
Al termine della prima settimana della Conferenza ONU sul clima – COP27 – che si sta svolgendo in Egitto, a Sharm-El Sheikh, c’è da essere solo pessimisti su un accordo. Le circa 200 nazioni che vi partecipano sono distanti e
“a confermarlo sono i primi testi (draft, bozze in italiano) pubblicati dai vari gruppi di lavoro presenti nella località balneare africana. Uno dei più importanti è quello pubblicato dal Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA) e dal Subsidiary Body for Implementation (SBI) e che è dedicato alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Ovvero a ciò che possiamo (ancora, per ora) fare per rallentare la crescita della temperatura media globale e limitarne la crescita” [1].
All’apertura dei lavori è stato il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres a testimoniare la gravità del momento:
”L’umanità ha una scelta, cooperare o perire. Il mondo è su un’autostrada verso l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore e l’unico modo per porre fine a tutta questa sofferenza è scegliere di collaborare”, concetto ripreso poi anche dal Presidente del Consiglio europeo Michel:”Stiamo vivendo in un tempo preso in prestito. La necessità di proteggere il nostro pianeta non è mai stata così urgente” [2].
Sul tavolo, due gli obiettivi da raggiungere; limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C e rispondere ai bisogni materiali delle comunità che stanno subendo gli impatti più gravi dei cambiamenti climatici. In altre parole, è necessario creare strutture finanziarie ad hoc che aiutino a risollevare le già modeste economie disastrate dai cambiamenti del clima. L’arresto del riscaldamento globale entro limiti accettabili si sta rivelando anno dopo anno come una meta sempre meno a portata di mano. D’altronde è evidente che l’effetto serra con le sue devastanti conseguenze può essere contenuto solo attraverso un coordinamento mondiale di controllo delle emissioni perché se un paese riduce le sue e un altro le aumenta, siamo punto e a capo.
Quello che va tenuto sotto stretto controllo per i suoi effetti sul clima, è il totale mondiale di emissioni immesse nell’atmosfera. Le concentrazioni dei principali gas serra – anidride carbonica, metano e azoto – hanno raggiunto di nuovo livelli record nel 2021, tanto che la fascia di anni che va dal 2015 al 2021 può essere considerata come la più calda di sempre. Basta scorrere il rapporto presentato dall’Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO) dove aggiorna lo stato del clima globale nel 2022 per rendersi conto che l’apocalisse è già iniziata. Lo afferma chiaramente il Segretario generale Petteri Taalas:
”Maggiore è il riscaldamento, peggiori gli impatti. Abbiamo livelli così elevati di anidride carbonica nell’atmosfera che il livello di 1,5°C dell’accordo di Parigi è a malapena a portata di mano. È già troppo tardi per molti ghiacciai e lo scioglimento continuerà per centinaia se non migliaia di anni, con importanti implicazioni per la sicurezza idrica” [3].
Non solo ma lo scorso venerdì 11 novembre è stato presentato il Global Carbone Report i cui dati rappresentano l’ennesima controprova di quanto siano diffuse le chiacchiere. Secondo il rapporto il 2022 sarà un altro anno record per le emissioni di CO2 fossili che sono “ora leggermente al di sopra del livello pre-COVID-19 del 2019. Le emissioni di carbone, petrolio e gas nel 2022 dovrebbero essere superiori ai livelli del 2021 (rispettivamente dell’1,0%, 2,2% e -0,2 %). A livello regionale, le emissioni nel 2022 dovrebbero essere diminuite dello 0,9 % in Cina (3,1 GtC [miliardi di tonnellate, ndr], per un totale di 11,4 GtCCO2 ) e dello 0,8 % nell’Unione Europea (0,8 GtC 2,8 GtCCO2 ), ma sono aumentate dell’1,5 % negli Stati Uniti (1,4 GtC , 5,1 GtCCO2 ), 6 % in India (0,8 GtC, 2,9 GtCCO2 ) e 1,7 % nel resto del mondo (4,2 GtC, 15,4 GtCCO2 ). Il rapporto inoltre stima che se non arresteremo questo andazzo avremmo il 50% di possibilità di superare – entro i prossimi nove anni – la soglia degli 1,5 gradi centigradi di aumento della temperatura media globale, rispetto ai livelli pre-industriali [4].
Sebbene questi dati inoppugnabili siano a conoscenza di tutti i leader mondiali, parlare di riduzione delle emissioni senza la presenza di stati come India, Russia e Cina – che da sola produce quasi il 33% delle emissioni – è a dir poco contraddittorio, calpesta gli accordi di Parigi (COP21) e di Glasgow (COP26) ci spinge a pensare quanto probabile sia il pauroso flop verso il quale si sta dirigendo questa ennesima conferenza che probabilmente servirà solo da faraonica vetrina per Al Sisi, il quale non a caso ha già provveduto a porre agli arresti l’attivista indiano Rajagopal, reo di aver organizzato una marcia di protesta dal Cairo a Sharm el Sheikh [4].
Dunque, stando così le cose, nella conferenza egiziana ci sarà poco da festeggiare se non la presenza del Brasile dopo l’era Bolsonaro. Ma per ritornare alla Cina, lo Stato asiatico sembra muoversi su due binari paralleli dove, da una parte, annuncia che cercherà soluzioni altamente tecnologiche per risolvere le complesse sfide ambientali e dall’altra continua ad essere il paese che brucia più carbone di tutti al mondo ed ha anche accelerato la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone. La Cina considera il carbone un bene strategico il cui uso, seppur dannoso, le evita di diventare dipendente da fornitori di energia stranieri. Ma il dito puntato contro la Cina riguarda anche i suoi investimenti in Africa. Secondo quanto afferma il Premio Nobel per la Pace Riccardo Valentini, insignito del riconoscimento nel 2007 insieme ad Al Gore:
”La Cina, Paese tradizionalmente vegetariano, ad un certo punto ha avuto un picco nel consumo di carne ormai dieci volte superiore a quello che aveva prima della guerra (Seconda guerra mondiale, ndr) e oggi registra un cambiamento radicale da una dieta vegetariana a una carnivora. Alcuni dei più grandi investimenti che la Cina opera in Africa sono finalizzati alla filiera della soia che però è destinata agli allevamenti intensivi degli animali. Se solo si riducesse il consumo di carne di un terzo, potremmo sfamare l’intera popolazione mondiale” [5].
Quindi il grande piano strategico messo in piedi da Xi con il suo Partito/Stato, è anche quello di sfruttare l’emergenza globale e affrontare il cambiamento climatico a proprio vantaggio strategico. Non è semplice coincidenza che proprio a ridosso dell’inizio della conferenza egiziana, la Cina abbia dato nuovo impulso al suo programma tecnologico per la soluzione dei problemi ambientali, accendendo i riflettori sui suoi sforzi, il che le ha permesso di sollecitare lei, questa volta, i Paesi più industrializzati a creare un fondo di 100 miliardi di dollari – tra l’altro atteso da tempo – per aiutare le nazioni più povere ad adattarsi all’aumento delle temperature. Mossa strategica sicuramente redditizia, in un futuro non troppo lontano, che mira a porsi come modello di riferimento per i Paesi più deboli, legandoli a lei con la fornitura a prezzi stracciati di quei prodotti dei quali è leader mondiale come i pannelli solari, turbine eoliche ed altri ritrovati.
Stando così le cose, è in pratica un’illusione credere che COP27 possa prendere quelle decisioni drastiche necessarie a limitare la catastrofe. L’impressione è che da una COP all’altra ci si avvii coscientemente verso il baratro e questa corsa sembra accelerata da quelle nazioni economicamente più evolute – e quindi storicamente responsabili delle maggiori aggregazioni di CO2 nell’atmosfera – che sempre più sfuggono all’assunzione di responsabilità nei confronti dei Paesi più deboli.
E alla COP27, proposito di Africa, gli attivisti per la giustizia climatica hanno posto in evidenza la politica energetica dell’’Occidente, che ricordiamo è per consumo individuale il maggiore responsabile di questo disastro. È in atto una vera corsa all’accaparramento del gas africano anche con l’impulso a supportare progetti per combustibili fossili danneggiando le comunità a cui verranno sottratte terre e risorse, incluse quelle idriche. Siamo ad una forma di colonialismo energetico. Non basta passare all’eolico come nel caso del parco eolico del Lago Turkana nel nord del Kenya perché se per farlo cedi ampie fette di territori indigeni a investitori senza consultare chi quelle aree le ha vissute e utilizzate in modo sostenibile fai colonialismo e costringi le persone a migrare provocando “conflitti, violenze di genere, insicurezza idrica e alimentare, nonché l’interruzione delle tradizioni culturali e linguistiche a causa dell’afflusso di lavoratori edili” [6].
In questo grande circo dell’ipocrisia e delle contraddizioni, brillano poi per sfrontatezza alcuni colossi commerciali che formano la corona di sponsor al summit egiziano. Primi fra tutti la Coca Cola, un divoratore di acqua e tra i massimi consumatori di plastica, che onestamente appare come una cinica provocazione essere tra i sostenitori di una Conferenza alla ricerca di un equilibrio nel consumo di beni essenziali. Di diverso avviso è ovviamente la multinazionale che si vanta di ritenere il suo sostegno alla COP:”in linea con il suo obiettivo, scientificamente fondato, di ridurre le proprie emissioni del 25% entro il 2030 per arrivare a zero emissioni di carbonio entro il 2050”, peccato però che l’Azienda abbia aumentato il consumo di plastica dell’8,1% raggiungendo i 3,2 milioni di tonnellate prodotte che poi andranno smaltite [8].
Qualche lampo di speranza che COP27 non venga ricordata come una conferenza sterile, da archiviare come l’ennesimo insuccesso, è venuto dal ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry – Presidente della Conferenza – che ha dichiarato di aver raggiunto un accordo per dare il via a negoziati sui finanziamenti da erogare per ristorare i danni provocati da eventi meteorologici. Di cifre non se ne è parlato perché le discussioni dovranno portare ad un risultato entro il 2024. Sembra assurdo, ma di questo passo è più probabile che i danni da risarcire si siano quintuplicati rendendo vano ogni “sforzo”. Qui non si tratta di prudenza nella valutazione del quantum perché la decisione che verrà presa – se accadrà – è attesa da molti Paesi sin dal 2009 con la COP15 di Copenaghen dove si stabilì uno stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno da versare entro il 2020 sia da fonti pubbliche che private.
Le solite buone intenzioni ma i fatti – puntualmente riportati dall’ “Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico” (OCSE) – ci dicono che il tanto atteso impegno sia stato onorato solo parzialmente con una somma di 83,3 miliardi nel 2020. Il tanto decantato “Patto di solidarietà” si è mosso a corrente alternata, e la dimostrazione di ciò è fornita da un report quanto mai dettagliato predisposto da Carbon Brief – prestigioso sito web inglese specializzato nella scienza e nel cambiamento climatico – il quale ci svela i dati sui reali versamenti effettuati dalle nazioni economicamente avanzate e più industrializzate.
Ad esempio, di quei famosi 100 miliardi di dollari gli USA dovrebbero contribuire con 40 miliardi mentre invece ne hanno stanziati solo 7,6. Il Canada ha versato solo il 37% della sua quota e cioè 2 miliardi invece di 5,5. Il Regno Unito ha pagato un po’ di più, circa il 75%, circa 4 dei 5,5 miliardi dovuti. Qualche nota positiva arriva dai Paesi europei che, nel complesso, hanno versato più di quanto le loro responsabilità storiche sul cambiamento climatico avrebbero richiesto [9].
Il minuzioso lavoro di Carbon Brief ci ricorda anche che i fondi per le perdite e i danni provocati dall’inquinamento dovrebbero ammontare almeno a 380 miliardi di dollari annui contro gli esigui 100. Quindi ora è tutto in gioco e non è dato per certo che dalla COP27 si uscirà con un accordo fra tutti i Paesi industrializzati almeno – e sottolineo almeno – per la creazione di un fondo c.d. “loss and damage”. Se ciò non avvenisse, se mancasse ancora una volta la volontà di aiutare le nazioni più vulnerabili, la vergogna che ci ricoprirebbe non sarebbe più eliminabile.
Stefano Ferrarese
[1] Andrea Barolini, Cop27, com’è andata la prima settimana di negoziati, 11 novembre 2022
[2] https://www.lapresse.it/ambiente/2022/11/07/cop27-i-leader-in-egitto-obiettivo-15-al-2100/, 7 novembre 2022
[3] https://public.wmo.int/en/media/press-release/eight-warmest-years-record-witness-upsurge-climate-change-impacts, 6 novembre 2022
[4] Global Carbon Budget
[5] Luisiana Gaita, https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/06/cop27-e-cronaca-del-caos-climatico-ma-a-sharm-el-sheikh-si-discute-di-emissioni-senza-i-grandi-inquinatori-cina-india-e-russia/6863791/, 6 novembre 2022
[6] Nina Lakhani, A just transition depends on energy systems that work for everyone, 13 novembre 2022
[7] Luciano Tirinnanzi, https://www.panorama.it/news/cop27-cina-india-clima-terra, 8 novembre 2022
[8] https://anticapitalista.org/2022/11/09/cop27-in-egitto-la-kermesse-del-greenwashing-e-della-repressione/, 11 novembre 2022 (articolo apparso su www.gaucheanticapitaliste.org il 4 novembre 2022)
[9] Francesco Suman, https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/cop27-finanza-climatica-chi-storicamente-ha-emesso, 9 novembre 2022
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