Covid-19: scienziati contro e sviluppi nelle sperimentazioni

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Nella riapertura si-no-forse, il mondo scientifico è ancora preoccupato sulle conseguenze.
In questo periodo di apparente tranquillità dovuta a numeri della pandemia in miglioramento, spiccano le contraddizioni che giungono dal mondo scientifico.

Se prima in qualche modo si era indotti a comprendere le contraddittorie interpretazioni, essendo sconosciuto completamente l’agente infettante, adesso sembra di finire in mezzo a scienziati disposti a contraddirsi e che diffondono teorie per lo più atte a contrastare quelle formulate dal proprio collega più in vista.
E così oltre ad osservare la corsa spasmodica tra ricercatori e aziende che si manifesta ancora più violentemente sul rettilineo d’arrivo, ve ne è un’altra che mira di più a guadagnare microfoni e telecamere che generalmente vanno di pari passo a fama in accrescimento e profitti che appaiono sul punto di esplodere in relazione alle attese della comunità mondiale.
Sicuramente non è un bel vedere, e non sembra neanche utile ascoltare per l’uomo della strada che, non avendo le competenze, risulterà impaurito, confuso, preoccupato ma soprattutto sfiduciato da interventi che dovrebbero comportare maggior rigore quando non resta colpito da fake news, sempre ben confezionate, che mettono davvero in pericolo la credibilità generale.

Fatta questa premessa, passiamo alle informazioni di cui disponiamo circa le sperimentazioni, anche se non è facile districarsi quando è una moltitudine a lavorarci e un’altrettanta moltitudine a tenere accesi i riflettori per arrivare prima a dare la notizia redentrice.

Per il Remdesivir, un farmaco antivirale che Gilead Sciences aveva sviluppato per contrastare la malattia di Ebola, sono comparsi due lavori che danno pareri contrastanti sulla sua utilità terapeutica. Il primo di provenienza cinese, mentre il secondo è americano.

Il prof. Anthony Fauci, noto consulente di Trump e capo dell’ Istituto Nazionale di Malattie infettive USA, aduso a contrastare le frequenti affermazioni del suo presidente più improntate al clamore che alla realtà, parla di efficace riduzione della malattia Covid-19 da 15 a 11 giorni. È chiaramente anche ben supportato dalla stessa casa produttrice che parla di casi risolti positivamente quando la somministrazione inizia contemporaneamente alle prime replicazioni virali nelle cellule infettate.
Il lavoro cinese [1] nella realtà comunque ha dati poco significativi, rispetto a quello di matrice USA perché il farmaco è stato somministrato, per via endovenosa, a soli 237 pazienti poiché non è stato possibile testare la terapia a causa della mancanza di pazienti per pandemia ultimata nella provincia di Hubei.

Nella sperimentazione americana [2], che sfrutta il coordinamento del Nationale Institute of Health, sono stati coinvolti circa 180 ospedali con 1.063 pazienti, motivo per il quale il risultato ha una significatività diversa. I risultati di questo lavoro hanno permesso alla Food and Drug Administration (FDA), l’ente governativo che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, di approvare ufficialmente Remdesivir quale primo farmaco anti Covid-19.

La seconda importante notizia per lo sviluppo di farmaci, diagnostica e terapia, arriva da uno studio cinese [3] in cui viene osservata la presenza di anticorpi per tutti i contagiati almeno 19 giorni dopo l’inizio dell’infezione. In questo lavoro viene evidenziato come 285 pazienti avevano sviluppato, dopo il contagio, Immunoglobuline di tipo G (IgG) [4], seppur presenti con diverso titolo anticorpale nei vari pazienti. Questa diversa condizione di concentrazione di anticorpi presente, non davano nei pazienti una manifestazione clinica che apparisse diversa tra loro. Dal lavoro si conferma anche che la produzione di Immunoglobulina di tipo M (IgM) inizia subito dopo il contagio mentre le IgG intervengono quando la produzione delle precedenti sta terminando.
Questa è da considerarsi notizia preziosa in ottica vaccino, almeno per coloro, tra gli uomini di scienza, che temevano che non potesse esserci una immunità duratura dopo l’esposizione all’agente infettante, che tradotto vuol dire impossibilità ad ottenere un vaccino che salvasse dalle probabili recrudescenze pandemiche per il futuro oltre che per quelle ancora attive.

Altro importante significato circa la presenza di IgG ed IgM nei pazienti contagiati è relativo alla possibilità di dare maggior consistenza alla mappatura del contagio.
Dovrebbe presto iniziare la convocazione di un campione significativo Istat di 150.000 pazienti da analizzare per presenza di IgG ed IgM anti Sars Cov -2 al termine della quale dovremmo avere indicazioni utilissime su dove alberghino le positività nel nostro paese. Queste informazioni saranno disponibili non appena la Croce Rossa inizierà a convocare i prescelti per i prelievi sanguigni e le conseguenti analisi necessarie.

Sul tema della mappatura, occorre dire, che ai fini meramente statistici, le indagini sierologiche sono in grado di dare una fotografia di dove alberghi il contagio, cioè se il paziente sierologicamente positivo è entrato in precedenza in contatto con il virus. Questo però non vuol dire che, avendo gli anticorpi anti Sars CoV-2, si sia in presenza di paziente con il virus. Per avere questa informazione occorre eseguire il test molecolare sul tampone, l’unico sistema al momento per avere conferma accurata.

A questo proposito occorre sfatare un’altra credenza che trova diffusione da chi volutamente diffonde malcontento e fake news: non è assolutamente vero che vi sono meno morti se si effettuano più tamponi. Del resto è sciocco pensare che una metodica diagnostica abbia finalità terapeutiche. È vero semmai che, sottoponendo ad esame molecolare il personale sanitario eventualmente asintomatico, si evita di diffondere attraverso loro, che potrebbero essere positivi nascosti, il virus ai loro pazienti.

Cosa ancora diversa è per la popolazione che non si sottopone ad esame molecolare che comunque avesse atteggiamenti rigorosi, come se fosse potenzialmente contagiosa, (uso di dispositivi di protezione individuale, distanza sempre rispettata, igiene e lavaggio mani etc.), anche in questo caso, sia avendo tampone positivo in paziente asintomatico, che negativo, non cambierebbe nulla, ipoteticamente, poiché le misure sarebbero esattamente le stesse.

Cosa diversa sarebbe se si volesse svelare la positività in tutti gli asintomatici o sintomatici lievi, verso i quali, oltre che la conferma del tampone, sarebbe necessario attivare i percorsi terapeutici che la sperimentazione sta indicando. Si è costretti a questo quadro poiché l’ipotesi di eseguire gli esami con metodo di riferimento ad ogni necessità, i tamponi per test molecolare, o i test sierologici, purtroppo non è possibile su tutti come più volte asserito.

Le considerazioni sulla situazione anticorpale inducono anche ad ipotizzare che possa esistere una immunità successiva al contagio che potrebbe durare almeno dai 12 ai 24 mesi come suggerisce da Atlanta il prof Guido Silvestri.

Tutto questo accade nel mentre si tenta di attivare una fase due che consenta un inizio di ripresa delle attività lavorative senza però che si indeboliscano le misure anticontagio. Su questo il monito del Dott. Paolo Ascierto e di altri suoi colleghi è molto chiaro. Non si devono allargare le maglie delle precauzioni in quanto il virus e sempre molto presente e pronto a riprendere con vigore i contagi rendendo vani i mesi di sacrifici.
Emidio Maria Di Loreto

[1] https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)31022-9/fulltext
[2] https://www.niaid.nih.gov/news-events/nih-clinical-trial-shows-remdesivir-accelerates-recovery-advanced-covid-19?utm_source=AusSMC+mailing+list&utm_campaign=205e242ba0-EMAIL_CAMPAIGN_2020_04_30_01_07&utm_medium=email&utm_term=0_90d9431cd5-205e242ba0-126968493
[3] https://www.nature.com/articles/s41591-020-0897-1
[4] Le Immunoglobuline, divise in classi: IgG, IgA, IgE, IgM ed IgD, sono proteine di tipo globulare a forma di Y comunemente chiamate anticorpi. Sono gli elementi che l’organismo produce per difendersi dai microrganismi detti antigeni. Le IgA sono anticorpi presenti nelle mucose, saliva, lacrime e costituiscono la prima difesa contro tentativi di infezione da antigeni esterni. Le IgD hanno la funzione di attivare i Linfociti B immaturi verso la loro maturazione. I linfociti B sono le cellule responsabili nel sistema immunitario dell’immunità acquisita , quella detta umorale, diversa da quella cellulomediata conferita dai Linfociti T. Le IgE hanno responsabilità nelle reazioni allegiche e nelle infezioni parassitarie ed hanno un ruolo nella liberazione di Istamina durante gli stadi infiammatori. Le IgG hanno la responsabilità maggiore nelle risposte immunitarie secondarie, quando cioè l’antigene si incontra per una seconda volta nell’organismo. Difendono da tossine, virus e consentono la fagocitosi batterica -avvolgere, ingoiare, digerire nel citoplasma di una cellula-. Le IgM sono la risposta primaria dell’organismo ad un antigene. Non hanno una grande affinità anticorpale e si tratta quindi di un aiuto iniziale e generico per la difesa dell’organismo.

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