I grandi limiti delle compensazioni delle emissioni inquinanti

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Anche il nuovo stadio di Milano, in caso di demolizione dello stadio Meazza, potrebbe veder compensata le grandi quantità di emissioni di anidride carbonica connesse alla nuova costruzione «mediante l’acquisto sul mercato dei crediti carbonici certificati». Il Comune di Milano ha chiesto -relativamente al progetto presentato – di  «dare priorità al raggiungimento della neutralità carbonica e alla minimizzazione dell’impatto ambientale» [1]. A parte i dubbi sulla validità di utilizzare i crediti carbonici per operazioni urbanistiche, siamo proprio sicuri che sia la strada giusta per combattere i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale? Domanda retorica.
No, che non lo siamo. La soluzione migliore resta, per lo stadio Meazza, quella di ristrutturarlo, riqualificando l’area con il minor impatto ambientale possibile e tenendo conto delle esigenze della comunità.

Le aziende acquistano crediti di CO₂ – secondo i dati di Ecosystem Marketplace nel 2021 i crediti volontari hanno raggiunto la cifra di 2 miliardi di dollari –  per compensare il proprio inquinamento,  ma nella sostanza spesso non accade o peggio ancora. A dircelo è una indagine condotta, con metodi scientifici, dal Guardian, dal settimanale tedesco Die Zeit e da SourceMaterial, un’organizzazione di giornalismo investigativo senza scopo di lucro. L’indagine ha riguardato le certificazioni (VCS – Verified Carbon Standard) emesse da Verra, il cui “programma di accreditamento di gas a effetto serra (GHG) più utilizzato al mondo”, come dicono sul loro sito. Verra sostiene, secondo quanto riporta il Guardian, che «le conclusioni raggiunte dagli studi non sono corrette e mette in dubbio la loro metodologia. E sottolineano che il loro lavoro dal 2009 ha consentito di incanalare miliardi di dollari per il lavoro vitale di conservazione delle foreste». L’indagine ha portato, «sulla base dell’analisi di una percentuale significativa dei progetti», alla conclusione che «oltre il 90% dei loro crediti di compensazione della foresta pluviale – tra i più comunemente utilizzati dalle aziende – sono probabilmente “crediti fantasma” e non rappresentano vere e proprie riduzioni di carbonio» .
Tra le aziende che hanno commentato l’articolo citiamo

«Shell [che] ha detto al Guardian che l’utilizzo dei crediti era “in linea con la nostra filosofia di evitare, ridurre e solo successivamente mitigare le emissioni”. Gucci, Pearl Jam, BHP e Salesforce non hanno commentato, mentre Lavazza ha dichiarato di aver acquistato crediti certificati da Verra, “un’organizzazione di certificazione leader a livello mondiale”, nell’ambito dell’“impegno serio, concreto e diligente dell’azienda di prodotti per il caffè per ridurre” il suo impronta ecologica. Prevede di esaminare più da vicino il progetto» [2].

Altri esperti spiegano come per anni si sia fatto uso di compensazioni a cuor leggere e quindi di fato si possono equiparare a poco più che una formalità, green washing, per pulire bilanci e coscienze dei propri clienti. È il caso, ad esempio, della compagnia aerea american, Delta Air Lines che

«ha dichiarato per oltre due anni di essere carbon neutral. Ciò significa che ha spazzato via dai propri conti milioni di tonnellate di CO₂ prodotte dal carburante bruciato dai propri velivoli, compensando con altri progetti sostenibili. E naturalmente ha sfruttato questa scelta come strategia comunicativa per diffondere messaggi pubblicitari rivolti ai viaggiatori “alleggerendo” i loro sensi di colpa. Dall’analisi di Bloomberg [Bloombergs Green Investigation, ndr] si evince che una delle più grandi fonti di compensazioni di Delta Air Lines è stata il parco eolico Los Cocos II nella Repubblica Dominicana, che quasi certamente non aveva bisogno di ulteriore supporto» [3].

Del resto altri dubbi sul sistema delle compensazioni ci sono altri dubbi connessi alle tempistiche. Infatti

«quando un’impresa effettua una compensazione, lo fa in genere riferendosi alle emissioni di uno specifico anno. Ma molto spesso i crediti di carbonio con cui annulla quelle emissioni fanno riferimento ad assorbimenti futuri, come quelli generati da un nuovo bosco nell’arco dei prossimi trenta o quarant’anni. Ad esempio un’impresa che nel 2022 ha emesso 100 tonnellate di CO2 acquista un quantitativo di crediti equivalenti per potersi dichiarare a zero emissioni: ma in realtà quelle 100 tonnellate di assorbimenti garantiti dal credito, con cui l’impresa compensa le sole emissioni del 2022, sono quelli che verranno generati nell’arco, ad esempio, di 30 anni mentre nel 2022 realmente quel bosco ha sottratto all’atmosfera solamente poche tonnellate di CO₂. Dal punto di vista del clima, quindi, nell’immediato quell’impresa avrà in realtà aumentato la quantità di CO₂ presente in atmosfera e questo rimarrà vero per anni o addirittura decenni, finché quel bosco non sarà diventato adulto e quei crediti saranno, diciamo così, effettivamente maturati. Vista l’urgenza di arrestare l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera e delle temperature, questo ritardo appare incompatibile con la roadmap globale per la neutralità climatica» [4].

La questione è sempre la stessa. Il tempo che abbiamo a disposizione non ci consente più delle scorciatoie e la riduzione delle emissioni dannose per l’ambiente e per l’uomo devono passare per programmi dirette delle aziende e non  compensare attraverso progetti che generano crediti di carbonio scambiabili sul  mercato di riferimento.

Pasquale Esposito

[1] Gianni Santucci, San Siro, le emissioni inquinanti del nuovo stadio «compensate» con progetti all’estero, 23 gennaio 2023
[2] Patrizio Greenfield, Revealed: more than 90% of rainforest carbon offsets by biggest certifier are worthless, analysis shows, 18 gennaio 2023
[3] Maurizio Bongioanni, Compensare la CO2 emessa è un’illusione climatica, 9 dicembre 2022
[4] Andrea Barbabella, Imprese, la neutralità climatica e la trappola delle compensazioni, 30 gennaio 2023

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