
Sono tornati a pubblicare un album dopo tre anni. E pare che siano diretti da qualche altra parte. <<Vediamo i primi tre album come una trilogia che adesso è finita>> aveva detto il chitarrista Johnny Buckland nel febbraio scorso quando, lasciati soli da Brian Eno, ancora “litigavano” sui pezzi che andavano inseriti in Viva la Vida [1].
Il disco ha un luogo fisico di riferimento: The Bakery, un vecchio forno a nord di Londra dove i quattro hanno suonato e registrato l’80% della musica che si ascolta nell’album. Ed qui che è stato invitato, per sperimentare, un ipnotizzatore nella logica di totale apertura voluta da Eno.
Quest’ultimo ha prodotto il disco e secondo Chris Martin ha <<portato vita, libertà, slancio, distorsioni, esaltazioni, stranezza, follia, sensualità…>> [2].
Su XL la band spiega che l’idea del doppio titolo Viva la Vida (or Death And All His Friends) viene dal film di Kubrick Il dottor Stranamore ovvero: come imparai… questo per dare all’ascoltatore la scelta finale su quale dei due si adatta meglio.
Nello stesso articolo si trovano commentate le canzoni, comprese alcune motivazioni che sembrano “candidamente” commerciali come quando sostengono di aver voluto iniziare con <<la migliore suoneria di tutti i tempi>> riferendosi a Life in Technicolor o quando parlano di Lovers in Japan/Reign Of Love e Yes/Chinese Sleep Chant come due canzoni in una per l’offeta su iTunes. Lost viene definito da Martin il brano in assenza del quale <<le altre canzoni non ci sarebbero. L’abbiamo scritto durante un sound check dopo aver ascoltato un pezzo dei Blur intitolato Sing>>. 42 è invece, dopo vani tentativi, la canzone senza ritornello e strofe nel senso tecnico, <<è il nostro tentativo di comporre una Bohemien Rhapsody o una Paranoid Android >> (Queen e Radiohead rispettivamente) [3].
Nessun ammiccamento con il loro pubblico, ascoltare in particolare Violet Hill, 42 e Lovers in Japan, è l’opinione di Vignola per una recensione positiva che forse temeva diversa prima dell’uscita, e dove definisce <<l’album più strutturato e ricco>> del gruppo.
Il <<tessuto delle canzoni>> richiama gli U2 e il canto di Martin un <<impasto>> tra quello di Bono e l’esordio di Yorke. Distanti comunque dai Radiohead, ma in grado di dare segni di nuove avventure [4].
Sia pur con i distinguo del caso per un primo ascolto anche per Sibilla ci si trova di fronte ad un disco coraggioso che non si sorregge sui successi del passato. E che alla fine meraviglierà qualcuno per la <<complessità>> dei suoi pezzi.
Una svolta che sembra dello stesso stile di quella degli U2 non solo per il fatto che anche la band irlandese è ricorsa a Brian Eno, ma per una mutazione nel suono lasciando la “tracciabilità” del loro marchio sonoro.
Il meglio è quando <<il lavoro sul suono si nasconde in un doppiofondo, lasciando spazio ad un impatto più diretto, come Viva la vida, il singolo Violet hill, Strawberry swing o Death and all his friends, che inizia come una ballata minimale piano voce e chitarra per poi aprirsi…>>[5].
Anche Saran cerca assonanze quando ribadisce che U2, Talking Heads della maturità e Surprise hanno cambiato con l’arrivo di Eno.
Ma l’elemento portante della sua recensione è un’analisi dei vari pezzi volta a evidenziare come il disco sia <<all’insegna del più spudorato citazionismo…ma le intersezioni tra melodia e arrangiamenti suonano ora grandemente a fuoco>>. E’ così per 42 il cui <<mood passa dal Lennon di Imagine ai Radiohead di Paranoid Android e quindi in filastrocca saltellante alla Arcade Fire>> questi ultimi ripresi anche in Lovers in Japan/Reign of Love. In Yes si ode Eleanor Rigby dei Beatles <<pur nascondendo una profusione di suoni in sottofondo (brusii di chitarre, archi e drum machine), scardinata da un artificio di produzione (un effetto “sbobinamento”) che lancia una corsa di chitarre space-rock ispirata dal canto shoegaze dell’era Broken Social Scene>>. Non manca il Lennon di Give Peace A Chance in Lost o il canto di Bono in , Cemeteries of London [6].
Bertoncelli salva poco di questo album dove Martin non trova nulla sui cui tessere la sua grande voce. La sensazione che gli U2 perseguitano i Nostri per tutto l’album che giudica << una gelatina trasparente che lascia fame e ancora fame, di rock o che diavolo>> e dove l’unica canzone da annotare potrebbe risultare Yes [7].
Il giudizio è positivo per Puglia perché Viva la Vida, pur non essendo trascendentale, <<introduce il concetto di possibilità in un percorso artistico che, finora, si era affidato a schemi rigorosi, a strategie tutt’altro che oblique (anzi ben pianificate, quindi di successo)>>. Il limite sta nel fatto che questo percorso, a braccetto con Eno, non viene compiuto fino in fondo. Note su questa diversità dai precedenti Coldplay li si trova nella <<traccia strumentale in apertura>> nei ben riusciti <<cambi di umore e dinamiche>> di 42 e Death And All His Friends o negli arrangiamenti di Lost, Yes e forse ancor di più dove l’intervento di Eno e della sua storia musicale è più evidente come Strawberry Swing e Lovers In Japan [8].
Canei ci “rassicura” che anche questo disco funzionerà per la band <<blue chip>> del panorama musicale planetario. Riescono a trovare la <<quadratura qualitativo-commerciale su scala epica, tra gli spot di iTunes e la Liberté di Eugene Delacroix sbattuta in copertina>> provando a condurre <<il popolo, un download alla volta, verso un risveglio romantico gradevole e generico, coinvolgente e inoffensivo>>. La citazione è per la title track che segna, più di ogni altra, il salto di qualità della band come lo fu Joshua Tree per gli U2 [9].
Palazzo invece non lascia scampo. In poche decine di parole boccia senza appelli l’album, nonostante Eno, dove vince <<l’ecumenismo niellino equo e solidale>> [10]. Non vi curate di noi e ascoltate!.
Ciro Ardiglione
genere: rock
Coldplay
Viva la Vida (or Death And All His Friends)
etichetta: Capitol
data di pubblicazione: 13 giugno 2008
brani: 10
durata: 42 minuti circa
[1] Evan Serpick, “La Vida è bella?”, Rolling Stone maggio 2008, pag. 23
[2] Ernesto Assante, “Coldplay <<Con Brian Eno sembriamo i Roxy Music>>”, La Repubblica 8 maggio 2008, pag. 51
[3] “Occhio ai Coldplay”, XL giugno 2008, pagg. 72-73
[4] John Vignola, Il Mucchio giugno 2008, pag. 93
[5] Gianni Sibilla, www.rockol.it 8 maggio 2008
[6] Michele Saran, www.ondarock.it 13 giugno 2008
[7] Riccardo Bertoncelli, www.delrock.it 13 giugno 2008
[8] Antonio Puglia, “Il presente dei Coldplay, in fin dei conti, non ci preoccupa. E’ il futuro che ci spaventa un po’”, www.sentireascoltare.it, giugno 2008
[9] Pier Andrea Canei, “Romantici Coldplay”, Il Sole 24 Ore 15 giugno 2008, pag. 47
[10] Diego Palazzo, BLOW UP. Giugno 2008, pag. 96
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