
Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta dei retrogames. Dopo aver esplorato la fase embrionale fino agli anni ’60 in questo secondo capitolo scopriremo la nascita dei giochi arcadeed il proliferare delle prime console estremamente rudimentali.
ANNI ’70
Solitamente definita come l’età dell’oro, questo periodo ha visto nascere il business dei videogiochi che si è espresso attraverso il fenomeno dei cabinati arcade nelle sale giochi, fino ad allora luoghi adibiti al biliardo, ping pong, flipper e carte.
La rivoluzione non tardò ad arrivare. Correva l’anno 1971 quando la Nutting Associetes immise sul mercato il primo coin-up, termine ideato per abbreviare “coin operated”, in italiano macchina a gettone: bastava inserire una moneta nel futuristico cabinato di colore giallo ed il monitor monocromatico da 15 pollici sprizzava fuori combattimenti interplanetari. Purtroppo Computer Space non ebbe molta fortuna, furono prodotti 1.500 cabinati e ne furono effettivamente venduti circa la metà.
Nella decade precedente si parlò del progetto Brown Box. Nel 1972 la Magnavox Odyssey entrò in commercio con la sua console supportata da alcuni titoli tra cui un Video Ping Pong antesignano del mitico Pong. Purtroppo il successo non arrivò nonostante negli anni seguenti fosse commercializzata la versione 2 piena di migliorie, ma comunque non in grado di competere con lo strapotere Atari.
Una svolta epocale nella storia dei videogiochi avvenne in quello stesso anno quando Nolan Bushnell e Tad Dabney fondarono Atari destinata a diventare l’azienda dominante per circa un decennio in fatto di console casalinghe e mercato arcade.
La società americana debuttò con una killer application – Pong – entrata ben presto negli annali. Riproduzione del Ping Pong, permetteva ad uno o due giocatori di muovere una semplice linea rettangolare (posta al margine destro e sinistro dello schermo) in modo da colpire la pallina bianca da una estremità all’altra, evitando di farla cadere nel baratro. Ben 1.900 cabinati furono venduti, consentendo ad Atari di diventare una delle società americane emergenti dell’epoca.
In questi anni le sala giochi proliferarono e si venne a creare una primissima generazione di videogiocatori, quelli che oggi definiremmo early adaptor.
Intanto,con il passare degli anni, videro la luce alcuni capolavori indiscussi, frutto delle sperimentazioni di giovani software house, nate con l’intento di far soldi facendo divertire attraverso il gaming: Service Games (SEGA), Midway, la già citata Atari, Namco, Taito. Colossi che ancora oggi continuano a macinare software venduti in milioni di copie.
Ad una ditta giapponese, Namco, dobbiamo la realizzazione di Galaxian, titolo destinato ad esser ricordato per aver spezzato la monocromia che attanagliava le produzioni dell’epoca. Sprites in multicolor, effetti sonori, audio durante le schermate e palette cromatiche, lo resero l’antesignano di una tendenza che, dal 1979 in poi, divenne standard sul mercato e che ebbe in quegli anni un illustre esponente in Pac-Man.
Se i videogiochi iniziavano ad entrare sempre più nel cuore dei giovani, grazie al grado di interattività e all’immersione in universi futuristici e/o paralleli, si ebbero anche i primi casi di videogiochi considerati “socialmente dannosi”. E’ del 1976 Death Race della Exidy, basato sull’investimento di pedoni gremlins a bordo di un’autovettura. I più attenti noteranno bene come questo gameplay fu ripreso in seguito dal discussissimo Carmageddon (1997) e, più in generale, da numerosi titoli tra i quali citiamo Grand Theft Auto 4.
Nel 1977 avvenne la prima crisi dell’industria ei videogiochi. La ragione preponderante fu la saturazione del mercato. Centinaia di cloni arrivarono nelle sale giochi, e numerose console monoprodotto cannibalizzarono un mercato tanto emergente quanto immaturo.
La crisi fu superata solo grazie all’avvento delle prime “vere” console casalinghe, basate su cartucce. Fairchild Channel F fu la prima dotata di microprocessore e sistema a cartucce; ne furono rilasciate 26 numerate in ordine crescente. Tecnicamente la console era decisamente all’avanguardia, soprattutto in fatto di sonoro e supporto ai televisori RGB, che permettevano quindi di visualizzare i titoli con una palette di 8 colori. Il suo rilascio, nel 1976, fu salutato con una discreta accoglienza (169,95 dollari non erano certo pochi all’epoca), ma dovette fare ben presto i conti con la console che la farà da padrone negli anni a cavallo del 1980.
L’Atari VCS (anche conosciuta come Atari 2600) era una console ad 8bit, che debuttò l’Ottobre del 1977, il suo nome divenne ben presto sinonimo di console, tanto da influenzare la cultura pop contemporanea. Vennero venduti 30 milioni di pezzi, ed oltre 120 milioni di cartucce, fruttando ad Atari ben 5 miliardi di dollari. Un successo straordinario, frutto di una console tecnicamente all’avanguardia, ricordiamo a titolo di esempio l’introduzione del joystick ad 8 direzioni,e di un parco software (oltre 200 titoli) pieno di pietre miliari, sia interne, che di terze parti. Negli anni vennero rilasciati numerosi aggiornamenti ed un fratello maggiore denominato 5600, fino a quando la storia della console più longeva mai rilasciata, giunse al capolinea, nel 1991.
PONG
Apriamo le nostre monografie con un capolavoro realizzato personalmente dal fondatore di Atari, Nolan Bushnell. Pong – deve il nome al genere sportivo del Ping Pong – fu da subito un successo straordinario, tanto che la leggenda metropolitana narra di un guasto al primo cabinato, nel giorno stesso del debutto, a causa dell’enorme numero di monetine inserite nell’apparecchio. Il titolo offre la possibilità di giocare da soli contro la CPU, o in multiplayer, sfidando un avversario umano, utilizzando apposite manovelle. Niente di più semplice, quasi banale, eppure questo gameplay colpì al cuore (ed alle tasche) l’utenza dell’epoca, raggiungendo quel successo sfuggito a Bushnell l’anno prima con Computer Space.
Questo successo mondiale spinse decine di aziende e singoli appassionati a rilasciare versioni non autorizzate su ogni piattaforma esistente, tanto da suscitare spesso le ire di Atari, che non esitò a portare in giudizio aziende giudicate fin troppo spregiudicate nella riproduzione della meccanica di gioco. La stessa Atari realizzò in quegli anni una versione casalinga di Pong, su una console destinata a supportare quest’unico prodotto, per poi lasciar cadere nel dimenticatoio il brand fino al 1999, anno in cui fu sviluppato Pong: The Next Level per GameBoy, PC e Playstation.
Breakout
Inizialmente questo prodotto Atari del 1976 doveva essere una sorta di spin off di Pong. Spostare l’asse dal multiplayer al single player, in una dinamica di gioco che da orizzontale diventasse verticale. Probabilmente gli stessi sviluppatori non si accorsero, nelle fasi iniziali, di aver tirato fuori dal cilindro un concept destinato ad avere un’influenza unica nel suo genere.
In questo videogioco bisognava gestire una barra ubicata sul fondo dello schermo, sulla quale far rimbalzare una palla in grado di distruggere i mattoncini posti in alto. Il gioco finiva quando tutte le palle a nostra disposizione cadevano nello spazio sottostante il nostro rettangolo. La versione originale portava in sé numerose limitazioni tecniche che rendevano l’esperienza di gioco non entusiasmante. A titolo di esempio si poteva raggiungere 448 punti, oltre i quali non era possibile spingersi per mancanza di mattoncini, ed ancora la velocità della pallina dopo 4 tocchi diventava quasi ingestibile.
Atari capì gli errori e rilasciò una versione riveduta e migliorata, basata su processore M6502: il successo fu straordinario. Negli anni l’azienda americana commercializzò numerose versioni per console, da considerarsi veri e propri sequel, come Super Breakout e Breakout 2000. Paradossalmente la versione migliore arrivò da Taito, con Arkanoid, a cui spetta l’indiscusso merito di aver portato all’ennesima potenza il concept originale, aggiungendovi infinità di bonus e power up.
ANNI ’80
Se il mercato delle console casalinghe e dei cabinati arcade era in continua ascesa, passi da gigante si iniziarono a compiere anche nel segmento dei PC. L’idea che i personal computer potessero diventare “domestici” portò numerosi produttori ad immettere sul mercato apparecchi sempre più economici e semplici da usare.
Agli albori degli anni ’80, si passò da migliaia di dollari dell’epoca, a poche centinaia, grazie anche al contributo fondamentale della Commodore e dei suoi modelli di punta: VIC 20 e Commodore 64. Queste nuove macchine multimediali erano in grado di riprodurre grafica e spessore dei titoli console, aggiungendovi la completezza di una tastiera e di un sistema di gestione dati basato su cassette, cartucce o floppy disk.
Questa abbondanza di hardware causò, come diretta conseguenza, una offerta troppo amplia per l’utenza. Ben 12 console, tanti PC con funzionalità gaming e migliaia di titoli ormai apparsi sul mercato, furono il preludio alla più grande crisi mai attraversata dall’industria dei videogiochi. Correva l’anno 1983 e nel giro di pochi mesi tantissime aziende di settore dovettero portare i libri in tribunale o dismettere il settore gaming. Il sistema di giacenza dei giochi presso le catene di consumo saltò in aria, troppi gli stock di invenduto ed i produttori non furono più in grado di rimborsare i negozi o rimpiazzare i titoli vecchi con delle novità. Tutto questo culminò con una notizia riportata da tutti i telegiornali americani e canadesi (all’epoca i mercati più avanzati) secondo cui Atari, dopo essersi aggiudicata i diritti per la creazione del gioco di E.T. – film bestseller diretto da Steven Spielberg – e dopo aver fatto produrre milioni di cartucce, dovette seppellirne una quantità enorme nel deserto del New Mexico. Fondata o meno, questa notizia rende bene il clima che si respirò nel biennio 1983-84.
Da allora la storia dei videogiochi subì una virata verso oriente, destinata a durare fino ai giorni nostri. Con il ridimensionamento di aziende statunitensi come Atari (smise di produrre definitivamente hardware nel 1996 dopo l’ennesimo cocente insuccesso, con la console “Jaguar”), Mattel (la crisi dell’83 la fece ritirare dal mercato) e tante altre nate a ridosso degli anni ‘70-‘80, fu spostato il baricentro del videogioco verso il Giappone.
I volti nuovi rispondevano al nome di Nintendo e SEGA. La grande N rilasciò nel 1983 nel Sol Levante ,nel 1985 sui mercati occidentali e solo nel 1987 in Italia – distribuita dalla Mattel a quasi mezzo milione di lire – il suo NES (Nintendo Entertainment System, noto come “Famicom” in Giappone, abbreviativo di Family Computer). Divenne all’epoca la console più venduta del mondo (in seguito questa palma passò alla Nintendo GameBoy e alla Sony Playstation), grazie ad un ottimo mix tra prestazioni tecniche, periferiche innovative (la pistola ad esempio), prezzo concorrenziale ed un parco giochi basato sia su conversioni di titoli arcade, che di titoli innovativi destinati a macinare record su record: Super Mario Bros (il gioco più venduto), Metal Gear, Final Fantasy, Metroid, Megaman e Donkey Kong, per citarne alcuni.
L’unico vero rivale fu il Master System di SEGA, che giunse sui mercati con 1-2 anni di ritardo rispetto al diretto concorrente, senza mai riuscirlo a spodestare nelle classifiche di vendita, se si eccettuano poche nazioni, tra cui l’Italia, dove fu distribuita da Giochi Preziosi.
La console, tecnologicamente molto simile all’8bit Nintendo, vantava un parco titoli altamente qualitativo: Alex Kidd (il titolo più venduto), After Burner, Double Dragon, California Games, Sonic, OutRun e tanti altri ancora.
Al di là di ogni aspetto, queste due console permisero all’industria di rinascere su nuove e durature basi grazie ad un cambio radicale di politica commerciale che riportava nelle mani dei produttori di hardware il controllo totale della filiera, stoppando una volta per tutte il fenomeno della pirateria e dei giochi di scarsa qualità venduti sottoprezzo.
Super Mario Bros
Era l’anno 1983 quando lo staff guidato dal giovanissimo Shigeru Miyamoto sconvolse il mondo con l’introduzione di un baffuto idraulico di origini italiane e suo fratello, parliamo ovviamente di Mario e Luigi. Si trattava dei primi esperimenti per sala giochi, basati sui fortunati personaggi, ma era ancora lontano a venire quel platform game che incantò milioni di persone a partire dal 1985 su sistema NES. Super Mario Bros stupì tutti per longevità, esperienza di gioco altamente innovativa, basata su un sistema di scorrimento orizzontale con incursioni nel verticale, ed un comparto audio finalmente degno di tal nome. Il successo fu così straripante da far diventare Mario la mascotte della Nintendo.
Fabio Viola
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