Crisi della «democrazia reale» ed orizzontalità dei processi decisionali

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Il passaggio politico-istituzionale nazionale che vede protagonisti e comprimari – siano essi organizzazioni politiche, gonfiate dal vento dell’estraneità ed ostilità popolare nei riguardi del “sistema dei partiti”, o alte cariche dello Stato – degenerare quotidianamente in arbitrari comportamenti e capziose ermeneutiche costituzionali, sembra soffocare o non considerare la variabile culturale del conflitto sociale e, conseguentemente, trascurare l’impegno ad attrezzarsi con adeguati strumenti analitici per interpretare la fase e condizionarne gli esisti.

L’effetto del nuovo indirizzo politico non si è fatto attendere; la “caccia agli immigrati” si è immediatamente tradotta nella “licenza di uccidere” con il gravissimo fatto di sangue avvenuto nelle campagne di San Calogero in Calabria, costato la vita ad un giovane migrante del Mali ed il ferimento di due suoi connazionali, vittime di un agguato mentre nottetempo si accingevano, secondo le prime risultanze investigative, a recuperare qualche lamiera arrugginita da una vecchia fornace da anni abbandonata. L’efferato delitto è avvenuto mentre negli ultimi anni il saldo dei nuovi immigrati è radicalmente declinato; da 534 mila nel 2013 gli arrivi crollano a 20.875 nel 2016; gli stranieri presenti sul territorio italiano s’attestano a 5 milioni e 47 mila (Fonte: UNHCR).

C’è chi, in buona fede, mostra addirittura insofferenza rispetto a punti di vista e prospettive che attingono – motivatamente – alla critica dell’economia politica, al materialismo storico-dialettico, alle esperienze di sovvertimento sociale che la storia ha registrato. Introversioni spiegate dal seguente postulato: si ritiene che oltre il recinto retorico e comportamentale democraticista non sia possibile o legittimo andare; si pensa che l’ostentazione o falsa affermazione di principî democratici e di attaccamento alla “democrazia” sia un messaggio rassicurante da inviare comunque all’opinione pubblica; tale postulato innesca una spirale che rende compatibili “posizioni radicali” e “flebili critiche” con gli stessi agenti della conservazione, del populismo, del neofascismo.

La stereotipia democraticista immagina possibile – sottoponendo all’oblio la storia – la convivenza di giustizia sociale, libertà e modo di produzione capitalistico. In verità, l’assetto democratico generato dalla lotta armata partigiana e dall’esperienza pre-politica, etica della costruzione resistenziale della democrazia italiana è giunto al capolinea. Non è cambiando un “ceto politico dirigente” che si modifica irreversibilmente la qualità dei rapporti sociali solidamente strutturati dalla contraddizione capitale – lavoro. Pertanto, la «democrazia reale» non può essere un tabù. La «democrazia reale» va messa in crisi.

Il chiacchiericcio confusionario amplificato ed artatamente fomentato da nocivi media mainstream, elimina a monte la possibilità di pensare e progettare alternative rivoluzionarie del sistema capitalistico di produzione e riproduzione della vita; gli operatori dell’informazione s’accucciano brontolando contro il supposto sovranismo e scodinzolando per farsi notare come strenui difensori dell’Unione europea nonché piagnucolanti untori del genocidio di migranti vittime dell’applicazione delle leggi n° 39/1990 (cosiddetta legge Martelli), n° 189/2002 (cosiddetta legge Bossi-Fini che riprende l’impianto della Turco-Napolitano) e 6 Marzo 1998, n° 40; in effetti, ciò che caratterizza l’agire informativo dei media, di variegati commentatori e di tutte le “agenzie formative” del consenso è l’intento speculativo ad uso e consumo degli sponsor economici e politici. Viene in mente, per decontaminarsi dalla pochezza culturale di tal fatta, questa citazione: «… la filosofia ha la sua ragion d’essere, e bisogna anzi riconoscere che chi non è passato per la sua strada rimane incompleto per sempre» (Jean Piaget, Saggezza e illusioni della filosofia, 1965, Einaudi 1969, ed. 1975, p. 11).

La mancanza di respiro, la mancanza di memoria, l’assenza di cultura sono un problema. Ad esempio, andrebbe attualizzata la riflessione di Pierre Levy (Il virtuale, Raffaello Cortina, 1997) circa le tre virtualizzazioni che a suo parere hanno maggiormente caratterizzato lo sviluppo civile dell’umanità; i riferimenti sono al ruolo del linguaggio, al ruolo della tecnica, al contratto sociale ed al ruolo delle istituzioni nell’esercizio dell’intelligenza individuale e collettiva (pagg. 89 – 91).

Per onestà intellettuale, qualche persona autorepressa cognitivamente nell’angusto recinto democraticista dovrebbe meditare su questo assunto: «Il pensiero è grande, agile e libero, è la luce del mondo e la più importante gloria dell’uomo» (Bertrand Russell, Dizionario di logica, fisica e morale, 1952, edizione 1993, Newton Compton 1999, p. 176).

La formazione di uno dei Governi più reazionari degli ultimi decenni – per lo storytelling informativo – sembra sia indipendente dai rapporti sociali tra le classi contrapposte; in realtà, il potere politico raggiunto consentirà alle forze politiche di riproporre la realizzazione della stretta securitaria, passando per le politiche sull’espulsione fino agli sfratti, alla flat tax che premia i ricchi, alla mancia del reddito di cittadinanza, ai continui sgravi fiscali alle imprese, trascurando milioni di disoccupati e fornendo garanzie ai “risparmiatori” e banche, rassicurando quanto prima i “mercati”, cogestendo la dittatura multinazionale dello spread contro le condizioni materiali di vita (riduzione del potere di acquisto di salari e pensioni, il saccheggio della spesa pubblica tra privatizzazioni e tagli, la chiusura degli spazi di democrazia, il pareggio di bilancio in Costituzione ) e la volontà popolari.

Gli accadimenti della politica – nazionale ed estera – mandano segnali affinché si recuperi una radicalità nuova nelle pratiche e nelle rivendicazioni, riscoprendo i valori di riferimento del mondo del lavoro e sostenendoli con forza: sia che si tratti dell’esercizio del diritto di sciopero o di assemblea, o che si tratti di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario o di abbassare decisamente le retribuzioni di una aristocrazia dirigenziale, così come di restituire dignità ai pubblici impiegati. Principalmente, è necessario restituire una orizzontalità ai processi decisionali, aprendo all’ascolto gli interlocutori sociali, politici, della controinformazione, sulla base delle istanze prodotte dal livello di classe. Il tema del lavoro è il primo. Il più delicato anche per l’interesse generale che riveste sia nelle vite di tutti, che in qualunque tipo di rilevazione sociale.

Si tratta evidentemente di un processo che richiede tempo, ma che va iniziato senza indugio alcuno.

Questo processo servirà, tra l’altro, a smentire positivamente quanto scritto da Norberto Bobbio nel volume Il futuro della democrazia (Einaudi, 2005, pag. 4): “l’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure”. Siamo certi non sia l’unico modo di intendersi.
Giovanni Dursi

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