Dieta e Covid-19: il ruolo degli acidi grassi polinsaturi

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Uno recente studio condotto dall'Università La Salle di Città del Messico e pubblicato sulla rivista Molecules ha evidenziato come l'alimentazione possa influenzare il contagio e l'esito di infezione da SARS-CoV-2. In particolare, si è visto che consumare alimenti, come il pesce e i semi oleosi (noci, nocciole, pistacchi, semi di lino, ecc.), contenenti mediamente un elevato valore di acidi grassi polinsaturi (PUFA) può aiutare ad impedire al virus di aderire alle cellule dell'ospite e quindi di replicarsi.

In questo studio è emerso come, in Paesi come Giappone, Corea del Sud e quelli della regione Pacifica occidentale con un più alto consumo di acidi grassi polinsaturi ω-3 (in media 634 mg al giorno) il numero vittime da è pari all'1,01% mentre quelli delle regioni del Mediterraneo Orientale in cui c'è un minore consumo di acidi grassi provenienti da pesce (in media 45 mg/giorno) il numero di fatalità da Covid-19 era del 3,52% [1][2][3][4].

Che gli acidi grassi polinsaturi fossero considerati fondamentali nell'alimentazione dell'uomo è un dato ormai accertato. In particolare, il loro effetto antinfiammatorio, antiaggregante e antiaterogenico, esercitato dagli acidi grassi ω-3, è infatti stato dimostrato in numerosissimi studi.
Si tratta di acidi grassi con insaturazioni (doppi legami) che il nostro corpo non è in grado di sintetizzare e che per questo motivo devono essere introdotti necessariamente con l'alimentazione. Sono distinti in due categorie entrambe importanti: gli acidi grassi della serie ω-6 cui appartengono l'acido linoleico (LA) e l'acido arachidonico (AA) e quelli della serie ω-3 costituiti principalmente dall'acido α-linolenico (ALA), dall'acido eicosapentanoico (EPA) e dall'acido docosaesanoico (DHA) [5][6]. La loro presenza è fondamentale per un buon funzionamento del metabolismo ma è importante che siano assunti nel loro giusto rapporto [7][8].

L'alimentazione, spesso squilibrata, del mondo occidentale di oggi è infatti proinfiammatoria: troppo sbilanciata verso una maggiore assunzione di acidi grassi ω-6 rispetto a quelli della serie ω-3. Si stima che il rapporto sia superiore a 10 a 1 quando dovrebbe essere intorno a 3 a 1.
Quindi, nella di oggi, è importante che tra i PUFA ci sia un più alto contenuto di acidi grassi ω-3 (EPA e DHA) rispetto a quelli della serie ω-6 (come l'AA). Questo perché l'acido arachidonico è un acido grasso ω-6 che porta verso una maggiore infiammazione.

Quando un organismo viene infettato dal virus, le cellule reagiscono sviluppando un numero svariato di mediatori molecolari intracellulari che hanno lo scopo di distruggere il virus e che portano alla produzione di citochine infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale (TNFα), l'interleuchina 6 (IL-6) e l'interleuchina 1 beta (IL-1β)[9]. Queste molecole, a loro volta, attivano la fosfolipasi A2 (PLA2) che stacca l'acido arachidonico dai fosfolipidi di membrana e attraverso altri enzimi (ciclossigenasi e lipossigenasi) trasforma l'acido grasso ω-6 in altre molecole infiammatorie come le prostaglandine, prostacicline, leucotrieni e trombossani [10]. Tutto questo porta a quella condizione patologica infiammatoria che viene definita “tempesta citochinica” che è responsabile, a livello respiratorio, della polmonite interstiziale, ma anche dell'infiammazione osservata in altri organi da parte del coronavirus [11].

Quando invece, EPA e DHA, sono in proporzione superiori all'AA si ha, contestualmente, una diminuzione delle citochine proinfiammatorie e la sintesi di altre molecole che, al contrario, spengono l'infiammazione (resolvine, maresine e protectine) inibendo la migrazione transendoteliale (dai vasi sanguigni ai tessuti) dei neutrofili e delle citochine IL-1β e TNF-α responsabili dell'infiammazione [12][13].

L'importanza dei acidi grassi polinsaturi, nella loro giusta quantità e proporzione, è strettamente legata alle funzioni che esplicano. Il loro giusto bilanciamento influenza, infatti, non solo un buon equilibrio tra proinfiammatori e antinfiammatori in tutti i distretti del corpo, ma numerosi altri aspetti del nostro stato di salute: il buon profilo lipidico ematico di colesterolo e trigliceridi, un'ottimale regolazione della pressione arteriosa, il buon trofismo del cervello, del sistema nervoso e del suo sviluppo, una migliore salute della vista, una buona conservazione dei vasi sanguigni, attraverso un'azione protettiva sull'epitelio e sull'elasticità dei capillari. Un adeguato introito di queste componenti migliora, inoltre, la fluidità del sangue attraverso un'attività antipiastrinica che impedisce la comparsa di ictus e infarti. Quasi tutte attività, che se bene funzionanti, contribuiscono ad un miglioramento della prognosi di chi viene infettato dal Covid-19.

Ma la partita contro SARS-CoV-2 la si gioca, oggi, in maniera preventiva ancora prima che questa possa infettare le cellule del corpo. Le ricerche scientifiche più recenti sono infatti principalmente orientate, a monte, affinché si impedisca la penetrazione del virus nelle cellule. L'attenzione, sul piano molecolare, è quasi tutta focalizzata sul campo dove si incontrano la proteina virale di adesione (la proteina Spike) e la porta di ingresso della cellula (recettore ACE2) [14][15]. I vaccini e le terapie farmacologiche contro questo (ed altri) coronavirus vanno infatti nella direzione del blocco della proteina di adesione neutralizzando così il virus.

Prima di vedere come questi PUFA riescano a “neutralizzare” il virus facciamo una piccola descrizione della struttura di questo agente infettivo per meglio comprendere il meccanismo di infezione.

Il SARS-CoV-2 è un virus (coronavirus) costituito da un involucro di struttura sferica, di circa 150 nm di diametro, contenente al suo interno un genoma a RNA composto da circa 30.000 nucleotidi che codificano per quattro proteine strutturali: le proteine di membrana M, la proteina nucleocapsidica N, quella dell'involucro E e le proteine spike S [16]. Il prefisso “corona” a questo virus lo si deve proprio alla presenza di queste ultime proteine S che sporgono come tanti “chiodi” (spike) su tutta la superficie sferica del virus conferendo appunto l'aspetto di una corona tipico di tutti i coronavirus.

La proteina Spike S è costituita da tre subunità, aventi elevata flessibilità morfologica, che costituiscono il dominio di legame al recettore dell'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) [14][15][17]. Questo dominio presenta due diverse conformazioni: una “aperta” indispensabile per il legame al suo recettore ACE2 e una “chiusa” inaccessibile al recettore [9][11]. Entrambe le conformazioni presentano delle “tasche” a forma di tubo ripiegato (chiamate “sacche leganti gli acidi grassi”)[18] dove è possibile che si infilino le code di carbonio delle estremità dei PUFA ω-3 e ω-6 sia in conformazione aperta che chiusa [19].
È proprio l'ingresso delle estremità di questi acidi grassi polinsaturi all'interno delle tasche tubolari delle proteine Spike ad aiutare ad impedire al virus di aderire al recettore delle cellule e, quindi, a non poter infettare le cellule del corpo. Quest'azione si esplica maggiormente quando i PUFA si “infilano” nelle tasche della proteina Spike nella conformazione “chiusa” impedendo così alla proteina stessa di assume la struttura “aperta” necessaria per aderire al recettore ACE2.
Tutto questo non avverrebbe con gli acidi grassi saturi poiché troppo “rigidi” e quindi incapaci di potersi infilare all'interno delle tasche. Mentre avverrebbe solo in parte con gli acidi grassi ω-9 che hanno una maggiore rigidità rispetto agli ω-3 e ω-6 verso l'estremità metilica dell'acido grasso.
La presenza di più doppi legami e la lunghezza stessa della catena idrocarburica dei PUFA consente alla molecola stessa di assumere una conformazione tridimensionale a spirale simile ad una molla riducendo così le difficoltà, dovute agli ingombri sterici presenti all'interno della tasca tubolare ricurva, di infilarsi all'interno delle subunità recettoriali delle proteine Spike [18].
Programmi di simulazione matematica al computer (definite “in silico”), di dinamica molecolare e di docking (ormeggio) molecolare, hanno consentito di comprendere attraverso immagini tridimensionali come avvengono i legami tra i diversi acidi grassi polinsaturi e le tasche delle tre subunità della proteina Spike e di confermare quanto sopra esposto [20].

Secondo questi studi, i PUFA ω-3 a catena lunga (inclusi EPA e DHA) contenuti principalmente nel pesce particolarmente grasso (salmone, tonno, pesce azzurro, ecc.) avrebbero un potenziale migliore per stabilizzare la conformazione chiusa rispetto ai PUFA ω-6 contenuti negli alimenti di origine vegetale come noci, grano, soia, olio di lino e di girasole ma anche in quelli di origine animale come carne e tuorlo d'uovo.
Naturalmente quanto emerso da questo studio richiede un maggiore approfondimento e soprattutto la necessità di compiere ulteriori studi per comprendere quanto questi PUFA possono essere utili in un ipotetico utilizzo sinergico con altre terapie farmacologiche contro questo o altri coronavirus (o altre varianti di SARS-CoV-2) e, anche, nell'ipotesi di possibili (e non improbabili) mutazioni della proteina Spike.

Nell'attesa di nuove evidenze scientifiche è quanto mai opportuno raccogliere i risultati ottenuti dell'Universidad La Salle di Città del Messico per indirizzarli verso una auspicabile raccomandazione a un maggiore consumo di pesce.

Gaetano Paparesta

1. Epidemiological data of COVID-19 and estimated ω-3 PUFA intake: comparison among regions worldwide (WHO)
2. Micha, R.; Khatibzadeh, S.; Shi, P.; Fahimi, S.; Lim, S.; Andrews, K.G.; Engell, R.E.; Powles, J.; Ezzati, M.; Mozaffarian, D. Global, regional, and national consumption levels of dietary fats and oils in 1990 and 2010: A systematic analysis including 266 country-specific nutrition surveys. BMJ Br. Med. J. 2014, 348. [CrossRef]
3. Weill, P.; Plissonneau, C.; Legrand, P.; Rioux, V.; Thibault, R. May omega-3 fatty acid dietary supplementation help reduce severe complications in Covid-19 patients? Biochimie 2020, 179, 275–280. [CrossRef]
4. 20. Weill, P.; Plissonneau, C.; Legrand, P.; Rioux, V.; Thibault, R. May omega-3 fatty acid dietary supplementation help reduce severe complications in Covid-19 patients? Biochimie 2020, 179, 275–280. [CrossRef]
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