Crisi si governo. Flaiano, Draghi e Conte.

Palazzo Chigi, sede del Governo

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Mi sono chiesto come di fronte a questa in parte inaspettata crisi di governo, per non essere strangolato dalla monotona ripetitività dei comportamenti dei politici, non fosse necessario e possibile aggrapparsi ad uno dei più famosi aforismi scritti da Ennio Flaiano, credo nel 1972 poco prima di morire, nel corso, appunto, di una delle ricorrenti crisi di governo dell'epoca: “La situazione politica in è grave, ma non è seria”. Che questa lapidaria frase possa essere uscita dalla penna di Flaiano non c'è da meravigliarsi, perché l'intellettuale pescarese oltre ad essere un osservatore seriale della società italiana che lo circondava, aveva il dono di ribaltarcela contro utilizzando semplicemente una prosa spoglia, al limite del disincanto, chiamando le cose con i loro nomi, con un realismo quasi fine a se stesso proprio perché non interessato a proporre soluzioni o a ergersi come severo fustigatore della società.

Quindi se proviamo anche noi a leggere i fatti degli ultimi giorni con la “lente” flaianea, depurandoli dalle sovrastrutture logiche e dalle considerazioni tipiche di chi è abituato a mettere sempre le mani avanti – “l'avevo detto io che finiva così” – ci accorgiamo che la ricomposizione del mosaico attraverso le varie tessere, tutto è meno che seria.

Gli sfidanti nel ristretto ranch dell'”O.K. Corral” sono indubbiamente e ; prima tessera. Come siano giunti al duello finale non va, credo, ricercato diradando le nebbie del tempo bensì ritornando a poco prima delle elezioni presidenziali.

A quell'epoca, il Presidente del Consiglio aveva portato a termine se vogliamo il compito assegnatogli da un esausto Mattarella e cioè incanalare le misure per battere l'epidemia Covid e predisporre la cornice entro la quale sviluppare il PNRR con quella montagna di miliardi a disposizione, portati a casa dall'ex Primo Ministro, un intraprendente Conte; seconda tessera.

Insomma, l'aureola di “Salvatore della Patria” conferito da tutti i mezzi di informazione e non solo, brillava ora a tal punto che, forse legittimamente o forse perché qualche Jago nascosto dietro le sue spalle non faceva altro che ricordarglielo, Mario Draghi cominciò ad accarezzare l'idea del tutto legittima di essersi meritato la candidatura per il Colle Quirinale, con un silente Mattarella ignaro di quello che a breve sarebbe accaduto; terza tessera. Dopo un crescendo di preoccupazioni a seguito di una situazione di impasse da cui sembrava difficile uscire, all'ottava votazione, nel plauso generale con esclusione dell'interessato, veniva rieletto l'incredulo e infastidito Sergio Mattarella.

Cosa era accaduto? Semplicemente i partiti si erano accorti che scegliere tra la compagine di governo un nome di prestigio da indicare – e quale altro nome meglio di Draghi avrebbe potuto essere scelto? – avrebbe comportato la fine dell'esecutivo costringendo le stesse forze politiche a trattative e consultazioni per formarne uno nuovo; quarta tessera. Qui si inserisce, entrando forse a gamba tesa, la contrarietà dell'M5S per Draghi. Il colpo, per il Presidente del Consiglio che a quel riconoscimento ci teneva e come, sia per il prestigio personale sia per allontanarsi per sempre da quella massa melliflua fatta dai partiti da lui sempre sopportati e da tenere a distanza, deve essere stato come una pugnalata alla schiena. Come, avrà pensato, io ho fatto il mio lavoro e ora tu, Conte e la tua banda, non mi volete incoronare? Ne ha dovuto prendere atto, ma si sa, le pugnalate alla schiena per di più inferte da un parvenu della politica, chiamano vendetta. E Draghi se l'è legata al dito; quinta tessera.
Con questo carosello d' avanspettacolo già di per se tragicomico, se non fosse che ad assistervi sgomenti, disillusi, stanchi, ci fossero sessanta milioni di cittadini, si è andati avanti registrando la collera repressa ma quasi sempre ben mascherata di Draghi, ormai irrimediabilmente distante, moralmente e culturalmente, da quelli che lui considera troppo interessati al proprio avvenire politico o a quello del partito – come si fa a credere a Salvini che in Consiglio dei Ministri. si piega fino alle ginocchia solo all'ascolto della voce del suo Presidente e poi fa campagna elettorale contraria alle decisioni prese? – fino a che, non del tutto inaspettato, è arrivato lo sfaldamento del M5S; sesta tessera.

Diciamola tutta, anche il più distratto degli osservatori, capiva che il Movimento si stava disfacendo come neve al sole per le rivalità fra Conte e Di Maio e per l'irrequieta contestazione della base che vedeva le sue bandiere elettorali sacrificate per le logiche di governo. Quindi prima del crollo totale del fu- partito, che solo quattro anni prima era arrivato al 32% dei consensi, come un freddo giocatore di poker Luigi Di Maio toglie il disturbo portandosi dietro buona parte dell'”argenteria” di famiglia per fondare un nuovo gruppo; settima tessera. Conte, ormai rimasto solo a rabberciare quello che rimaneva dei “5Stelle”, dopo una rapida conta dei cocci che gli erano rimasti, con l'indecifrabile suggerimento del guru Grillo ondeggiante fra l'idea di sostenere Draghi e quella di mandare tutti al mare, si ritrova la patata bollente fra le mani, con l'unica prospettiva di difendere con le unghie il suo posto – anche lui tiene famiglia! – basta capire come farlo; ottava tessera.

Detto fatto. Ritornare all'antico, alla tradizione del Movimento e tirare fuori le unghie contro Mario Draghi – mai amato e forse a stento sopportato – minacciando il ritiro della formazione dalla maggioranza qualora il Governo non avesse accettato di prendere in considerazione le proposte del suo Gruppo. Mossa disperata ma azzeccata, se vista nella logica di una sfida scacchistica, solo che il costo non è stato neanche preventivato. Draghi si sente colpito per la seconda volta alle spalle e per di più dal suo acerrimo nemico che questa volta ha mirato al bersaglio grosso. È veramente troppo per il Presidente del Consiglio per cui sdegnato ha riposto la sua aureola e ha dato le dimissioni nelle mani, forse tremanti, del presidente Mattarella; nona tessera.

Dimissioni respinte, anche perché una maggioranza in Parlamento c'è ancora e a parole è disposta a proseguire il cammino insieme; ma l'onta che si chiede a Draghi di ignorare è insopportabile, specie per chi non mai gradito i saltimbanchi della politica, avvezzi a fare i conti solo per i loro tornaconti elettorali. Tutto rimandato a mercoledì prossimo quando il Presidente del Consiglio scioglierà le riserve dopo essersi confrontato, come credo, con i responsabili della politica europea ai quali anche per la loro sopravvivenza serve che l'Italia dia garanzie di serietà. Pretesa difficile da esaudire ma non impossibile; decima tessera.

Non credo sia consigliabile fare pronostici perché la partita è aperta ma più che altro è interpretata da giocatori che forse hanno letto regolamenti diversi fra loro.

Stefano Ferrarese

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