
La Conferenza sul clima (COP27) – chiusasi lo scorso 20 novembre – è stata sostanzialmente un fallimento. La montagna ha partorito un topolino nelle due settimane di gestazione della COP27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto.
Si dirà che rispetto a COP26 un accordo tra i 196 Stati è stato sottoscritto. Certo l’accordo per costituire un fondo per le perdite e i danni (“loss and damage”) subiti dalle Nazioni più povere ed esposte (ma meno responsabili) al riscaldamento globale è un passo in avanti sulla giustizia climatica. Ma si tratta per ora solo di teoria, chiacchiere.
Sulla giustizia climatica il giudizio negativo parte da alcune considerazioni. La prima è che dal lontano 1991 i Paesi più poveri reclamano giustamente forme di compensazione per i danni provocati al clima dalle attività delle Nazioni più ricche, ma gli accordi sono sempre stati bloccati, in primis da UE e USA. La seconda è direi un’altra parte della storia: in passato (COP15) i Paesi più ricchi e inquinanti avevano già preso l’impegno a versare annualmente, e al più tardi dal 2020, 100 miliardi di dollari l’anno ai Paesi poveri per supportarli nella loro transizione ecologica, ma nel 2020 si è giunti a soli 83,3 miliardi di dollari.
Altra considerazione è che questi accordi non sono cogenti, sono su base volontaria, niente a che vedere con quelli presi in seno ad altre istituzioni come ad esempio l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) dove sono imposte rigide regole e sanzioni. Sarebbe utile a questo proposito se si riuscisse a far avanzare in futuro il progetto (“Bridgetown”) di revisione del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale – avanzato dalla prima ministra dello Stato delle Barbados, Mia Mottley – e volto a semplificare il finanziamento da parte delle due istituzioni finanziarie delle infrastrutture necessarie all’adattamento climatico.
Lo scetticismo aumenta fino al pessimismo totale nei confronti di questo accordo sul fondo per le perdite e i danni quando ci si chiede
“in che modo questo fondo verrà finanziato, da chi, e soprattutto quali saranno i Paesi beneficiari. Con la Cina che, nonostante il gigantesco quantitativo di emissioni di gas ad effetto serra che disperde ogni anno in atmosfera e nonostante sia ormai una potenza industriale globale, si ostina a voler rimanere classificata come nazione in via di sviluppo. Proprio per poter accedere ai fondi” [1].
È vero che ci sono state durante la COP27 anche altre buone iniziative, ma sono estemporanee, poco diffuse e quindi poco incisive a livello globale. Si tratta per esempio del lancio di altri Piani di prosperità climatica da parte dei Paesi in via di sviluppo (Ghana, le Maldive e lo Sri Lanka). Si tratta di finanziamenti destinati a progetti utili a combattere la crisi climatica sostenendo contemporaneamente la crescita economica, posti di lavoro inclusi. Dello stesso tenore è l’accordo finanziario – di fatto avvenuto al G20 che si è svolto in contemporanea con COP27 – tra Paesi ricchi e Indonesia (con la formula del Partenariato per una transizione energetica giusta) per consentire a quest’ultima di chiudere le centrali a carbone sul suo territorio e raggiungere un picco di emissioni non oltre il 2030.
Ma veniamo alla causa dell’ennesimo fallimento in una Conferenza del clima. La COP27 si è chiusa senza un accordo sostanziale che limiti le emissioni da qualunque combustibile fossile.
“Quando la storia della crisi climatica sarà scritta, qualunque sia il mondo che ci aspetta, la Cop27 sarà vista come il momento in cui il sogno di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C è morto” [2].
Non bisogna arrendersi ma questa è la realtà dei fatti. La dichiarazione finale, nonostante il tentativo dell’India e come era accaduto a COP26 – fa riferimento ad una generica “graduale eliminazione” del carbone e alla fine dei “sussidi inefficienti” ai combustibili fossili. Nessun impegno nonostante la combustione di carbone, petrolio e gas provochino circa il 90% delle emissioni globali di CO₂.
E questo nonostante le chance di rimanere con un aumento della temperatura globale entro 1,5°C dai livelli preindustriali siano diminuite. Secondo gli scienziati del Global Carbon Project, “se gli attuali livelli di emissione persistono, c’è ora una probabilità del 50% che il riscaldamento di 1,5°C venga superato in nove anni”. E non c’è niente di concreto che ci faccia pensare ad una inversione di tendenza nell’immediato. Infatti
“i piani climatici degli Stati Uniti ci pongono su una traiettoria di riscaldamento di almeno 2,5°C alla fine del secolo. E durante questa COP27, solo l’UE, il Messico o la Turchia hanno annunciato nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni. La Cina, il più grande emettitore del mondo, è rimasta assente, aggrappandosi al suo obiettivo di raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2060” [3].
Del resto che fiducia possiamo riporre negli organizzatori e nei rappresentanti se questa COP27 viene sponsorizzata dalla EgyptAir e dalla Coca-Cola e se si lasciano circolare tra i corridoi della Conferenza 636 lobbisti dell’industria dei fossili? Il risultato è la firma o l’annuncio di quattordici accordi internazionali sul gas e prima dell’inizio la Germania ha firmato una partnership con l’Egitto [4].
E così il testo finale della Cop27
“conteneva un provvedimento per incentivare le «energie a basse emissioni». Ciò potrebbe significare molte cose, dai parchi eolici e solari ai reattori nucleari e alle centrali elettriche a carbone dotate di cattura e stoccaggio del carbonio. Potrebbe anche essere interpretato nel senso di gas, che ha emissioni inferiori rispetto al carbone, ma è ancora un importante combustibile fossile. Molti paesi alla Cop27, in particolare quelli africani con grandi riserve da sfruttare, sono venuti a Sharm el-Sheikh sperando di concludere lucrosi accordi sul gas” [5].
Un fallimento che è figlio di un sistema di produzione e consumo non più sostenibile per il Pianeta e per gli esseri che ci vivono. Alla fine se continuiamo a correre verso un uso insensato delle risorse e con grandi livelli di disuguaglianza che non consentono ottimismi per le scelte future.
Pasquale Esposito
[1] Andrea Barolini, Cop27. Emissioni, loss and damage, finanza: tutte le decisioni e le reazioni, 20 novembre 2022
[2] Damian Carrington, The 1.5C climate goal died at Cop27 – but hope must not, 20 novembre 2022
[3] Mickaël Correia, COP27: l’accord final échoue à nouveau sur la fin des énergies fossiles, 20 novembre 2022
[4] Mickaël Correia, ibidem
[5] Fiona Harvey, What are the key outcomes of Cop27 climate summit?, 20 novembre 2022
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