Da Merz a Carrà, una mostra del 1978 riproposta al Palazzo delle Esposizioni

Palazzo delle Esposizioni Mario Merz. Balla, Carrà, de Chirico, de Pisis, Morandi, Savinio, Severini.

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Il  Palazzo delle Esposizioni di Roma,  inaugurato il 21 gennaio 1883, ha compiuto  da pochi giorni 140 anni di attività artistica e sociale.  In prossimità di questo “compleanno” i media hanno sollecitato a visitare  l'Expo- così si chiama da alcuni anni – per alcune  mostre in corso. Quella su Pier Paolo Pasolini, Tutto è santo. Il corpo poetico  e “Mario Merz, Balla, Carrà, de Chirico, de Pisis, Morandi, Savinio e Severini  che ripropone una precedente ed importante  esposizione artistica avvenuta nel 1978.

Ma prima di soffermarmi su quest'ultima credo che sia  interessante ripercorrere la storia iniziale del Palazzo delle Esposizioni Nazionali delle Belle Arti, come era chiamato all'epoca.
Nel 1874, terminata la stazione ferroviaria di Roma (oggi Stazione Termini), gli architetti ed urbanisti ebbero  il compito di connettere l'area costituita dalla  stazione stessa e dalla zona di  Santa Maria degli Angeli con la parte  storica situata  “a valle”, cioè piazza Venezia e le vaste aree archeologiche contingenti. Questo collegamento avvenne tramite Via Nazionale e si pensò anche di dotare la strada di alcune opere significative. Si decise di dedicare un palazzo alle belle arti e alla cultura non con funzioni di  museo, ma come uno spazio espositivo tale da contenere creazioni artistiche moderne e sperimentali e, all'occorrenza, anche altre importanti mostre sull'arte in generale.
Dopo l'inaugurazione, l'edificio fu destinato prima alle opere della Società degli amatori e cultori delle belle arti, in seguito accolse l'Esposizione internazionale dell'arte della Secessione e di seguito fu sede continuativa delle Esposizioni  della Quadriennale d'Arte  Nazionale.
Nel  periodo iniziale di costruzione di questo palazzo era sorto un acceso dibattito sui nessi  tra il moderno (la stazione ferroviaria, rappresentante della tecnologia e del futuro) e l'antico (l'area archeologica ed artistica), con dispute sul possibile stile estetico e sulle funzioni dell'edificio. Si discuteva anche sulle sorti di una Roma che, pur essendo custode di antichi tesori, andava comunque  rimodernata e connessa  alle altre capitali europee [1].
A ben riflettere l'impegno era molto significativo  poiché si potrebbe vedere, in questo compito di  collegamento tra moderno e antico, uno sforzo  professionale e psicologico  importante.  Vi era infatti la  necessità di scegliere un progetto architettonico equilibrato e nello stesso tempo innovativo, tale anche da potere risolvere i vari problemi tecnici e i problemi di spazio e funzionalità nell'area scelta. Dopo alcuni concorsi pubblici per la creazione del Palazzo delle Esposizioni Nazionali di Belle Arti, dopo  vari progetti di architetti ed ingegneri, la scelta più precisa dell'area edificabile e le polemiche, il vincitore risultò l'architetto Pio Piacentini, padre di  Marcello Piacentini, che operò soprattutto tra il 1910 ed il 1950 circa.
L'edificio monumentale costruito in uno stile di fine ‘800 – primi ‘900 si presenta ancora oggi come una massa di colore chiaro, con una profonda apertura ad arco  frontale e con delle  diversificazioni alte di  colonne e statue. Vi sono due ampie rampe di scale che furono funzionali a risolvere anche dei problemi circa il livello di pavimentazione dell'edificio e che conferiscono ancora oggi a tutto l'insieme un'aria solenne.
Le pareti compatte, che dovevano essere continuative per permettere l'esposizione interna delle opere d'arte in sequenza, contribuiscono al suo  stile   definibile come accademico e neoclassico.
La parte interna riprende lo stile con colonne altissime e con spazi / stanze messe in simmetria e   divisibili a secondo delle esigenze espositive e funzionali­. Anche l'ambientazione interna mantiene a tutt'oggi una certa eleganza e  solennità.
Suggerisco al lettore una consultazione  del documento di storia del Palazzo fornito dall' Azienda speciale Palaexpo dove sono descritte anche, per le varie decadi di tutto il secolo XX,  la mostre, i convegni, le diverse destinazioni dello spazio espositivo, le ristrutturazioni, le gestioni. Sono rimaste celebri alcune edizioni delle Quadriennali di arte moderna e nel 1957 una famosa sui pittori del ‘600 europeo.

L'attuale palazzo dell' Expo romano può piacere o meno esteticamente ma, a mio parere, l'edificazione  va rispettata  considerando anche il significato e  l'importanza  psicologica del costruire un edificio come scrive lo storico dell'arte Claudio Strinati che «anche se in riferimento a GianLorenzo Bernini e alla situazione del 1600, ha scritto infatti: «Un verbo che ancora oggi usiamo in modo metaforico quando parliamo della vita è proprio “costruire”. L'atto del costruire è ciò che ci incardina alla storia. Chi non costruisce scompare. Uno dei più grandi delitti della storia – delitto morale, beninteso – è la distruzione delle architetture, perché l'architettura è veramente la quintessenza della civiltà. Una grande civiltà si distingue per una grande architettura, mentre una cattiva civiltà si cala facilmente in una irrilevante o pessima urbanistica» [2].

Veniamo ora alla seconda edizione di Mostre in mostra che rappresenta un  progetto di ri- proposizione di mostre artistiche del passato ritenute oggi particolarmente significative. Quest'evento è stato curato da Daniela Lancioni e organizzato dall'Azienda speciale Palaexpo  e, come detto,  presenta il titolo  “Mario Merz. Balla, Carrà, de Chirico, de Pisis, Morandi, Savinio, Severini”. Nel 1978 il medesimo evento, realizzato presso la Galleria dell'Oca a Roma, fu curato da Luisa Laureati Briganti e dai  galleristi Luciano PistoiGian Enzo Sperone.

Per la ri-edizione attuale si è cercato di rintracciare  tutti i quadri e le opere artistiche di Merz e dei pittori  dell'esposizione di allora. Nel caso di opere risultate irreperibili o non adatte ad un prestito museale,  sono state sostituite con altre creazioni degli stessi artisti e realizzate negli stessi anni.
Per comprendere meglio l'importanza di questa ri- proposizione della mostra del 1978  possiamo ricordare brevemente la figura e l'opera di Mario Merz. Nato a Milano nel 1925 e morto nel 2003, l'artista  appena ventenne si unì al gruppo antifascista Giustizia e Libertà e successivamente venne arrestato. Nel periodo di prigionia studiò e praticò il disegno che volle continuare anche in libertà, assumendo l'arte in generale come sua professione. Intanto aveva creato attorno a sé anche una rete di amicizie artistiche e culturali. Dagli inizi degli anni Sessanta in poi maturò il distacco dalla pittura di quadri per dedicarsi all'arte volumetrica – concreta con una  proposizione di oggetti  tridimensionali. Creò i suoi famosi igloo, i tubi al neon  e gli oggetti collegati alla  serie numerica di Fibonacci [3], simboli per l'artista rispettivamente di antichi archetipi, di  fonti energetiche e di oggetti-segni che si riferiscono  alle  acquisizioni biologiche sullo sviluppo cellulare.

Mertz, Senza titolo
Mario Merz, Senza titolo, 1978
Collezione privata/Private collection/Kunstmuseum Liechtenstein, Vaduz
© Foto/Photo Stefan Altenburger Photography, Zürich

Mario Merz era presente, sin dalla fine degli anni '60, alle  mostre dell'arte povera,  venendo considerato, assieme ad altri, un noto esponente e punto di riferimento di questa corrente artistica e della Neoavanguardia. Portatore dunque di una creatività nuova e ribelle, personalmente vicino  alla cultura contestataria degli anni '70, fu scelto dagli organizzatori della mostra del 1978 come una figura artistica di confronto e nello stesso tempo di  diversificazione rispetto a de Chirico, Balla, Carrà, Morandi e gli altri. Tutti questi altri pittori  si esprimevano infatti,  anche se in modo  vario e moderno,  sempre attraverso la pittura su tela. Mario Merz, così come riferiscono i suoi testimoni e biografi, aveva un carattere aperto, socievole e accettava i confronti e le collaborazioni. Così acconsentì di buon grado di partecipare all'esposizione  del 1978 che si svolse, come riferiscono, senza attriti e contenziosi. La ri-edizione attuale include quattro sue opere tridimensionali: Crocodilus, del 1970, Fibonacci del 1971, Vento preistorico dalle montagne  gelate del 1976 e Senza titolo del 1978.

Oltre ad apprezzare le sue opere nella mostra, è da sottolineare la presenza de Le vele nel porto di Carlo Carrà, del 1923. La tela suggerisce una bellissima atmosfera marina con un vento impetuoso che movimenta le vele di due barche che stanno nel porticciolo. La pittura si colloca in una fase in cui Carrà si era allontanato dall'approccio metafisico per passare ad una dimensione di realismo magico, che lo portava anche a dipingere dei paesaggi marini poetici e suggestivi.

Carlo Carrà, Vele nel porto
Carlo Carrà, Vele nel porto, 1923
Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi, Firenze

La mostra del 1978 , assai probabilmente concepita come stimolo e confronto tra artisti diversi e diverse correnti, fu recensita su alcuni importanti quotidiani e riviste  dell'epoca ed ebbe uno strano destino. Alcuni specialisti di oggi affermano che non fu compresa appieno la sua importanza. Ma probabilmente influì anche il fatto che subito dopo l' inaugurazione di questa esposizione nel 1978 fu rapito a Roma Aldo Moro che evidentemente distolse  l' attenzione da questo evento artistico. In ogni caso ritengo utile la sua ri-edizione  nel  2023.
Aggiungerei una mia riflessione ed un mio apprezzamento umano per alcuni aspetti di Mario Merz. L'atteggiamento suo e degli organizzatori della mostra del 1978  rimane anche  un esempio di disponibilità e cooperazione, prezioso in tempi come i nostri dove troppo spesso la competizione cieca ed irrazionale e gli interessi personali soverchiano la collaborazione.
Maura Sgarro

[1] Azienda Speciale Palaexpo, https://www.palazzoesposizioni.it/pagine/il-progetto-di-pio-piacentini-nel-programma-di-roma-capitale, URL consultata 21.01.2023
[2] Marchiori G., Carrà Carlo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 20, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1977
[3] La serie numerica di Fibonacci  è composta da numeri che si sommano l'uno con l'altro in successione, similmente ad alcuni processi di riproduzione biologica.

Altri riferimenti bibliografici
Strinati C., Il mestiere dell'artista. Dal Trecento al Seicento, Sellerio, 2014, PP.313.
Verzotti G. Mario Merz. L'artista e l'opera, materiali per un ritratto, Marinotti, 2018v

Palazzo delle Esposizioni – Roma
Mario Merz. Balla, Carrà, de Chirico, de Pisis, Morandi, Savinio, Severini
Seconda edizione di “ Mostre in mostra”
dal 29 novembre 2022 al 26 febbraio 2023
a cura di Daniela Lancioni
promossa da Roma Culture e dall'Azienda speciale Palaexpo

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