
Lo scorso 7 settembre si è tenuto a Teheran il vertice Turchia, Russia e Iran il cui tema principale è stato il futuro della Siria e in questo caso in particolare della provincia siriana di Idlib, l'ultima roccaforte dei ribelli nel nord del Paese.
La “pacificazione” della Siria è stata già affrontata nei due vertici precedenti, ma evidentemente senza il consenso degli altri attori in campo, Stati Uniti e Israele in primis, non si va da nessuna parte a meno di una vittoria militare sul campo come stanno provando ad ottenere l'esercito siriano con l'appoggio fondamentale di Russia e Iran. Ma il risultato di questa guerra sono le centinaia di migliaia di morti e i milioni di profughi, interni ed esterni, e il peggio potrebbe ancora arrivare se verrà sferrato l'ultimo attacco ai ribelli del nord.
Il vertice trilaterale è anche uno dei modi con i quali la leadership iraniana prova a difendersi dalle conseguenze del rigetto, da parte di Trump, dell'Accordo sul nucleare firmato il 14 luglio 2015 [1] e soprattutto dall'inasprimento delle sanzioni già in atto e che avrà il suo punto di massima chiusura il prossimo novembre.

Le sanzioni sono state introdotte – con un apparente cambio di strategia da parte americana – con il pretesto che le condizioni dell'Accordo fossero troppo deboli e poco favorevoli a Washington, ma di fatto per Trump non assicuravano la marcia indietro sul nucleare e non aiutavano a placare il dinamismo in politica estera di Teheran. Il presidente con il suo solito spettacolare modo di procedere e senza che ci fossero violazioni dell'Accordo ha reso impossibile l'acquisto di aerei e parti di aerei statunitensi ed europei, e ha revocato i permessi dati per l'esportazione di tappeti e cibo iraniano e ha vietato il commercio di metalli e di macchine prodotte in Iran.
Tutto questo rischia di far regredire l'economia iraniana che già faticosamente si stava riprendendo da un lungo periodo di sanzioni. L'inflazione galoppa, il rial (la valuta iraniana) ha perso più di due terzi del proprio valore contro il dollaro dall'inizio anno, la disoccupazione in particolare quella giovanile è aumentata. Inoltre il paese non riesce a trovare le risorse finanziare per gli investimenti anche perché dopo l'aggiornamento del sistema bancario iraniano si ritrovano «banche non efficienti e istituzioni finanziarie illegali. Queste banche inefficienti sono diventate il principale fardello per l'economia iraniana. Aggiustare il sistema bancario richiede almeno 200 miliardi di dollari, quasi la metà del Pil, secondo Parviz Aghili, l'amministratore delegato di Middle East Bank, una banca privata in Iran» [2].
La crisi in corso ha finito con provocare anche il ritorno delle manifestazioni nelle strade di diverse città iraniane.

Ma torniamo al presunto cambio di strategia nei confronti dell'Iran. Non c'è nessun cambio di strategia: è la stessa, che con minore o maggiore intensità, gli USA attua dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e così come spiega il giornalista, consigliere scientifico e coordinatore America di Limes, Dario Fabbri sono protesi «a scongiurare che una nazione domini il Medio Oriente (o qualsiasi altra regione del pianeta) da decenni la superpotenza riconosce nella Repubblica islamica il soggetto potenzialmente in grado di realizzare tale inammissibile scenario» [3]. Quando è sembrato che l'Iran avesse allargato troppo la sua sfera di influenza tra l'Iraq sciita, la Siria e il Libano, nel 2012 con il pretesto dell'atomica iniziarono le sanzioni, insieme agli alleati europei, per mettere in ginocchio Teheran. Poi è arrivato l'Accordo sul nucleare, ma quando secondo Washington con l'appoggio russo in Siria sono riprese le quotazioni iraniane nell'area, Trump ha stracciato l'Accordo senza consultare gli alleati, anche in barba «alle negative conseguenze economiche che la loro condotta avrebbe avuto sui colossi dell'industria nazionale. Tra questi, Boeing e General Electric, intimati di rescindere lucrosi contratti con le autorità iraniane soltanto pochi mesi prima» [4].
La volontà di ridimensionare, e non di poco, l'Iran ha spinto il presidente Rohani a minacciare la chiusura dello stretto di Hormuz.
Concludendo Fabbri sostiene che «gli americani sono destinati a combattere gli iraniani per molti anni. […] A determinare l'aggressività statunitense è l'inconciliabilità delle reciproche posizioni. […]. Teheran ha necessità di controllare la Mesopotamia per impedire ad una potenza straniera di forzarla all'interno dei Monti Zagros [la catena montuosa di 1500 km dall'Iran occidentale fino al Golfo Persico, ndr], quindi ha bisogno di puntare al Mediterraneo per trascendere il contesto asiatico. […]. Così Washington non può tollerare che in Medio Oriente una singola sfera di influenza si estenda dall'altopiano iranico al Libano» [5].

Fouad Izadi, professore al Dipartimento di Studi americani Politica americana dell'Università di Teheran, nello spiegare che la posizione di fondo della politica USA sia quella di rovesciare la Repubblica islamica, presenta come le élite iraniane intendono rispondere all'appesantirsi delle posizioni di Trump. Le vie da seguire si possono indicare in «potenziare il più possibile i settori economici, culturali e militari; perseguire seriamente la creazione di un'unità nazionale di intenti, a livello di popolo e di élite nel rapportarsi alla natura anti-iraniana dell'America; ridurre di conseguenza al minimo le manifestazioni esterne di divisione tra organi di potere; chiarire l'importanza dell'operato dei pasradan nella protezione degli interessi e della sicurezza nazionali; applicare princìpi dell'economia di resistenza e ridurre i bisogni del paese rispetto al circuito del dollaro; guardarsi dall'utilizzo, con il pretesto della trasparenza, di un qualunque tipo di hardware o software in ambito bancario che si presti ad essere violato; protestare ufficialmente per l'usci ta dell'America dal Jcpoa […]; incrementare l'influenza regionale dell'Iran e le sue capacità militari; divulgare le violazioni dei diritti umani e i casi di appoggio al terrorismo da parte dell'America; usare tutti gli strumenti diplomatici disponibili per influenzare l'opinione pubblica dei paesi del Gruppo 1+5 […], in particolar modo quella americana, già ampiamente divisa su Trump» [5]
Pasquale Esposito
[1] Piano d'azione congiunto globale (PACG) on in inglese Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) tra l'Iran, il P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania), e l'Unione europea.
[2] Mahya Karbalaii, “Iran, il gigante è in bolletta”, http://espresso.repubblica.it/internazionale/2018/08/02/news/iran-il-gigante-e-in-bolletta-1.325610, 13 agosto 2018
[3] Dario Fabbri, “L'America all'assalto dell'Iran”, Limes, pag. 77
[4] Dario Fabbri, ibidem
[5] Fuad Izadi, “Stavolta l'Iran ha capito che dell'America non ci si può fidare mai“, Limes pag 37-38
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie