contattata per offrire un mese di streaming agli abbonati alla mia newsletter e ho accettato subito. Netflix è proprio un gigante e sta investendo anche in Italia. Penso ad una serie come Zero che ha portato più giovani afro-italiani in tv che decenni di fiction Rai. Ma Netflix e altri colossi ora sono giustamente chiamati da più paesi ad investire sulle produzioni locali e a pagare le tasse nel paese ‘ospitante'. In attesa di nuove leggi a riguardo, io collaboro con Streeen , una piattaforma per il cinema indipendente e d'autore con sede a Torino. Ci lavorano poche persone, ma tutte estremamente competenti e c'è spazio anche per altri progetti. Ho fatto parte ad esempio del gruppo di lavoro che ha vinto, unico progetto italiano, la call di Eurimages per iniziative in tema di parità di genere. Porteremo on line film e lezioni di registe italiane, catalane e curde che pochi conoscono.
Tre film usciti tra il 2020 e il 2021 che consiglierebbe di vedere e perché?
Sorry, we missed you di Ken Loach, perché sarò sempre grata a questo regista per aver imposto ai cinefili di scrivere recensioni sul precariato e il mondo del lavoro.
The Man Who Sold His Skin di Kaouther Ben Hania, perché riesce a parlare dell'utilizzo del corpo migrante tanto quanto delle contraddizioni che muovono il mercato dell'arte.
Guerra e pace di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, un documentario per riflettere sulle guerre.
Pasquale Esposito
Per saperne di più:
gli articoli di Chiara Zanini si possono leggere i suoi articoli qui
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