Con i neutrini superluminali inizia l’era delle particelle supereroiche?

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Cosa sono i neutrini? Bella domanda! Sarebbe stato meglio se mi fossi posto quest’altra domanda: Cos’è il neutrone o, perlomeno, il sarchiapone?”. Sicuramente avrei dato risposte più esatte e, nel secondo caso, abbastanza plausibili.Ma ritorniamo ai neutrini. Essi sono le particelle più elusive finora scoperte, però studiarle, almeno per gli astroparticellari e i cosmologi, è estremamente interessante ed eccitante, non dico come una cena romantica con la Bellucci, ma quasi; personalmente preferirei cenare e conversare a lume di candela con la fisica teorica Lisa Randall, ma non perdiamoci in ciance.

Iniziamo a dire che i neutrini sono particelle privi di carica elettrica e di carica di colore, peculiarità invece dei quark, con una massa estremamente piccola, non misurabile ancora, che dovrebbe aggirarsi attorno agli 0.05 eV/c², secondo recenti esperimenti al Super-Kamiokande in Giappone. Non avendo carica elettrica né di colore, non percepiscono il campo elettromagnetico né l’interazione nucleare forte, quindi interagiscono solo tramite la forza nucleare debole e, come tutte le particelle, sentono il campo gravitazionale. Ricordando che fanno parte della famiglia dei fermioni, con numero quantico di spin = 1/2, dobbiamo ammettere, purtroppo per i ricercatori, che hanno a che fare molto raramente con la materia ordinaria riuscendo ad attraversare praticamente indisturbati enormi spessori di essa.

La loro esistenza fu proposta per la prima volta dal fisico teorico austriaco, spocchioso quanto basta da irritare la maggior parte dei fisici sperimentali dell’epoca, Wolfgang Pauli nel 1930, per spiegare le osservazioni sperimentali del decadimento radioattivo dei neutroni nei protoni (decadimento beta),
osservazioni che richiedevano, oltre alla presenza del protone e dell’elettrone, anche quella di una particella neutra di massa molto piccola, all’epoca non rivelabile.
I neutrini furono osservati per la prima volta solo nel 1956, quando Cowan e Reines riuscirono per la prima volta a “catturare” e “fotografare” dei neutrini, più precisamente degli antineutrini, prodotti da un reattore nucleare negli Stati Uniti.
Tre sono i tipi di neutrino e relativi antineutrini che si conoscono, associati ai tre leptoni, elettrone, muone e tauone, descritti dal Modello Standard delle particelle elementari: neutrino elettronico, neutrino muonico e neutrino tauonico.

Ogni secondo la Terra, compresi quindi noi stessi, è attraversata da molti miliardi di neutrini; tuttavia quasi nessuno di questi neutrini viene catturato o interagisce con essa: per dare un’idea, in media, soltanto un neutrino all’anno entra, per così dire, “in intimità” con il corpo di una persona. Le sorgenti di neutrini sono molteplici. Partendo da quelle più vicine e proseguendo verso quelle più lontane, possiamo riconoscere, ma non dal loro accento:

1. neutrini terrestri, prodotti dal decadimento di elementi radioattivi presenti nei minerali all’interno
del nostro pianeta;
2. neutrini atmosferici, derivanti dalla collisione dei raggi cosmici, prevalentemente protoni di alta
energia, con l’atmosfera;
3. neutrini solari, emessi dal nucleo della nostra stella durante le reazioni di fusione termonucleare;
4. neutrini da esplosione di supernova, per esempio quella avvenuta nel 1987 nella nebulosa di
Magellano;
5. neutrini fossili, residuo della grande esplosione primordiale, il Big Bang.

I neutrini possono anche essere prodotti artificialmente dall’uomo; tra le sorgenti artificiali di neutrini citiamo gli acceleratori di particelle e i reattori nucleari.
Ma se sono particelle così sfuggenti, poco inclini ad interagire con la materia ordinaria, come fanno i fisici a rivelarli e, di conseguenza, a catturarli. Data la rarità delle interazioni, occorre costruire rivelatori con una massa molto grande, dell’ordine di molte tonnellate e porsi in un ambiente in cui solo i neutrini possano giungere, solo in questo modo i disturbi dovuti alla presenza di flussi di altre particelle (rumore di fondo) possono essere limitati.
Gli esperimenti vengono quindi realizzati sotto terra, in miniere o in tunnel autostradali. La roccia e la terra sovrastante bloccano gran parte delle particelle, che potrebbero produrre un rumore di fondo per il rivelatore, come i muoni, mentre i neutrini giungono indisturbati e, se si è fortunati e perseveranti, qualcuno può essere catturato.

Sempre nel Modello Standard delle particelle elementari, i neutrini si ipotizzano privi di massa. Tuttavia, esperimenti recenti suggeriscono che questa congettura sia falsa. Infatti, flussi di neutrini possono oscillare tra i tre autostati di interazione, i cosiddetti sapori, in un fenomeno conosciuto come “oscillazione di sapore”, che fa mutare “l’abito quantistico” di queste particelle, postulato già dal fisico italiano Bruno Pontecorvo nel 1969, fornendo, in questo modo, una soluzione al problema dei neutrini solari e a quello dei neutrini atmosferici. Questo, inevitabilmente, induce a modificare il Modello Standard, introducendo dei termini nuovi per soddisfare la richiesta che essi siano particelle dotate di massa. In effetti il Modello Standard delle particelle elementari è un modello fenomenologico, adattandosi, con ipotesi ed interventi ad hoc, alle esigenze che si presentano di volta in volta. Alcuni anni fa si pensava che i neutrini potessero essere ritenuti responsabili della presenza di materia oscura nell’universo, ma, con l’attuale conoscenza della loro presunta massa, possono contribuire solo per una frazione insignificante.

Dopo aver esaminato gli aspetti teorici del neutrino, veniamo al vero obbiettivo di questo articolo: valutare a livello teorico la possibilità di avere a disposizione, non proprio su un piatto d’argento, neutrini superluminali.
Tutto iniziò nello scorso mese di settembre, quando un comunicato del CERN annunciava una anomalia nella misura del tempo di volo dei neutrini. I ricercatori dell’esperimento OPERA, che stavano verificando le oscillazioni di neutrino, pubblicarono un preprint nel quale descrissero in dettaglio la misura eseguita e il risultato ottenuto. Tale anomalia farebbe pensare a dei neutrini, di energia di circa 17 GeV, che viaggiano ad una velocità superiore a quella della luce.
L’atteggiamento dei ricercatori di OPERA, che eseguirono le misurazioni, fin da subito, fu di estrema cautela e prudenza, data l’enorme portata della presunta scoperta. Infatti era possibile la presenza di errori sistematici non identificati che avrebbero potuto rendere meno certo l’anomalia riscontrata nella misura del
tempo di volo dei neutrini.
Però nello scorso novembre furono effettuati ulteriori esperimenti, nei quali a percorrere i 730 chilometri, che separano il CERN dal Gran Sasso, furono “pacchetti” di neutrini lunghi solo 3 nanosecondi e spaziati gli uni dagli altri di soli 524 nanosecondi, molto più piccoli e meno distanziati rispetto a quelli utilizzati nelle misurazioni di settembre (in quel caso i fasci avevano una durata di 10500 nanosecondi ed erano lanciati ad intervalli di 50 milioni di nanosecondi). Queste ulteriori misurazioni sembrerebbero accreditare i risultati ottenuti in precedenza, ma una conferma definitiva del fenomeno osservato potrà arrivare soltanto da test indipendenti, condotti da altri gruppi di ricerca, non dimentichiamoci mai del metodo galileiano.

Ora rilassatevi, sedetevi comodamente, se non siete già seduti, e concedetevi una bibita analcolica. Se siete in tram o in metropolitana, non cedete il posto alla prima signorina minigonnata che vi accarezza con sguardi languidi e voi, signore e signorine, non distraetevi fissando il fondoschiena del palestrato di turno, a meno che non sia un ricercatore di fisica, sì da potergli chiedere spiegazioni su quello che state leggendo.
Partiamo quindi con le ipotesi. Iniziamo con il dire che proprio nel tentativo di dare risposta a questa domanda risiedono le vere difficoltà interpretative del risultato sperimentale.
La natura fa interagire gli oggetti che ha posto nel suo universo tramite quattro forze fondamentali, oggi fortunatamente quasi tutti riunite in un’unica legge: la gravitazione, l’elettromagnetismo, la forza nucleare forte e quella debole. Sfruttando i dettami della teoria quantistica dei campi, cioè il fatto che le interazioni deboli mettono in comunicazione il neutrino con un signore molto noto, per giunta suo mentore, l’elettrone, alcuni fisici fanno notare che l’anomalia misurata nella velocità del neutrino altererebbe anche le proprietà dell’elettrone in una misura incompatibile con i risultati noti e stabiliti di numerosi esperimenti.
Altri fisici, capeggiati da Cohen e Sheldon Glashow, fanno uso di un’analogia con l’effetto Cerenkov, che crea una caratteristica luce azzurra osservata tipicamente nei reattori nucleari. Questa luce è creata da una particella, ad esempio un elettrone, che viaggia in un mezzo a velocità superiore a quella della luce nel mezzo stesso, perdendo energia per irraggiamento. L’effetto Cerenkov è legato alle interazioni elettromagnetiche dell’elettrone con il fotone; se i neutrini viaggiassero più velocemente della luce, dovrebbero perdere energia per un effetto simile, legato questa volta alle interazioni deboli. Gli stessi dati di OPERA confermano, imbarazzando alquanto gli stessi sperimentatori, che questa perdita di energia non avviene: i risultati di OPERA, secondo Cohen e Glashow, sono quindi contraddittori.
Altri fisici sostengono che i ricercatori di OPERA non hanno considerato, non solo gli effetti dovuti alla gravità nelle equazioni matematiche, ma anche quello che essa causa negli orologi utilizzati durante l’esperimento. Questo accade poiché la gravità interviene in maniera diversa nelle due stazioni coinvolte, i
Laboratori Nazionali del Gran Sasso e il CERN di Ginevra, così che uno dei due orologi potrebbe aver misurato un intervallo di tempo inferiore rispetto all’altro alterando perciò la misura del tempo associato ai fotoni e ai neutrini.
Alcune ricerche teoriche mostrano come le misure di Opera non siano in disaccordo con gli altri test sperimentali sulla Relatività Speciale, ma richiedano piuttosto delle assunzioni molto particolari sulla differenza relativa tra la velocità dei neutrini e quella della luce nel vuoto, le quali possono essere giustificate
solo con l’introduzione di un neutrino sterile, detto così perché immune alla forza debole del Modello Standard, ma comunque interagente con la gravità. Si tratta però, per alcuni critici, di un’ipotesi inserita ad hoc che può spiegare solo il risultato di Opera, e dunque un’ipotesi probabilmente da scartare.
Ammettiamo ora che il fenomeno dei neutrini superluminali sia reale, e prendiamo per buona l’analisi di Cohen e Glashow, allora esso può essere compreso solo in un quadro dal quale si evince un nuovo paradigma. Possiamo ad esempio immaginare l’esistenza di un sistema di riferimento privilegiato o di extradimensioni, oltre le quattro ordinarie, che nascondono scorciatoie che i neutrini possono prendere per arrivare prima a destinazione, pur rispettando il limite di velocità, o addirittura invocare l’esistenza di un campo di cui la Terra è sorgente, come il campo gravitazionale, che sia responsabile della propagazione
superluminale del neutrino: una specie di quinta forza fondamentale, simile alla gravità, che cambia la geometria dello spazio-tempo, ma, in quest’ultimo caso, mi sembrano ipotesi che nemmeno l’equipaggio dell’Enterprise prenderebbe in considerazione.

Ripassiamo ora un po’ di fisica relativistica.
La Relatività Speciale postula che le leggi della fisica debbano essere invarianti per trasformazioni di Lorentz: queste sono trasformazioni delle coordinate spazio-temporali che vennero introdotte per risolvere le contraddizioni tra meccanica classica ed elettromagnetismo e che, da un punto di vista matematico,
comprendono trasformazioni fra sistemi inerziali in moto relativo.
La Relatività Generale include questa invarianza nel principio di equivalenza stabilendo che le leggi della fisica assumono la stessa forma in tutti i laboratori in volo libero di dimensioni sufficientemente piccole e avendo cura di effettuare osservazioni per un tempo sufficientemente ridotto. Questa è nota come
invarianza locale di Lorentz e sulla sua supposta violazione si sono concentrati alcuni studi recenti intesi a dimostrare come il vincolo sulla differenza relativa tra la velocità dei neutrini e quella della luce nel vuoto per l’esperimento Opera sia compatibile con i risultati di altri test sperimentali svolti in passato.
Evitando una rottura drastica dell’invarianza di Lorentz, la possibilità, da parte dei neutrini, di superare il limite della velocità della luce nel vuoto può essere contemplata in una teoria che operi una modifica opportuna della relazione tra la velocità e l’energia delle particelle. Tale modifica preserva l’invarianza di
Lorentz, non la rompe, ma la “deforma” soltanto.
Se provata, essa contribuirebbe a corroborare la relatività doppiamente speciale e il principio di località relativa. Questa teoria, che eleva al rango di costante fisica fondamentale la lunghezza di Planck, la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico, in aggiunta alla velocità della luce nel vuoto (per questo è “doppiamente” speciale), immagina un universo in cui il vuoto risponde come un mezzo in cui si propaghi un’onda e che quindi ha una risposta differente a seconda dell’energia della particella che lo attraversa.

Per concludere questo articolo sulle varie teorie riguardanti questo benedetto neutrino superluminale, facciamo un viaggio a ritroso nel tempo per incontrare un grande fisico italiano, scomparso misteriosamente: Ettore Majorana.
Partendo dal presupposto che i risultati di OPERA non mettano in discussione la teoria della relatività in alcun modo, possiamo ipotizzare, con Majorana, che la propagazione del neutrino nella materia, e non nel vuoto, possa avvenire a velocità superluminali assumendo per esso una massa immaginaria (massa il cui
quadrato sia un numero negativo). È dunque la materia che viene attraversata dalle particelle che è responsabile del fenomeno, una situazione che ricorda quella suggerita per i fotoni nei metamateriali, cioè materiali creati artificialmente con proprietà elettromagnetiche peculiari, dipendenti non soltanto dalla
struttura molecolare, ma anche dalla geometria seguita nella realizzazione.
Termino riscrivendo il titolo dell’articolo: con i neutrini superluminali inizierà l’era delle particelle supereroiche? Non ci resta che attendere, anche se sono molto dubbioso sull’effettiva portata di questi esperimenti.
Intervistato, Sir Roger Penrose, eminente fisico teorico inglese, dice di non credere che i neutrini possano viaggiare più velocemente della luce, sollevando seri dubbi sulla competenza in fisica relativistica da parte dei ricercatori di OPERA.
Ma si sa, gli inglesi, quando diventano sir, assumono anch’essi un atteggiamento spocchioso.

Angelo Grimaldi

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