Concessioni balneari: direttive UE violate, mancati incassi e rischi ambientali

Gargano spiaggia
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Altro dossier spinoso sul tavolo del , perché la ha imposto, con un parere motivato, il perentorio stop al rinnovo automatico delle concessioni balneari che devono avvenire solo attraverso gare aperte, nel rispetto dei criteri della concorrenza e del libero mercato. Ora il governo ha due mesi di tempo per rispondere ai rilievi sollevati da Bruxelles. Attualmente la materia è regolata dalle norme contenute nel Decreto legge del 5 ottobre 1993 n. 400 che prevede che le concessioni demaniali marittime abbiano una durata di 6 anni e siano automaticamente rinnovate ad ogni scadenza per ulteriori 6 anni, a semplice richiesta del concessionario [1].

Sebbene l'intervento dell'esecutivo comunitario con l'invio del parere motivato non pregiudichi il proseguimento di ulteriori trattative, è pur vero che questo richiamo non nasce a margine di un controllo di routine, ma fa seguito alla procedura d'infrazione già avviata il 3 dicembre 2020 proprio in conseguenza delle violazioni poste in essere dall'Italia in materia di concorrenza. Il messaggio della Commissione non lasciava scampo ad interpretazioni:

«Gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge), siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. L'obiettivo è […] offrire vantaggi ai consumatori e alle imprese, proteggendo nel contempo i cittadini dal rischio di monopolizzazione di tali risorse» [2].

Quella nuova frizione con le Istituzioni comunitarie, può essere sostanzialmente ricondotta alla inosservanza delle norme contenute nella Direttiva UE 2006/123/CE, da tutti conosciuta come Direttiva Bolkenstein, dal nome del commissario europeo che l'ha curata e sostenuta. In breve, quella proposta dal Commissario europeo, può essere vista come una direttiva quadro che pone regole di portata generale entro le quali gli Stati membri possono decidere come disciplinare i principi relativi alla libera circolazione dei beni e dei servizi.

E proprio in quello stretto corridoio, fra osservanza delle normative europee e la «libera» loro regolamentazione, il governo ha tentato di infilarsi proponendo l'opzione del c.d. «doppio binario», cioè quello di procedere alla distinzione fra concessioni pre e post Bolkenstein. Questo estremo tentativo di divincolarsi da un obbligo che ormai è impossibile aggirare, nasce dal rispetto del principio del legittimo affidamento, dal quale il governo ne fa discendere che chi ha investito negli stabilimenti balneari prima dell'entrata in vigore della Legge comunitaria 2010 – che regola fra molte cose anche le concessioni balneari – lo ha fatto nella certezza che lo Stato non poteva revocare quanto già concesso. Una via di fuga che sebbene ricercata in punta di diritto, e rafforzata poi attraverso il decreto «Milleproroghe», che lo faceva slittare addirittura al 31 dicembre 2024, cioè un anno in più di quanto fissato dal governo Draghi,  non ha convinto Bruxelles ne tanto meno il Quirinale. Infatti lo scorso 24 febbraio, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella lo ha sì promulgato ma esprimendo riserve proprio su questo punto: «È evidente che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive, accrescono l'incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e parlamento» [3].
Il governo cerca di guadagnare più tempo possibile e il ministro per gli Affari europei le politiche di coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, che porta avanti il negoziato con la UE, ha già certificato che è attualmente assegnato soltanto il 33% delle coste – quindi un terzo del totale – con il 67% delle aree demaniali libere e, teoricamente, oggetto di nuove concessioni. Sembra un gioco di prestigio, invece intende raggiungere due obiettivi e cioè; da una parte lanciare un messaggio tranquillizzante alle associazioni balneari facendo intendere che di aree demaniali da assegnare ce ne sono ancora, e dall'altra dimostrare a Bruxelles che la risorsa naturale disponibile non è scarsa con i 7.500 chilometri di coste e che quindi non si può applicare a questo settore la direttiva Bolkenstein. Il risultato sperato è quello di poter sottrarsi all'obbligo di mettere a gara tutte le concessioni.

È una mossa questa oltre che ardita, anche molto pericolosa perché rischia seriamente di innervosire la Commissione UE e trasformare la natura di quel parere motivato in una denuncia davanti la Corte di Giustizia europea. Al momento la Corte sembra dimostrare molta pazienza nei nostri confronti fornendoci ulteriori spiegazioni su cosa deve intendersi per «scarsità della risorsa naturale», nostra ultima roccaforte per non cedere agli obblighi europei. Questa la risposta del giudice europeo:

«L'articolo 12, paragrafo1, della direttiva 2006/123 conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità della risorsa naturale. Tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso[…]. In particolare, la combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste» [4].

Quindi, la Corte UE rimanda la palla nel nostro campo aprendo due possibili scenari. Se si decide di adottare il criterio di valutazione a livello nazionale, occorrerà dimostrare attraverso una mappatura quanti dei 7500 chilometri di litorale italiano sono già occupati da concessioni. Mentre se calcolata su base regionale o comunale, ci sarebbero differenze fra aree più densamente popolate e quelle invece dove ci sono ancora centinaia di chilometri di litorale a disposizione.

Sembra però che il governo si muova in maniera disarticolata sulla materia se addirittura pochi mesi addietro il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida ha gettato altra benzina sul fuoco dichiarando: «Abbiamo il dovere di difendere il nostro modello produttivo. Non abbiamo una postura arrogante ma in Italia c'è un'offerta di qualità che va protetta, in linea con gli indirizzi dell'Europa», Europa che però «deve tenere conto delle peculiarità  delle nazioni» [5]. Insomma, come a dire che noi continueremo a fare quello che ci sembra più conveniente, qualunque cosa possa obiettare Bruxelles.

Sebbene espressa in maniera grossolana, comunque la verità di fondo è che la materia è estremamente complessa e questo è anche confermato dai numerosi interventi che si sono resi necessari per ottemperare alle indicazioni contenute nella procedura di infrazione comunitaria, tenendo d'occhio anche le rilevanti questioni di ordine economico relative al comparto del settore turismo. Come è stato rilevato in un interessante studio commissionato dalla Direzione Generale delle Politiche Interne del Parlamento Europeo, e predisposto dalla professoressa Cristiana Benetazzo dell'Università di Padova insieme alla ricercatrice in Diritto UE Sara Gobbato «stando ai dati forniti dagli operatori di settore, intorno agli stabilimenti balneari e alle loro relative concessioni demaniali, operano circa 30.000 aziende italiane e circa 600.000 operatori (indotto compreso). È però estremamente difficile, e per certi versi impossibile, avere dati puntuali, organici, suddivisi per regione e quindi per comune»[6].

E allora il vero nodo che il governo cerca di aggirare per non doverlo sciogliere, è proprio quello legato ai grandi numeri del comparto balneare, che insieme a tutte le storture, è un ricco bacino dal quale poter drenare voti anche perdendo molo denaro per le casse dello Stato.
Le conseguenze di questo scellerato comportamento dilatorio del governo, per la messa a gara delle concessioni balneari, si vedono immediatamente nelle cifre che Angelo Bonelli portavoce del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra, ha rilasciato nel corso di una intervista: «il fatturato degli stabilimenti balneari nel nostro Paese è di 10 miliardi di euro, però l'incasso nell'Agenzia del demanio è di poco più di 100 milioni di euro, una vergogna inaudita». Forse però il pericolo che si nasconde dietro le mosse del governo, è quello che il deputato di opposizione indica senza incertezze e cioè: «Il governo italiano sta facendo un grande impiccio, un trucco incredibile che farà arrabbiare milioni di persone. In sintesi, per non mandare a gara le concessioni demaniali esistenti, ovvero gli stabilimenti balneari, manderanno a gara le spiagge libere. Centinaia di chilometri andranno a gara per essere date in concessione. In sintesi la lobby Briatore-Santanchè vince; ma a fare gli imprenditori con i beni dello Stato venduti a pochi spiccioli, siamo capaci tutti quanti» [7].
Oltre al danno economico ne esiste uno ancora peggiore, quello ambientale, secondo Sebastiano Venneri, responsabile territorio e innovazione di Legambiente, che lo scorso aprile diceva «Basta perdere tempo. La vicenda della Bolkestein ha funzionato come strumento di distrazione di massa rispetto ai veri problemi dei litorali italiani. Negli ultimi 50 anni il nostro Paese ha perso 40 milioni di metri quadrati di spiagge a causa dell'erosione costiera, come racconta il Rapporto spiagge 2022 di Legambiente. Non si dimentichi poi che, parlare di spiagge significa anche parlare di sostenibilità ambientale. In questo senso si proceda accelerando nella direzione della qualità e sostenibilità ambientale, replicando quelle tante esperienze virtuose e green messe in campo già da molti lidi e apprezzate sempre più dai cittadini che cercano qualità e rispetto dell'ambiente. A questo riguardo la Prassi UNI, nata dal lavoro di Legambiente insieme alle principali categorie di balneari, è un'esperienza preziosa che definisce i criteri dei lidi sostenibili e accessibili e che spinge proprio in questa direzione» [8].

Stefano Ferrarese

 

[1] https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-12-04&atto.codiceRedazionale=093A6858&elenco30giorni=false, 18 novembre 2023
[2] Brahim Maarad, https://www.agi.it/estero/news/2023-11-16/balneari-ue-rilancia-procedura-infrazione-italia-24006794/, 16 novembre 2023
[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/16/balneari-arrivata-a-roma-la-lettera-della-commissione-ue-che-contesta-la-procedura-dinfrazione-due-mesi-per-rispondere/7355448/,16 novembre 2023
[4] Alex Giuzio, https://www.mondobalneare.com/sentenza-ue-su-balneari-lanalisi-mappatura-spiagge-unica-via/, 21 aprile 2023
[5] Emanuele Bonini, https://www.eunews.it/2023/02/28/balneari-lollobrigida-dovere-di-difendere/, 28 febbraio 2023
[6] “Concessioni balneari in Italia e Direttiva 2006/123/EC, nel contesto europeo”, pagina 11, nota 3, https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2017/596809/IPOL_STU(2017)596809_IT.pdf, 18 novembre 2023
[7] Fabio Salamida, https://www.today.it/politica/balneari-governo-europa-spiagge-briatore-santanche-twiga.html, 16 novembre 2023
[8] Concessioni balneari, Legambiente: Non ci sorprende la pronuncia dell'Ue. Basta perdere tempo, 20 aprile 2023

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