
Da sinergia a resilienza il passo è breve. Ci sono parole che s'impongono nel dibattito pubblico e finiscono col diventare quasi fastidiose e invadenti: parole alla moda che, pure, aiutano a capire il mondo i cui viviamo e l'aria che tira.
Ci sono parole ed espressioni che, nel linguaggio pubblico e della comunicazione, diventano invadenti e quasi fastidiose. Ci sono parole che in alcuni momenti sembrano imprescindibili e necessarie per partecipare al dialogo o acquisire informazioni. Ci sono parole il cui uso e significato si allarga a macchia d'olio quasi monopolizzando la scena pubblica.
Negli ultimi decenni l'uso della parola sinergia, usata nei contesti più appropriati e anche in quelli meno probabili, ha invaso ogni discorso di chi voleva mostrare un minimo di apertura verso la collaborazione, lo scambio e la condivisione.
La sinergia o le sinergie dovevano aiutare a concepire l'assenza di steccati e la volontà alla condivisione dell'esperienza, delle risorse e delle conoscenze. L'uso reiterato, e quasi compulsivo, del termine ha finito con il renderlo non solo fastidioso e ridondante, ma ci ha anche regalato la convinzione che ad usarlo erano proprio coloro che non avrebbero mai condiviso qualcosa.
Oggi la parola resilienza è divenuta la traccia obbligatoria di un'attenzione al presente e al futuro, finendo anche nell'acronimo più famoso del momento PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza). La resilienza è un concetto già molto in voga in territori sempre più ampi che, dall'originario ambito legato ai materiali e alla ingegneria, si è allargato all'ecologia e alla psicologia. L'aggettivo resiliente è stato usato anche prima che la resilienza si affacciasse nel nostro piccolo vocabolario del quotidiano.
A modificare almeno in maniera parziale l'uso della parola resilienza – utilizzata per lo più per indicare una sorta di capacità a resistere e non collassare del tutto – è giunto l'uso dell'espressione, suggerita da più parti, di resilienza trasformativa.
Con particolare riferimento a quello che la pandemia ci ha lasciato in eredità, alcuni osservatori e critici ci hanno ricordato che la nostra capacità non può esaurirsi in un semplice ritorno a ciò che eravamo prima del Covid e deve, piuttosto, tradursi nella volontà di innovare e trasformare la nostra società: insomma, la resilienza trasformativa indica la capacità di non crollare e, invece, reagire, innovando.
Sull'uso della parola resilienza e dell'aggettivo resiliente, per chi volesse approfondire l'argomento, rimandiamo a due articoli che è possibile trovare sul sito dell'Istituto dell'Enciclopedia Treccani: Maria Vittoria D'Onghia, Resilienza, una parola alla moda; Michele A. Cortelazzo, Resilienza le parole della neopolitica.
La lingua è un sistema vivo che cambia di continuo; vecchie e nuove parole si alternano anche nelle diverse edizioni dei vocabolari, segnando così un divenire che non si arresta. I cambiamenti storici e sociali mettono in crisi i paradigmi e le espressioni che sono state usati per tanti e tanti anni. C'è un momento in cui è necessario trovare nuove formule per descrivere il nuovo che avanza e per aiutarci a farci un'idea delle novità. In effetti, trovare un modo per definire processi che cambiano il nostro orizzonte storico, è stato un grande compito che la letteratura, la filosofia e la sociologia hanno assunto su di sé nei secoli.
Ci sono, così, espressioni e termini che diventano desueti o quasi incomprensibili e parole e modi di dire che sembrano invadenti e, in alcuni casi, fastidiosi. Se visitiamo il sito dell'Accademia della Crusca, la cui nascita risale ai secoli in cui la lingua italiana era un progetto tutto da compiersi, troveremo una sezione dedicata alle “parole nuove”, quelle parole che “entrano negli usi collettivi della lingua per un periodo di tempo significativo”. Non sempre siamo in presenza di parole nuove per esigenze nuove; accade spesso che si determina un uso nuovo di parole vecchie che, da un campo di applicazione specifico e ben delimitato, si allarga poi a contesti più larghi e pubblici.
A questo proposito, con una cura e un'attenzione alle trasformazioni davvero significative, sempre sul sito dell'Accademia della Crusca troveremo la distinzione fra “rilanci” (parole già esistenti che negli ultimi anni hanno avuto un grande “rilancio” nell'uso pubblico) e “neologismi semantici (parole già esistenti in italiano che hanno assunto un nuovo significato). Sono, inoltre, segnalate le parole di nuova formazione o “prese in prestito” da altre lingue e quelle non ancora riportate nei dizionari. Il quadro generale è interessante e ci parla di un divenire che sa adattarsi alle novità e sa mettere a disposizione strumenti innovativi. Per informazioni più precise e più ampie che possano aiutare a capire l'ampiezza dei fenomeni e la qualità delle ricerche correlate alle parole della nostra lingua consigliamo una visita non frettolosa al sito dell'Accademia con particolare attenzione alla sezione “Parole nuove”.
Osservando le cose anche da un altro punto di vista, può sempre valere la pena di ripercorrere le attività e i rapporti che il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) mette ogni anno a disposizione dell'opinione pubblica per leggere i mutamenti del nostro paese. Alcune formule e alcune espressioni, coniate nel corso degli anni, sono entrate poi nel dibattito politico, offrendo una strumentazione altrimenti molto carente. A partire dal 1967, l'annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, non si è limitato ad offrire dati ed analisi ma ha anche contribuito alla creazione di una serie di espressioni forti per delimitare e comprendere le dinamiche sociali del nostro paese. In generale, quindi, l'uso di parole ed espressioni per definire le trasformazioni sociali che non sempre siamo in grado di interpretare.
Antonio Fresa
Per saperne di più
https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Resilienza.html
https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Neopolitica57.html
ttps://accademiadellacrusca.it
https://www.censis.it
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