
Abbiamo chiesto a Claudio Treves, ex presidente del comitato di garanzia nazionale della Cgil, di riflettere sull'ultimo congresso del più grande sindacato italiano affrontando vari temi, tra cui il possibile ruolo “politico” della Cgil e la scelta di invitare a Rimini la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Maurizio Landini, a Rimini, è stato rieletto segretario con il 94% dei consensi, un trionfo. È davvero così? Secondo te esiste qualcosa di non detto? Landini ti ha convinto su tutto, a cominciare dalla scelta di invitare Giorgia Meloni? Qualcuno pensa che l'invito sia stato soprattutto un'abile operazione politica che, forse, è “convenuta” più alla presidente del Consiglio che alla Cgil. Cosa ne pensi?
La rielezione di Landini era del tutto scontata, non essendoci alcuna candidatura alternativa, né esplicita né implicita. Per lui in un certo senso il difficile comincia adesso, dato che per regola statutaria non potrà più avere un altro mandato, e rischia di diventare in questi quattro anni quello che gli americani chiamano una “lame duck” (un'anatra zoppa), riferendosi al Presidente nel corso del secondo mandato. Dipenderà da quanto Landini riuscirà a conseguire risultati seguendo la parola d'ordine da lui stesso lanciata nella relazione introduttiva: “fare” le cose che fin qui sono state in larga parte annunciate ma non sono state conseguite. Il punto è molto delicato perché, al di là delle questioni riguardanti i rapporti esterni (dal rapporto con le controparti a quello con i governi), è da almeno due congressi che la Cgil proclama la “contrattazione inclusiva”, ossia il coinvolgimento dell'insieme dei lavoratori che operano nei siti produttivi spesso con diverse tipologie d'impiego e con diversi Contratti collettivi applicati, senza che questa sia diventata la linea perseguita al di là di pregevoli eccezioni. Il che è dovuto a resistenze burocratiche da un lato comprensibili (chi è o diventa il titolare della contrattazione se le persone coinvolte o da coinvolgere sono iscritte in categorie diverse?), ma dall'altro a fenomeni di chiusura che solo una direzione autorevole e determinata potrebbe rimuovere, cosa che finora non si è verificato. Quanto all'invito alla Meloni, scontato il fatto di invitare le istituzioni, cosa che si è sempre fatto, non ho condiviso la scelta, perché non c'era nessun bisogno di conoscere nel luogo del congresso le intenzioni di questo governo, che erano del tutto esplicite da subito. E invece si è offerta alla presidente del Consiglio l'occasione di accreditarsi all'esterno come interlocutrice “di alto profilo”, di cui personalmente non sentivo certo il bisogno, e non credo che questo abbia giovato neppure alla considerazione verso la Cgil da parte degli osservatori esterni. Invece, penso che nella logica dei “due inviti”, un giorno l'arco delle opposizioni, il giorno successivo il governo, ci sia il tentativo di Landini di accreditare la Cgil come “autonoma dalla politica” e capace di giudicare tutti solo dal merito delle proposte che i vari attori avanzano. Il che, se da un lato è una ovvietà per un sindacato confederale, dall'altro rischia di aumentare nei lavoratori il senso di distacco dall'impegno politico, dalla valutazione anche dei valori che stanno alla base delle proposte avanzate dalla politica. Si rischia insomma una china populista che stride con la storia e con la cultura della Cgil.
Per numerosi osservatori, giornalisti, politici (nazionali e internazionali), il governo su migranti (penso al drammatico naufragio di Cutro, ai rapporti con le ONG e alla politica dei porti), fisco (Flat Tax), PNNR, ponte sullo Stretto di Messina, lavoro (la precarietà non riguarda soltanto i giovani) e diritti civili sia profondamente inadeguato. Secondo i critici, abbiamo ascoltato promesse vaghe unite ad armi di distrazione di massa (come i rave party), finalizzate ad evitare di affrontare le vere emergenze del paese. Si è percepita soprattutto una scarsa considerazione della sofferenza umana (a cominciare da quella di chi, disperato, fugge dalle guerre o dalla povertà non certo per “imprudenza”, come è stato di fatto sostenuto da un autorevole ministro). L'autonomia differenziata, sbandierata dal governo come una riforma epocale, sembra dividere e non unire il paese. La classe dirigente di Fratelli d'Italia e Lega non appare competente su temi centrali in una stagione storica complessa e si mostra chiaramente anti-antifascista (tanti gli esempi ormai), senza dar conto delle inquietanti consonanze (dichiarate) con Trump e la destra repubblicana; con Vox e i neofranchisti spagnoli; con la destra ungherese e quella polacca, sponsorizzate dal cattolicesimo più retrivo. Di questi aspetti, lavoro a parte, si è discusso abbastanza a Rimini oppure secondo te sarebbe stato opportuno discuterne di più?
I giudizi di tutti – dirigenti e delegati – sono stati espliciti durante il congresso, direi senza sfumature. Da qui a dire che ci sia consapevolezza nel complesso degli iscritti delle scelte ignobili di questo governo e di questa maggioranza in tema di diritti civili, di accoglienza e salvataggio dei migranti in primis, ma anche dei diritti delle persone fragili o “non normali” (pensa alle coppie omogenitoriali) ce ne corre, soprattutto perché non è adeguatamente diffuso l'impegno del sindacato nella promozione dei valori “quotidiani” del vivere civile. La cosa che mi ha sempre stupito è l'assenza, in questi anni, di contrasti tra migranti e “nativi” nei luoghi di lavoro, mentre le tensioni scoppiano nelle città e nei territori, il che vuol dire che si potrebbe ben individuare e agire per porre rimedio alle cause delle tensioni: casa e convivenza civile in primo luogo, percorsi inclusivi a partire dalle scuole materne e in tutti i luoghi della formazione, scolastica e professionale, sportiva, ecc. Quanto all'autonomia differenziata, penso che ci sia nel Paese, non solo in Cgil, una convinzione diffusa che si tratti di una “secessione dei ricchi” da contrastare con nettezza, ma non posso dimenticare che una delle regioni promotrici è l'Emilia Romagna, da sempre guidata dalle forze opposte al centro-destra, il che ci riporta alla sciagura di aver introiettato elementi della cultura di destra, casomai per “edulcorarla” ma facendo dei danni che ci portiamo appresso da molti anni. Sono rimasto francamente meravigliato nel sentire la presidente del Consiglio affermare – alla platea della Cgil! – che la ricchezza la crea l'impresa e non il lavoro. Neppure un reazionario dell'800 direbbe più una cosa del genere, eppure pochi hanno tratto da quell'affermazione le conseguenze che sono inevitabili: se le tasse si devono tagliare solo a chi produce ricchezza, ciò andrà fatto tagliando i servizi universali garantiti dallo Stato (e dalla Costituzione: pensa innanzitutto a scuola e sanità), lasciando così alla “libertà” dei singoli la scelta di dove mettere i propri soldi. Ricordo un testo (Libro bianco sul Welfare in una società attiva) del 2007 elaborato da Maurizio Sacconi, allora ministro del Lavoro, in cui si faceva discendere dall'articolo 2 della Costituzione la scelta di privatizzare previdenza e sanità, affinché fosse “la persona”, il cui sviluppo è tutelato appunto dall'articolo 2, a dover decidere senza intermediazioni cosa fare con i propri risparmi. E lasciami dire che fu solo la Cgil – nel silenzio di tutti – a levarsi contro un simile disegno, producendo un testo (Commento e critica del Libro bianco sul Welfare in una società attiva) che ancora potrebbe essere di qualche utilità alla “sinistra”.
Ti ho chiesto dei vari temi, più o meno specifici, pensando al ruolo del sindacato e della Cgil in primis che, in altri momenti della storia italiana (per esempio il Piano del Lavoro all'epoca di Giuseppe Di Vittorio alla fine degli anni '40 o le iniziative di Cofferati all'inizio del III millennio), ha in parte supplito alle lacune della sinistra (o centro-sinistra) politica. In che momento siamo, da questo punto di vista? La Cgil, secondo te, deve avere una funzione più politica o no? Che rapporto può costruire con le opposizioni che, come si è visto non soltanto a Rimini, sono tutt'altro che unite? Ritieni che Elly Schlein sia più una speranza per il PD e per i “progressisti” oppure un rischio rispetto all'organizzazione di un'alternativa credibile alle destre? Infine, a livello europeo e tornando alle iniziative della Cgil, secondo te si sta facendo abbastanza per organizzare una piattaforma comune tra i sindacati, visto che il modello di sviluppo capitalistico attuale funziona poco un po' ovunque?
Sul rapporto della Cgil con la sinistra al tempo di Landini credo di averti già risposto. Aggiungo solo che a mio parere le ultime due elaborazioni di rilievo della Cgil risalgono alla segreteria di Susanna Camusso – il nuovo Piano del Lavoro (2015) e la Carta dei diritti universali dei lavoratori e delle lavoratrici (2017): entrambe lodate al loro comparire e poi lasciate ammuffire nei cassetti del Parlamento. Il punto è proprio questo: ferma restando l'ovvia responsabilità delle forze politiche di proporre le proprie idee per il Paese, esiste o no un pari diritto per il sindacato confederale? Ancora una volta Meloni è stata chiarissima: voi rappresentate una parte, io vi ascolto, ma poi decido per il bene della “Nazione”. Quando la sinistra dice di voler ripartire dal lavoro (Schlein e Speranza sono stati sempre chiari su questo, per non parlare di Fratoianni) significa aver riguardo per le elaborazioni del sindacato, della Cgil in particolare, oppure è solo un omaggio per dire che l'aria è cambiata rispetto alla stagione renziana? La “prova del budino” si giocherà tra poco, oltre che ovviamente sulla delega fiscale, ed avverrà quando il governo vorrà dare seguito agli annunci di ulteriore flessibilizzazione dei contratti a termine, perché lì si capirà se si vorrà solo difendere l'esistente oppure avere il coraggio di avanzare una proposta complessiva sul mercato del lavoro, che traduca davvero l'impostazione spagnola tante volte evocata da Schlein in norme adeguate ai “nostri” disastri avvenuti – ahimè in modo bipartisan – dal 2001 in poi.
Quanto allo scenario internazionale, posso dire poco per carenza di informazioni, ma mi pare che i rigurgiti nazionalistici tanto presenti in varie parti d'Europa abbiano trovato sponde anche nei sindacati nazionali, prova ne sia la tiepidezza, per non dire di peggio, dei sindacati europei e mondiali in tema di migrazione e diritti dei migranti. Mi pare cioè che la strada per un'effettiva cessione di sovranità da parte dei sindacati nazionali verso forme di contrattazione europea e/o multinazionale, per la quale i sindacati italiani vengono sistematicamente sconfitti da almeno tre congressi della Confederazione Europea dei Sindacati (CES), sia ancora molto lunga.
Andrea Ricciardi
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