Una giornata particolare. Al Corviale con Aldo Feroce

Ritratto con il Corviale come sfondo foto aldo Feroce
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Arrivo al Corviale con l’autobus 98 dove ho appuntamento con Aldo Feroce autore del libro fotografico “Il palazzo dei destini incrociati”. Sono arrivato in anticipo rispetto al nostro appuntamento e questo mi consente di guardarmi intorno. Stupore. Siamo al capolinea, gli autobus torneranno indietro verso il centro di Roma.

Panoramica del Corviale
Panoramica del Corviale visto dalla campagna romana. Foto Aldo Feroce

Il Corviale, sorge sul crinale di una collina ed è alto nove piani, più due di cantine e un seminterrato, ospita oltre milleduecento appartamenti in cinque corpi, ed è come una sorta di rielaborazione delle antiche mura della città. La vista è qualcosa di difficile da descrivere, questo chilometro di palazzo occupa tutto lo spazio visivo.
Aldo arriva puntuale a piedi, siamo qui finalmente per parlare di un lavoro, di un reportage a km0, infatti mi dice che lui abita solo a quattrocento metri di distanza.
Sono un po’ emozionato, ci prendiamo un caffè e per rompere il ghiaccio gli domando come nasce l’idea di fare un lavoro qui, al Corviale.

Aldo Feroce
Aldo Feroce. Foto Francesco Lorusso

E mi racconta che lui qui ci è nato e che questo terreno dove è sorto il palazzo era lo spazio dove da piccolo ci giocava. Non ci è più tornato per trent’anni anni. Una delle prime cose che mi racconta, camminando lungo i corridoi che sembrano un grande serpentone, è il silenzio che si avverte sempre a qualsiasi ora. E quando me lo fa notare anch’io l’avverto. Venendo da periferie milanesi la dinamica del silenzio è simile, ma non per tutte le ore, nei pomeriggi i quartieri si animano.
Nel mio tempo passato a camminare con Aldo la sensazione è quasi spettrale, desertica di assenza perenne. Si muove con sicurezza assoluta, senza molti timori, saluta tutti quelli che incontriamo e mi porta a vedere molte di quelle parti del palazzo dove sono nati alcuni dei suoi scatti. Il muoversi in assoluta tranquillità non presuppone che qualsiasi persona che incontriamo sia fotografabile, c’è sempre enorme rispetto per le dignità altrui, amicizia e accoglienza.
Ascolta tutti sapendo storie e vissuti a volte complicati e complessi ma non ho mai la sensazione della persona giudicante.
Mi sorprende dicendomi che noi raccontiamo la verità.
Mi stupisce sentirglielo dire, ma forse anche noi fotografi siamo portatori di verità come lo sono tutti, dagli scrittori, ai poeti, ai registi, o agli storici. E questa sua affermazione mi colpisce perché termina con noi non dobbiamo mentire.
Non è facile portare a termine questa missione.
Il pensiero che mi porto dietro da tempo immemore sulla fotografia è che la nostra verità non è assoluta, e che forse è più vero il cercare di non esprimere giudizi. Ma forse sono dettagli, forse solo un uso differente di alcuni termini per raccontare lo stesso pensiero.
Camminiamo in questi corridoi e mi mostra dove alcune immagini sono nate, dove hanno preso forma, immagino e mi racconta la costruzione e il pensiero logico che li ha generati.
Mi mostra il punto esatto dove è nata una fotografia, raccontandomi dell’orario perfetta per catturare la luce giusta, oppure mi porta all’anfiteatro dove è nata una delle foto iconiche del suo enorme lavoro. L’arrivo di ragazzini che giocano consacra questo scatto da puramente architettonico a uno scatto narrativo ed emozionale.

Giochi di bambini nella zona dell anfiteatro
Giochi di bambini nella zona dell’anfiteatro. Foto Aldo Feroce

 

Sentirlo dalla sua voce mi fa riflettere su quanto il suo lavoro sia stato ampio e profondo. Conoscevo Aldo per le sue foto, ora lo conosco anche attraverso la sua voce.
Tornare in questo luogo dopo anni, creare relazioni e fiducia, costruire le reti con persone di tutte le estrazioni sociali è la parte complessa, quella che all’inizio ti appare insormontabile, mi dice fra la vista degli ascensori. Ascensori che spesso non funzionano. Mi parla dell’occupazione abusiva del quarto piano e, che ci sono voluti oltre quattro anni per modificare i pregiudizi che aveva nel momento che ha messo piede qui.
Si ferma a parlare con molta gente, di politica con alcuni, di calcio con altri o della questione della ristrutturazione del quartiere che è viva e potente a guardare la presenza delle enormi gru in movimento. Si ferma molto ad osservarle, col timore che qualcosa possa succedere.
Da lontano si vede che le stanno smontando. Gli operai in effetti lavorano a un centinaio di metri da terra, restiamo ammirati dalla maestria per come si muovono. Ma il timore resta.
Camminando con lui non mi sento mai fuori posto, sono con Aldo, sono persona di sua fiducia.
Questo termine lo si usa spesso, ma qui la fiducia te la devi veramente sudare, qui dove le istituzioni hanno mollato a lungo le redini. Qui al Corviale non arrivi e ti metti a fotografare. Qui quel lavoro te lo devi meritare ogni giorno.
Poi dipende cosa vuoi raccontare, io ho fatto un po’ di scatti, ma quello che porti a casa è solo l’apparenza, quello che c’è sotto lo devi cercare nelle pieghe, nei rapporti, nelle storie e nei dolori come nelle gioie di chi vive qui. Senza questo il lavoro rimane un esercizio stilistico.
Questo lavoro è fatto dalle relazioni che Aldo si è costruito, dalle sue connessioni, e dalla fiducia e onestà che è riuscito a trasmettere.
L’onestà serve come una carta di identità, Aldo diventa portatore di storie personali e a volte drammatiche, perché le persone sanno che con lui hanno spazio sono accolte, laddove nessuno li ascolta.
Sulla passerella blu con cui si esce dal palazzo mi racconta la storia dalla nascita, quando la metà delle case furono consegnate agli assegnatari aventi diritto, e per ritardi burocratici le altre rimasero vuote attirando moltitudini di persone che occuparono abusivamente.
E mi mostra le foto di un accampamento di gente senza casa, sorto
negli anni Ottanta.

Abbandoniamo il Corviale e andiamo al Corvialino una struttura meno imponente e più bassa ma con un corpo simile.
Il primo spazio che incontriamo e un anfiteatro dove delle persone prendono il sole, sembrano minuscole con il chilometro di cemento alle loro spalle.
Aldo le saluta per nome e mi dice che sono delle persone dell’associazione Piacca, uno spazio di restauro.
Entriamo e siamo nei loro discorsi come se ci fossimo dall’inizio. Sembra non essere importante cosa si dice, è importante essere li.
Questo è il cuore pulsante del quartiere dove oltre al laboratorio di restauro, c’è un altro spazio fondamentale dove si fa fotografia e musica.
Girato l’angolo mi ritrovo in un posto quasi magico, si fa arte.
Qui trovo pittori e scultori all’opera. Sono ambienti e spazi che hanno dovuto prenderli e liberarli.
Questi spazi sono vitali, sono colorati, gioiosi, danno aria e permettono di uscire anche mentalmente, sono una sorta di cuore che batte.
Ci fermiamo qualche minuto al sole a chiacchierare.

Ship breaking Yard, Darukhana, Mumbai
Ship breaking Yard, Darukhana, Mumbai. Foto Aldo Feroce

Dopo aver smesso di lavorare e dopo vent’anni di assistente di volo sono andato in India con il tempo per vedere meglio quei luoghi. L’India e soprattutto l’Argentina sono paesi importanti per me. Sono luoghi in cui mi sento a casa, sentirmi a casa che è una sensazione che mi dà la gioia di poter descriverli. Per farlo devo esser parte del luogo e non una persona di passaggio, un turista. Tornai a Bombay e, fingendomi turista, sono stato una settimana in cantieri che anni prima mi avevano impressionato, dove demolivano le navi per fotografare quello che accadeva.
Lo straordinario lavoro del montaggio delle gru catalizza la sua attenzione interrompendo per un attimo il suo racconto. Quando sono tornato ho approcciato una scuola di fotografia. Ero un autodidatta, non avevo studiato, ma ci sono tante cose che lo necessitano. Alle Officine fotografiche di Roma c’era il corso di photo editor tenuto da Tiziana Faraoni, Direttrice della fotografia de L’Espresso, che mi diceva guardando le fotografie che non doveva spiegarmi niente, “certe cose le sai o non le sai”. Un approccio un po’ come una terapeuta. Guardando le fotografie mi invitava a riflettere sulla composizione, cioè cosa dovessi farci di quel terzo di fotografia piuttosto che della parte centrale della stessa. Insomma una figura importante. Come quando uscendo da una mostra organizzata a fine corso mi disse che le fotografie erano buone ma, “non sai proprio editare”. L’editing, la post produzione sono importanti.

Una preoccupazione che ho anch’io, gli ho detto.

Roma Corviale
Roma, Corviale. Foto Francesco Lorusso 2022

Quando presento un lavoro ad alto livello è importante l’uniformità, senza stravolgere le fotografie. Ad esempio devono avere la stessa luminosità, non vedi un’immagine una spenta, una morta e una vivissima. Gli interventi che si fanno in post produzione non sono invasivi, nel senso che, per esempio, usando Photoshop si lavora su tre livelli.

Quanto si svolge intorno alle gru torna ad essere l’oggetto della nostra attenzione o meglio di alcune persone che le osservano affacciati ai balconi. Alcuni di loro sembrano più interessati di altri, affacciati al quarto piano che è quello destinato ai lavori di abbattimento delle case abusive.

Proseguendo passiamo a trovare Don Gabriele, un missionario che dal 1993 è presente all’ interno del palazzo al piano dei servizi, dove svolge il suo impegno sociale che è il concetto trainante della loro confraternita. Siamo quasi al tramonto cinque o sei signori giocano a carte prima del rosario, e si ritrova un pezzo di quell’intimità che normalmente è presente in questi luoghi.
Per la verità qualcosa ho percepito in giro con Aldo, ma erano frammenti chiacchere in amicizia, ma sempre e spesso con una sensazione di fretta.
Ora invece si rivede la voglia di stare assieme, di prendersi in giro, di mettere in mezzo qualcuno meno bravo con le carte, insomma un pezzo importante di socialità. Anche qui Aldo è di casa.

Officina di restauro al Corvialino
Officina di restauro al Corvialino. Foto Aldo Feroce

Siamo alla fine del giro chiudiamo visitando il museo del quarto piano.
Approfittando di una visita guidata entriamo in quelle che erano delle case costruite abusivamente, e ci sono le foto degli interni.
Queste case sono state abbattute per essere ristrutturate e date finalmente a proprietari aventi dei diritti.
Al Corviale la luce impressiona, il palazzo è un’ombra scura nella penombra di un tramonto sulle campagne romane.
Aldo è stato un’ospite incantevole, non ho voluto parlare molto del fotografo, quello può essere noto a tutti osservando i suoi lavori, ma mi interessava molto l’uomo e come si relaziona. Qui si impara molto su come si rispettano gli uomini e le umanità. Perché l’unica verità è che gli uomini, con tutti i loro limiti e difetti vengono sempre prima.

Come sono arrivato, me ne vado, il 98 in poco tempo mi riporta nel caos di Roma e solo quando arrivo in hotel mi rendo conto che non gli ho chiesto perché il suo lavoro si chiama “Il palazzo dei destini incrociati”.
Lo immagino, ma mi sembra una buona scusa per tornare e per parlare di periferie, cercando di sfatare quei preconcetti estranei ad Aldo e a me, per cui le periferie sono solo brutte e cattive. Le periferie sono semplicemente abbandonate.

Francesco Lorusso

Per maggiori informazioni
www.aldoferoce.it

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