
All'aeroporto Josè Martì ci aspetta Liliana, una giovane donna, sorridente, con lo sguardo curioso a capire con chi avrà a che fare nei prossimi giorni, sembra una donna uscita da un'opera di Gauguin, capigliatura corvina, colorata, morbida e gentilissima. Ci ha accompagnato nel giro dell'arcipelago, con il suo autodichiarato “itagnolo”, presenza leggera a suggerire dove, per quanto tempo e quando, nei punti impensabili, all'interno, per dolcemente guidarci nella nostra fierezza occidentale di “dispensatori di doni”, a chi, davvero, ha poco e niente.
Ci siamo imbattuti, da subito, in persone con una dignità da ammirare come il sorriso dell'autista del pulmino, affettuosamente chiamato Papo, con cui abbiamo macinato migliaia di miglia in lungo e in largo. Peraltro insegnante di passi di salsa e altro, garbo, modo e maniere cavalleresche, a tutti noi.
E i giorni successivi ci sono serviti per provare a sciogliere i misteri delle incredibili contraddizioni: povertà e allegria, musica e stracci, decadenza e vitalità, capelli “pettinati dal vento” (Alda Merini bene lo sapeva) ma non c'è, per loro, lo shampoo: solo per i turisti. A Sancti Spiritus uno shampoo in Valuta Liberamente Convertibile (MLC): prezzo 13 euro. Stipendio medio mensile cubano 30 euro, pari a circa 5.500 pesos cubani, qualunque lavoro facciano. Incomprensibile per la nostra mentalità.
A visitare la chiesa di Remedios, una piazza e null'altro, e scoprire che venerano la Vergine Incinta che, dai suoi gesti, non prega, bensì balla il flamenco. “Com'è il Cristo dell'Avana: sacro o pagano? In una mano il rum nell'altra il Sigaro”. E non è il cosa raccontano, ma come ce lo raccontano, in una sorta di “Siamo così, noi cubani, questo abbiamo e questo vi doniamo”.
Ad ascoltare il suono delle stelle della notte, (ancora Alda Merini ci conduce con le sue parole), accompagnate da Tequila y Limon di sottofondo, ad abitare nelle loro case particulares, a mangiare nei loro piatti, ad aspettare che si cali Zorro dalla balconata, sguaini la sua spada tra il colonnato del portico, a vivere come in un film dei primi del Novecento in una casa coloniale dove vivono in tre generazioni insieme…

La facilità nell'arte della conversazione, senza fretta, con una calma e energia tipiche del Sud del mondo, senza l'ansia della produttività, causa-effetto, del profitto a tutti i costi, immediato; il loro ritmo nel sangue che ti fa ballare dalle 10 del mattino, di bar in bar, a tutte le latitudini, la gentilezza. Si, la gentilezza è il loro potere, il loro arsenale inarrivabile, ti guardano e ti chiamano mi corazon, mi vida, mi amor, autentica, né formale, né “a scopo di…”, per sopravvivere, giorno per giorno, quando ti manca proprio tutto, a partire dagli elementi essenziali, di cui ti rendi conto, che essenziali lo sono diventati solo per noi. Anzi, siamo noi che li abbiamo fatti diventare “necessari”.
“Il Governo ci dà le divise tutte uguali, per mandare a scuola i nostri figli; camicia bianca e pantaloni rossi alle elementari, camicia bianca e pantaloni blu per le superiori. L'università è gratuita per tutti. Vieni da Camaguey? Il Governo ti offre l'alloggio a L'Avana. Ogni mattina ricordiamo cosa ha fatto il Che per noi”. Passano i lustri e ricordano, ogni mattina, i loro eroi, vivi. Ci siamo chiesti chi avremmo potuto paragonare dei nostri ai loro: ci è saltato in mente solo Giuseppe Garibaldi, sarà un caso?
A guardare, increduli, movimenti singolari su una strada asfaltata – e non è la regola bensì quasi l'eccezione dell'interno; palme reali, un calesse a trainare qualcosa, sacchi? Ragazzi a piedi, in distanze armoniche, l'uno dall'altro, che, leggermente piegati in avanti, muovevano, con un arnese, in mano, una scopa? Qualcosa di giallo che … che cos'è? Riso, ecco cos'era avvicinandoci, riso, sull'asfalto, a lato strada, con il caldo del terreno che lo aveva asciugato, e una maestria sorridente nel raccoglierlo. E Alda Merini canta ancora “ e ti salva solo l'amore”.
“Ferma il bus! Scendo a fotografare, grazie Papo!” Imbracciando una macchina fotografica con tanto di zoom nostalgico, dal sapore anni '80, Valeria, Reanta, Marilena si precipitano a immortalare.

Riso al sapor di catrame e i nostri chef, invece, usano le foglie d'oro per guarnire un nero di seppia. Differenze di punti di vista. Differenze di possibilità.
“Stasera andiamo alla Casa de la Trova, così balliamo, gustiamo il Ron, ci divertiamo”, propone Liliana. A Santiago de Cuba stasera si va. Imbastiamo un escamotage per far felice Maria, appassionata ballerina di salsa e “di qualunque ballo”. Finirà con ballare con un cubano dalla lunga treccia scura, per undici minuti consecutivi di una salsa scatenata e romantica, in spazi ristretti, anche di pochi centimetri, tra le sedie e i tavoli affollati, dove ballano tutti. Anche Giovanni, il marito di Maria, proverà a ballare facendosi guidare da una giovane ballerina che mentre si muove gli insegna “precisamente” i passi da fare, dove andare in una salsa che risuona come “tanti auguri a te”. Abbiamo mentito: “oggi è il compleanno di Giovanni, Leone di dicembre, puoi farlo ballare?“. Ma saranno poi tutti a ballare: Gaetano, Magdalena, Marilena, Renata e Melina e che fomentano la danza anche di alcune pallidità, piombate, in questo calore umano, dai freddi meandri norvegesi, svedesi, islandesi. Flora, la giovanissima del gruppo, segue una lezione di salsa di fronte alla giovane maestra. Anch'io ho ballato, nonostante prima di questa immersione cubana, detestassi salsa, salseri e ritmi sudamericani, truculenti e tristi nei testi e ripetitivi nel ritmo; ma qui è un altro mondo, diventa naturale, bello, divertente ballare e anche l'orecchio si abitua e viene coinvolto dagli strumenti e dalle voci dal vivo, e quel sorriso, mentre cantano e suonano, che ti cattura. Pregiudizio superato, Cuba insegna, chi vuole e può qualcosa impara. Mi sarebbe piaciuto, in certi momenti, essere una di loro, essere nata cubana: è una specie di magia, forse ha a che fare con la Santeria, siamo tremendamente seri e produttivi da questa parte del mondo che lasciarsi andare alla gioia è quasi da scapestrati. Il giudizio, questa è la nostra gabbia “evoluta”. E, forse, ci confrontiamo con gente che, paradossalmente, è scapestrata, senza capestro, che la libertà l'ha pagata con il sangue.

A visitare luoghi “chic”, Playa Giron e altre varie Playa e Cayo, che ci risultano bellissimi e stridenti, come se ti sentissi catapultato in un altro spazio-tempo, dopo la strada della miseria, prima della svolta, i villaggi “di lusso” un tempo, quando furono costruiti, per il piacere dell'imperialismo, oggi meritevoli di una bella opera di manutenzione. Qualcosa cade a pezzi a destra, la palazzina G senza luce, controllano che gli non hai rubato gli asciugamani dalla stanza d'albergo, poi tre piscine con enormi coppe di daiquiri, pina colada dentro l'ananas con la cannuccia. I canadesi, ci hanno detto, sono vicinissimi e vengono spesso, fortunatamente. Ai cubani è vietato recarsi ai Cayo, a meno che non ci lavorino, per il Governo, vietato con la barca a motore, pericolo di fuga. “I turisti per noi sono come i cristalli, delicati, importantissimi per l'economia del Paese, che è un po' un problema per noi” aggiunge Liliana, quando intuisce dalle nostre espressioni, le contraddizioni che ci affollano la mente e il cuore. “Questo autobus è territorio italiano: 3 sono le ragioni per cui vi arresteranno. 1 – 25 anni di prigione per l'uccisione di una mucca, 2 – droga, anche una sola canna, 3 – se toccate i bambini. A Cuba i bambini sono sacri”. Ma come? E la prostituzione? La terra del piacere con una sola saponetta in regalo? Uomini anziani con ragazze in fiore, signore in età, idem, con giovani virgulti… qui prevale il disgusto, quasi da voler intervenire per… non sappiamo bene cosa, a Santiago e L'Avana, queste scene si sono ripetute, al Floridita, foto di Fidel e Gary Cooper a Capodanno del 1958?, alla Bodeguita del Medio, ormai commerciale, più noto Hemingway che Camilo Cienfuegos, bello e intrepido più del Che, scomparso misteriosamente a 28 anni.

Amo i colori, tempi di un anelito
inquieto, irrisolvibile, vitale,
spiegazione umilissima e sovrana
dei cosmici perché del mio respiro.
(Ancora Alda Merini ci aiuta)
A leggere le frasi che conosciamo da sempre “Hasta la victoria, siempre” “El trabajo volontario… creador de consciencia… ”, “el pueblo unido…” ci ringiovaniamo, tutti, di colpo all'adolescenza, l'odore del libro di storia arriva immediato a ricordarci che non è cambiato nulla da allora. A passeggiare, silenti, nel Mausoleo di Santa Clara, a temperature siberiane, coperti, senza cellulare, Vietato scattare foto, solo guardare gli eroi tornati a Cuba, nel 1997, solo i loro resti, scavati da archeologi in Bolivia, l'italiano Gino Donè. Tanto da imparare. Tanto da ricordare.
A visitare i mausolei, Fidel, la tomba a forma di chicco di mais, nessuna data di nascita o morte, imperituro, il cambio della guardia con un caldo soffocante già dalle 8 di mattina e le loro divise. Bravi, fanno il cambio della guardia ogni 30 minuti, donne e uomini in egual guisa. Parità di salario e trattamento. Potremmo noi imparare qualcosa? Qui il socialismo, o il comunismo, la dittatura o altro che ciascuno voglia nomenclare si respira molto di più che da qualunque altra parte: prova a fare un passo fuori dal vialetto a sassetti, dentro il cimitero, a Santiago de Cuba, e ti richiamano col fischietto, come a Berlino Est, prima del 1989; anche se hai i bagagli e ti siedi, un istante, sul muretto con la ringhiera a Plaza de la Revolucion a l'Avana. Vietato. Vietato. Vietato.
Ballano come Dei e bevono Ron cubano, assaporando il loro nettare e possiedono una disciplina interiore di “comportamento militare” come se varcassimo la soglia degli inferi? Altra contraddizione che Cuba e il suo popolo accoglie dolcemente come normale. Insolubile dubbio, che ti lascia aperta la soglia percettiva come a volerti far fare un salto quantico di intellighenzia. Ad assaporare le ore più calde, a passeggio, cercando l'ombra, con la crema protettiva 50+, “prendiamo una limonata, dai” con il naso all'insù e Elisabetta che ripeteva, sgranando i suoi occhioni verso di noi, “ragazzi siamo sotto il cielo dell'Avana” con uno stupore più sudamericano che genovese. A diventare tutti rivoluzionari con un Montecristo in mano, ingentilito dal miele, irrobustito dal rum, ad imparare a fumarlo con solennità e con la raccomandazione massima di lasciarlo spegnere “con dignità”: diritto, appoggiato sul portacenere, Mai spegnerlo come una sigaretta, è un gesto poco rispettoso del lavoro “a mano” svolto dai campesinos, foglia per foglia. Perché il Montecristo? Il sigaro del Che, e questo è noto, perché assapori tutte le foglie, dalla mas suave alla mas fuerte. È ”il tutto”. Avere un'esperienza intima con il Montecristo mi ha proiettato a sentirmi “Evita Peron”, (che peraltro non fumava), su una sedia a dondolo, con la mente che spaziava, la lotta alle ingiustizie umane più che sociali, l'ozio che ti assale, il ridere dentro di me, nel dire sì! Fuma il Montecristo! Con i miei compagni di viaggio che asserivano “Con il sigaro sembri proprio una pasionaria!”. Qualcuno, occidentale ovviamente, si chiederà “ma credi che noi queste cose non le sappiamo?”.
Ciò che sto scrivendo non è una lezione su Cuba, la sua storia, il suo sistema politico, i suoi torti o le sue ragioni; è quello che ho vissuto e mi fa piacere raccontare, una mezcla di sentimenti, come il suo popolo, le persone che ho incontrato, cosa ho sentito, insieme ai miei compagni di viaggio.
A Vinales, le persone sono di pelle olivastra con gli occhi chiari, più “benestanti”, (considerazione occidentale precisa), case ristrutturate, piatti nuovi, bicchieri puliti, frutta fresca a colazione, sedie a dondolo per gli ospiti, molto turismo in questa zona, e si vede. Stavano completando l'operazione di “una cloaca”, in quattro, con una vanga, si esatto, quella che usiamo ancora nei paesi della Sabina, dell'Abruzzo e di tutti i paesetti d'italia, perché era del nonno…. di fronte ad una casa particular, con il simbolo sulla porta di “posso affittarti se vuoi”. A Baracoa, sembrano indios veri e propri, con un maialino legato al guinzaglio, negli ultimi suoi momenti di vita, accanto al fiume del parco dello Yunque: preparavano il fuoco all'aperto per il banchetto serale. Non accade solo a Capodanno che la sera ci sia musica, costumi colorati, movimento di massa a tempo di caracas, puoi anche andare a dormire alle 22, suoneranno fino alle 4 del mattino dopo, senza sosta, senza nessuno che protesti. Noi abbiamo brindato alle 18, il Capodanno italiano, augurando le migliori condizioni possibili, con il torrone di Giancarlo, tradizional-nostrano, con questo caldo, tuttavia romantico e affettuoso.
A svegliarsi alle 4 e mezzo, senza caffè, a salire sul pulmino con Papo sorridente e in divisa come fossero le 9 del mattino: ci aiuta a salire e ci aiuta a scendere con gentilezza. Soste ad un chiosco “privato”: caffè espresso, tipo il nostro, il migliore che abbiamo gustato, biscotti, barra di arachidi, chips salati salsa. Balla anche Giampaolo alle 9 del mattino, ormai sereno e libero di poter archiviare i freni inibitori. La sosta dura più di mezzora e il ballo mattutino ci ristora. Balliamo dormendo o dormiamo ballando? Boh! Siamo riusciti a portare in Italia i nostri acquisti mattutini, raro trovare qualcosa da mangiare o da bere. Niente ferrovie, niente bus di linea, trasporti impossibili. “Come fa chi vive a Trinidad ad andare a Santiago?” chiediamo. “Non ci va, oppure fa l'autostop con i soldi in mano per far capire ai rari bus “privati” che può pagare per spostarsi”. Cioè rimane dove sta.

A pensare che stai viaggiando in una follia, in una sistema di vita e pensiero con confini “strani”, artiste che scolpiscono statue di bronzo e dipingono un femminile più evocativo e “azzeccato” di qualunque forma boteriana e mentre visiti la galleria ti salta in mente “Il labirinto del fauno”, le forme ricordano esattamente la Mandragola piangente del film. A visitare la galleria di un altro artista che recupera finestre e porte di legno e scolpisce, con assoluta precisione, ogni singola micro espressione e segno che nel volto di donne e uomini, si espande, si approfondisce, nell'espressione di guardare il cielo o mentre lavorano o fumano la pipa, invecchiano naturalmente, come natura chiede.
A rilassarsi al mare, un giorno, snorkeling… “ma non si potrebbe dire bagno con pinne e maschera?” “snorkeling è internazionale”. Ti tacitano con il linguaggio della globalizzazione, ci sarà anche qui, quando i cubani guardano su internet cosa pensano del mondo, così diverso dal loro mondo?
Un piccolo catamarano, “italiani? Bello! Venite da lontano!” giubbotti di sicurezza, ti tuffi a gennaio al mare e già è una rivoluzione e ti sembra di nuotare in un acquario, la barriera corallina, la nave affondata a 3 metri di profondità, vedi l'elica, la puoi toccare, e tieni le braccia affiancate al corpo e respiri, ballando, al ritmo delle pinne, guardi gli altri, ciascuno di noi nella gioia, nell'Oceano Atlantico… nell'aria sento la gratitudine collettiva che ognuno di noi esprime.
Cuba non la risolvi, non la capisci, non puoi sintetizzarla in un solo aggettivo, non riesci a trovare qualcosa da offrire per sollevare le persone da una povertà indecente, (lo so , mi sto ripetendo, non trovo sinonimi per indecente…) da una carenza di sapone e altro che neanche voglio ricordare, troppo mi fa male ancora. Fai i conti con l'ingiustizia, fai i conti con il limite da cui tutti rifuggiamo, e ora, quando sei già ritornata nella tua casa confortevole, neanche hai il coraggio di comprare la carta da cucina, o la crema anti-rughe, decisamente inutile, questo pensi. Riccardo, terza volta a Cuba: questo viaggio è stato diverso, ho avuto l'incontro con persone e luoghi sconosciuti. Cuba è l'insiemistica…
A fotografare le Pontiac, Ford e Buick colorate e tenute benissimo, con pezzi di ricambio auto-generati, coloratissime, in fila, questa è la Cuba che conosciamo anche noi, e decidiamo di fare un giro. “Fare il doppio in metà tempo” di Jeff Sutherland, statunitense, un testo di metodologie di Project Management Agile per l'efficacia e l'efficienza, che rappresenta l'esatto contrario del paradigma del nostro autista Alai, con cui negoziamo il giro che vogliamo fare all'Avana. Scopriremo poi che la macchina “ha un problema”: faremo il giro di un'ora in due ore… ogni 10 minuti ci dobbiamo fermare, aprire il cofano, Alai scende, scuote la testa, accende e spegne, un problema di carburazione, motore, marmitta, risale, aspetta, rimette in moto. Ma se la macchina fosse stata “funzionante”, il ricordo si sarebbe offuscato negli anni a venire. Così diventa indelebile. “Sentire un meccanico?” “Ahora, si lo llamo” Si fermano tutti i suoi colleghi, un cacciavite, una chiave inglese. E ancora Alai apre il cofano, l'ennesima volta, e succhia la pompetta della nafta con la bocca, poi sputa un po' l'eccesso. In qualche modo il pensiero va a Napoli.
“Dovete guardare l'Avana con gli occhi dell'amore” le parole di Liliana e di Papo risuonano semplici e potenti. Del resto se la guardi con l'occhio critico, vuoi ripartire immediatamente per tornare alla conosciuta normalità e alla candeggina. Difficile da sostenere, affascinante e tremenda. Un professore universitario di historia, incontrato per caso, con un sorriso diciamo parziale, sappiamo che il dentista costa molto. L'isolamento e l'embargo affamano letteralmente la popolazione cubana, con la carne troppo costosa da comprare per ii figlio. Ci conduce in un bar “non turistico”, ci dice, “ma cubano, dove Fidel e il Che andavano a bere rum dopo il lavoro“, facciamo anche un po' finta di credergli. Ci chiede qualche maglietta, ma abbiamo lasciato ripartendo per l'Italia. “Professore, come potreste risolvere la vostra situazione?”, “Ci basta che il Governo ci aiuti da un punto di vista economico. Non vogliamo cambiare la nostra vita, il nostro sistema di istruzione o il nostro sistema sanitario. Abbiamo bisogno di una nuova era economica. No ad un sistema multipartitico, solo un po' di benessere economico in più, non ci serve altro“. La democrazia è forse un'illusione? Ci guardiamo e non comprendiamo fino in fondo: servirebbe una forma mentis comunista, ma noi siamo figli e nipoti del Piano Marshall e non ne sappiamo niente della vita vera in regimi diversi. Un altro limite da considerare. “Vedete? Sono i colori della bandiera cubana”.
Mi è faticoso costruire ed esprimere una sintesi del percorso a Cuba, forse ci vorrebbe un modello matematico aperto, euristico; rimango nell'insolubilità, tuttavia adeguata ad una realtà multifattoriale per la quale non è stata ancora scoperta o inventata un'equazione soddisfacente e adeguata. Un viaggio a Cuba non è propriamente una vacanza, in senso classico, bensì un tuffo in un passato che si è trasformato in un anacronismo permanente. Il “bloqueo” come lo chiamano loro, sembra di ieri e invece no, è ormai anacronistico, ingiusto, ridicolo e violento purtroppo. I comportamenti degli uomini di guerra sono anacronistici, ancora attuali, peraltro, ovunque nel mondo, non solo in Europa in questo momento storico.
La speranza è che il popolo cubano possa sfamarsi meglio, per le nuove generazioni, soprattutto, per le donne, i piccoli, gli anziani, i fragili, che possa uscire dalla povertà indecente e nel contempo mantenere l'innocenza e la purezza da cui è fortemente animato ancora adesso, la dignità e il senso di appartenenza. Noi, al confronto, a livello di integrazione della Nazione siamo ancora ai Guelfi e i Ghibellini. Liberi dal consumismo e dall'ingenerazione dei bisogni, che noi europei abbiamo saputo inventare e produciamo ad arte.
“Anche il demonio si è commosso… mi ha lasciata uscire” (Alda Merini)
Stefania Ratini
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