
È stata un'onda lunga che ha portato in massa i nazionalisti sulle spiagge della Corsica. Infatti venivano da un successo a giugno con tre deputati natii su quattro e prima ancora da una buona affermazione nel 2015 alle “elezioni territoriali”.
E così lo scorso 3 dicembre, al primo turno, la coalizione autonomista e indipendentista “Pe' a Corsica” di Gilles Simeoni e Jean-Guy Talamoni ha vinto a mani basse con oltre il 45% dei consensi, raddoppiando il risultato precedente.
Va sempre detto, come facciamo in tutte le occasioni, che si tratta di vittorie meno significative dal punto di vista della rappresentanza perché l'affluenza alle urne è stata di poco superiore al 52%.
Non ha superato lo sbarramento la lista della sinistra nazionalista di “U rinnovu”, la versione corsa della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e il Partito comunista. Una sinistra diventata marginale. A non prendere voti a sufficienza sono stati anche i nazionalisti radicali della “Corse en fronte” e il Front national.
La destra regionalista di Jean-Martin Mondoloni si è attestata la 15%, seguita dai Repubblicani “Voir plus grand pour elle” di Valérie Bozzi con meno del 13% e poi con poco più dell'11% dei voti il candidato del partito del presidente francese Emmanuel Macron, La République en marche, Jean-Charles Orsucci.
Sono anni che l'indipendentismo corso ha abbandonato la violenza contro i “colonizzatori”: nel giugno del 2014 il Fronte di Liberazione Naziunale Corsu (Flnc) dopo trentotto anni di lotte politiche, assalti, attentati a strutture e decine di morti anche tra le sue stesse fila rinunciava alla lotta armata.
«I nazionalisti dell'isola di oggi non sono come quelli in madrepatria e nemmeno come quelli di Marine Le Pen, che con il suo Fronte Nazionale, qui non riesce ad attrarre elettori. I francesi in questi raduni sono “i colonizzatori”, il movimento armato corso, il Flac, ha abbandonato ufficialmente le armi solo nel 2014, ma i manifestanti vogliono che 40 anni di lotta non siano passati invano. A dirlo, sono soprattutto i giovanissimi, che all'epoca non erano ancora nati. “Siamo corsi, non francesi”» [1].
Il programma dei vincitori è incentrato su una negoziazione con Parigi che passi da una modifica della Costituzione che dia un'autonomia estesa alla Corsica.
I due partiti che compongono la coalizione l'autonomista Femu a Corsica di Gilles Simeoni e l'indipendentista Corsica Libera di Jean-Guy Talamoni hanno sottoscritto un impegno per portare la piena autonomia del poteri legislativo e nell'amministrazione. Chiederanno un impegno per investimenti nelle aree depresse che sono diventate tali per l'azione del potere metropolitano. Nell'ambito dell'autonomia scolastica la prima decisione è quella dell'insegnamento del corso come paritetico al francese. E infine chiedono l'amnistia per i prigionieri politici, mai ritenuti tali da Parigi.
Tutti sono convinti che la Corsica non è la Catalogna perché non si parla di indipendenza e perché si chiede il ruolo delle istituzioni francesi. Ma forse perché le dimensioni delle due realtà, da quella demografica a quella economica, non sono le stesse.
«La vicenda della Corsica è diversa (al netto delle bombe contro le caserme della Gendarmerie e di una certa mixité con i circuiti criminali del traffico della droga), ma anche qui i leader nazionalisti – da Gilles Simeoni al presidente della giunta regionale Jean-Guy Talamoni – hanno capito in fretta, dopo essere andati al potere con le elezioni del 2013, misurandosi quindi con i mille problemi dell'amministrazione, che “qu'est-ce on va faire sans la France?”, dove si va a parare senza la Francia? Vale dire senza i miliardi di trasferimenti finanziari di Bercy, il palazzo sulla Senna sede del Ministero dell'Economia» [2].
Al momento come accaduto in passato, da Macron agli altri leader mantengono un basso profilo senza prendere posizione. Né c'è stata particolare attenzione sul continente e sull'isola non sì è parlato dei problemi della popolazione. Nel frattempo «la povertà è aumentata, il 20% degli abitanti vive sotto la soglia della povertà, il precariato si diffonde, mentre dalla Francia metropolitana arrivano residenti, abbienti, con la speculazione immobiliare che esplode (la popolazione è cresciuta del 17% tra il 2008 e il 2013, per i nazionalisti è la prova di “colonizzazione attraverso il popolamento” che porta la minaccia di una “scomparsa programmata del popolo corso”, che al contrario diminuisce)» [3].
Allargando lo sguardo all'Europa, se è vero che non si avvertono scossoni, quello della Corsica è un altro momento di affermazione delle comunità locali che non finirà qui. Forse un mondo per provare a rispondere alla lontananza delle leadership e ad una condizione economico-sociale che, per larga parte delle popolazione nel Vecchio Continente, resta precaria?.
Pasquale Esposito
[1] “Corsica, gli indipendentisti trionfano alle elezioni. E Parigi sta in silenzio”, https://left.it/2017/12/05/corsica-gli-indipendentisti-trionfano-alle-elezioni-e-parigi-sta-in-silenzio/, 5 dicembre 2017
[2] Giuseppe Corsentino, “Vincono i nazionalisti, ma la Corsica non vuole l'indipendenza ma solo i soldi di Parigi”, https://web.archive.org/web/20201020061959/https://www.huffingtonpost.it/giuseppe-corsentino/vincono-i-nazionalisti-ma-la-corsica-non-vuole-lindipendenza-ma-solo-i-soldi-di-parigi_a_23296147/, 4 dicembre 2017
[3] Anna Maria Merlo, “La Corsica al voto, i nazionalisti spaventano Parigi”, https://www.ilmanifesto.it, 3 dicembre 2017
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