Comunità di Sant’Egidio e processo di pace in Sud Sudan

Bandiera Sud Sudan
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Dal 3 al 5 febbraio Papa Francesco sarà in , paese da anni martoriato da feroci conflitti. Il viaggio – programmato per la scorsa estate, fu spostato per le condizioni di salute del papa – è accompagnato da una grande attesa per la speranza che il popolo del Sud ripone nell'operato delle Chiese, protagoniste del processo di riconciliazione dello Stato più giovane al mondo.

Il Sud Sudan è il più giovane Stato al mondo. Nasce il 9 luglio del 2011, dopo una lunga guerra di indipendenza dal Sudan. La sua storia si intreccia evidentemente con quella del Sudan, un grande Paese la cui capitale, Khartoum, è famosa perché lì avviene la confluenza fra le acque del Nilo Bianco e quelle del Nilo Azzurro.

Dal 1820 al 1899 il Sudan è sotto il dominio politico dell'Egitto. L'Egitto sfrutta ampiamente le grandi risorse umane, sia in termini di utilizzo di uomini da impiegare nei lavori e nel reclutamento dell'esercito, sia in beni naturali, di cui il Sudan è ricco. Con la dominazione inglese dell'Egitto, il Sudan dal 1899 al 1947 viene governato dal codominio anglo-egiziano, durante il quale la parte meridionale del Sudan, l'attuale Sud Sudan, continua a essere sfruttata per le sue ingenti risorse umane e naturali. Sebbene gli inglesi adottino la Southern Policy e l'Indirect Rule per la parte meridionale del Sudan dal 1930 al 1947, concedendo autonomia a questi territori, lo sfruttamento delle popolazioni e delle ricchezze non si arresta: a questo si aggiunge – come spiega Paolo Impagliazzo della Comunità di Sant'Egidio e facilitatore del processo di pace in Sud Sudan- «la discriminazione fra le tribù sedentarie e agricole e quelle nomadi dedite alla pastorizia, più difficili da coinvolgere nell'amministrazione del Paese» [1].

Già prima dell'indipendenza del Sudan (1° gennaio 1956), ha inizio una guerra per l'indipendenza del Sud Sudan. In quegli anni si sviluppano movimenti armati di ribellione contro il governo di Khartoum, accusato di discriminare e a sfruttare il Sud. La prima guerra per l'indipendenza del Sud Sudan finirà nel 1972 con gli accordi di Addis Abeba, con il riconoscimento di una certa autonomia al Sud Sudan. Tuttavia, la difficile applicazione di questi accordi porta negli anni Ottanta a nuove ribellioni delle popolazioni cristiane del Sud contro il governo islamico di Khartoum. A capo della rivolta vi è John Garang de Mabior che guida il People's Liberation Movement (Splm). Dopo una lunga e sanguinosissima guerra civile, anche a causa della brutalità dell'esercito di Khartoum, si arriva al Comprehensive Peace Agreement. Con questo accordo, siglato nel 2005, si realizza l'idea di Garang di creare un “nuovo Sudan” per porre fine alla discriminazione del Nord nei confronti del Sud. Esso si basa sulla divisione del potere fra i due maggiori partiti politici delle due regioni fino ad allora in guerra. Per rafforzare l'intesa, a Garang viene offerta la vicepresidenza del Paese e la guida del governo della regione autonoma del Sud. Purtroppo Garang non vedrà realizzata la sua visione di un nuovo Sudan, in quanto morirà subito dopo la firma del Comprehensive Peace Agreement in un incidente aereo. L'accordo tiene e nel 2011 si svolge un referendum che sancisce la definitiva separazione dei due Stati e la nascita del Sud Sudan.

La sofferenza e le distruzioni della lunghissima guerra per l'indipendenza, le divisioni etniche e tribali – che già prima della morte di John Garang avevano afflitto l'Splm – influiranno notevolmente la vita del neonato Sud Sudan. Presto la rivalità per il potere fra il presidente Salva Kiir Mayardit e il vicepresidente Riek Machar, esponenti rispettivamente delle due etnie più numerose del Sud Sudan, i Dinka e i Nuer, trascinano il Paese in due guerre civili, nel 2013 e nel 2016, causando centinaia di migliaia di morti con 2 milioni e mezzo di profughi costretti a trovare rifugio nei Paesi limitrofi (soprattutto in Uganda, ma anche in Sudan e in Etiopia) e 2 milioni di sfollati interni. Queste cifre rendono la crisi dei rifugiati del Sud Sudan la più grave di tutta l'Africa. Questi conflitti minano alla base lo sviluppo del Paese. Da notare che il Sud Sudan è dotato di abbondanti risorse naturali, fra cui petrolio, oro e legname pregiato. Non solo, è ricco di acqua e di terreno fertile, per cui si è guadagnato – ricorda Impagliazzo – «il soprannome di breadbasket (cestino del pane) del Corno d'Africa per le sue potenzialità agricole». Eppure, «oggi più di 8 milioni di abitanti – su una popolazione di 12 milioni – dipendono dagli aiuti umanitari delle organizzazioni internazionali. Tra questi 8 milioni di persone alcune vivono, anche a causa degli effetti dei cambiamenti climatici, una situazione di carestia permanente a rischio della vita per fame».

La fine della guerra civile si raggiunge con la firma del Revitalized Agreement on the Resolution of Confl ict in South Sudan (R-Arcss) nel 2018, sponsorizzato dal Sudan e dall'Uganda. Nasce un governo di unità nazionale fra i partiti dei due principali contendenti Salva Kiir Mayardit e Riek Machar, senza però la partecipazione di alcuni partiti di opposizione, che hanno considerato l'accordo come un mero powersharing, cioè un'intesa per la spartizione del potere e del controllo delle ricchezze del Paese fra i due principali contendenti. Nonostante l'Accordo di pace del 2018, l'etnicizzazione del conflitto provoca continui scontri in tutto il Paese, mentre i partiti che non hanno firmato l'intesa accusano gli altri di voler ridisegnare i confini delle province per dividere il Paese e assicurare il dominio di un'etnia sull'altra e il controllo delle risorse del sottosuolo. In questo scenario di continua instabilità, la Comunità di Sant'Egidio[2], «forte della sua stretta collaborazione con il Consiglio Ecumenico delle Chiese, apre un canale di comunicazione con i partiti dell'opposizione che non hanno aderito al processo negoziale e alla formazione del governo di unità nazionale, come per rispondere al gesto di papa Francesco e contribuire a costruire la pace nel Paese» [3].  In questo quadro drammatico si inserisce l'iniziativa di papa Francesco, che nell'aprile 2019 convoca in Vaticano, insieme all'arcivescovo di Canterbury e al moderatore della Chiesa di Scozia, un ritiro spirituale per i leader del Paese. Alla fine di questo ritiro papa Francesco compie un gesto dirompente, inchinandosi a baciare i piedi dei leader e implorando loro di costruire insieme la pace. Molti restano impressionati dalle immagini del papa che bacia i piedi dei rappresentanti del Sud Sudan che fanno il giro del mondo.

Nel 2019 la Comunità di Sant'Egidio ha lavorato per facilitare un dialogo politico fra i partiti firmatari dell'Accordo di pace del 2018 che hanno formato un governo di unità nazionale e quelli che non lo firmarono, gruppi politici militari, attraverso la Rome Initiative. L'obiettivo è – nello stile della Comunità di Trastevere – trasportare il conflitto dal piano militare al piano politico, come unico mezzo per risolvere le controversie. Il lavoro di Sant'Egidio continua e diversi documenti sono stati firmati a partire dal rispetto del cessate il fuoco e dall'inserimento delle minoranze nella formazione dell'esercito e degli apparati di sicurezza fino alla discussione della scrittura della permanent constitution. All'inizio del 2020 «Sant'Egidio riesce a portare allo stesso tavolo il governo e l'opposizione non firmataria coinvolgendo anche l'Igad – l'organizzazione regionale dei Paesi del Corno d'Africa –, la Comunità Internazionale, l'Onu e l'Ue. Con la Dichiarazione di Roma del 13 gennaio 2020 l'opposizione è riconosciuta come parte del processo. Da quel momento, l'impegno di Sant'Egidio è volto a costruire le condizioni per un'autentica riconciliazione di tutte le istanze del Paese. Nonostante la pandemia, le difficoltà interne all'opposizione e il mancato rispetto del cessate il fuoco, l'Iniziativa di Roma continua il suo percorso portando alla firma di diversi documenti che stanno alla base di un processo di pace inclusivo e democratico comprendendo il coinvolgimento dei militari del governo e dell'opposizione, che giocano un ruolo fondamentale nel rispetto della tregua» [4].

Nel 2022 avrebbero dovuto svolgersi le elezioni ma per via dei ritardi legati al processo di transizione convincono Salva Kiir Mayardit e Riek Machar, di comune accordo, a rimandarle di due anni. Manca un passaggio necessario come quello relativo al completamento della transizione e alla formazione dell'esercito unificato, come garanzia al rispetto del risultato delle elezioni. L'estensione non è stata gradita dalla comunità internazionale, interpretandola come una sorta di prolungamento dello status quo. Gli Stati Uniti, che hanno sostenuto il Paese nella sua lotta per l'indipendenza e la formazione dello Stato, abbandonano i programmi di sostegno al monitoraggio della pace “per mancanza di progressi”. Malgrado i diversi passi avanti compiuti, suscitano molta preoccupazione il clima di violenza e l'ampia diffusione delle armi: le Nazioni Unite stimano infatti che ci siano più di 800mila armi leggere nelle mani dei civili in Sud Sudan. In tal senso, la visita ecumenica di Papa Francesco riveste un carattere del tutto particolare, prima nel suo genere, che il pontefice, l'arcivescovo di Canterbury e il moderatore della Chiesa di Scozia hanno deciso di compiere in Sud Sudan.

Le vicende del Sud Sudan, infine, dimostrano ancora una volta quanto il multilateralismo si è indebolito proprio nel momento in cui è stato posto di fronte a questioni sempre più globali. Il multilateralismo ha subito un arresto proprio quando sembrava più indispensabile. Gli Stati hanno preferito andare in ordine sparso senza la necessaria solidarietà globale. Mario Giro – che con la Comunità di Sant'Egidio ha rivestito con coraggio il ruolo di mediatore in diversi conflitti del recente passato – è profondamente convinto «che le guerre non risolvono i contrasti o le crisi internazionali come hanno insegnato innumerevoli precedenti. Occorre più che mai la trattativa, la mediazione e la pacatezza di giudizio; morte e distruzione non cesseranno senza negoziati e concessioni, purtroppo gravose». Una delle caratteristiche delle guerre e delle crisi acute è – spiega Giro – «quella di occupare tutti gli spazi di riflessione, devitalizzandoli e cercando di rendere il discorso sul futuro irrilevante. Quando scoppia una guerra il pensiero si paralizza e tutti polemizzano su chi abbia torto e chi ragione. Tale è il metodo mimetico della guerra: distogliere l'attenzione da sé per portarla sui combattenti e sulle loro ragioni. Ne conseguono interminabili congetture sulle argomentazioni dell'uno o dell'altro, piegando anche la storia sulla base dei propri convincimenti. Nel frattempo – mimetizzata – la guerra va avanti e cerca di creare le condizioni (materiali e psicologiche) per il suo protrarsi, fino a diventare permanente. È questo l'ingranaggio micidiale: un mondo sempre in guerra, scosso da scontri, crisi o almeno contrapposizioni» [5]. Quando si è in guerra, infatti, le scelte sono ridotte all'osso: combattere o perire. La guerra deturpa l'anima dei popoli che la fanno o la subiscono, anche di quelli che si difendono. La guerra è sempre fratricida, nemica della vita umana, di ogni essere vivente e della natura. Su questo concordano – ricorda Giro – anche i laici, Kant lo diceva in modo semplice: «La guerra elimina meno malvagi di quanti ne crea». Si pensi alle guerre fatte nell'ultimo trentennio: guerre nei Balcani, guerre del Golfo, Afghanistan, Siria, Libia eccetera. Nessuna di esse ha risolto qualcosa, né ha corrisposto alle ragioni invocate per iniziarle, ma ha solo peggiorato le situazioni, creando altro caos. La guerra non è mai ineluttabile: è sempre una scelta politica dei leader che può essere invertita.  Il conflitto tira fuori il peggio da ciascuno e non esiste, «il mito della guerra pulita, “zero morti”, senza danni collaterali ai civili. La malvagità perversa della guerra non risparmia nessuno e finisce per coprire tutti gli eccessi. Non esistono regole in guerra. Se la guerra continua l'Ucraina potrebbe essere distrutta al punto di divenire uno Stato non sostenibile, come nel caso della Siria che è stata quasi cancellata dalla carta geografica». Vi sono ormai innumerevoli esempi di come nessuna sconfitta militare sia mai definitiva e quanto le “guerre del risentimento” (come le chiama Domenico Quirico) siano un ciclo infernale senza fine.

In tutto ciò, la politica europea ed italiana devono assumersi la responsabilità di una nuova epoca della distensione e della convivenza. Il mondo ha bisogno di un'Europa che conti nelle crisi internazionali e nella costruzione di un nuovo multilateralismo efficace e funzionante, iniziando con l'accordarsi su un certo numero di regole comuni.
Antonio Salvati

[1] P. Impagliazzo, Papa Francesco e la pace in Sud Sudan, Vita e Pensiero 6/2022, pp. 59 – 63.
[2] Sant'Egidio è presente nel Paese dal 1994, molto prima dell'Indipendenza, e aveva mediato tra John Garang, padre della patria e Riek Machar, vicepresidente del Sud Sudan.
[3] P. Impagliazzo, Papa Francesco e la pace in Sud Sudan, cit..
[4] Ibidem
[5] M. Giro, Trame di guerra e intrecci di pace. Il presente tra pandemia e deglobalizzazione Edizioni SEB27 Torino  2022.

 

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