Dal globale al locale: l’energia tra realtà e propaganda

diga idroelettrico
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Alcuni argomenti di grande attualità e vitale importanza per società ed economia tendono a venire trattati con superficialità e imprecisione inaccettabili.

Tra questi, l’energia è purtroppo un caso esemplare di parole spese a sproposito. Eppure stiamo parlando del fattore fisico fondamentale che distingue l’economia e la società attuali da quella precedente la rivoluzione industriale di oltre quattro secoli fa. Ecco perché l’evoluzione dell’umanità ha utilizzato le rive dei fiumi per i primi insediamenti urbani: l’acqua è stata utilizzata da sempre anche come fonte di energia.
Qualsiasi attività sia oggi immaginabile è basata su una produzione di energia, anzi in realtà su una trasformazione di energia naturale in una o più forme (esempio, elettricità + carburante) consone allo svolgimento dell’attività.

Eppure, solo pochi mesi fa il Copasir [1], la commissione parlamentare che sorveglia le azioni dei servizi segreti e la “sicurezza nazionale”, ha scoperto che è un fattore di rilievo strategico. Le conclusioni tratte da questa improvvisa fulminazione, sono state purtroppo dettate dagli industriali dell’energia, che raccontano frottole invereconde per salvaguardare il loro orticello, redditizio come non mai.
Germania e Italia sono nell’ordine i due grandi Paesi europei con il problema più acuto [2] di dipendenza energetica dalle fonti fossili provenienti dalla Russia, portando l’Europa anche nell’infelice posizione di finanziare la guerra su entrambi i lati: fornendo soldi a Putin e armi a Zelensky. Naturalmente, il fio di questi “errori” è sempre a carico dei cittadini, mica di Merkel, Berlusconi o Draghi e via dicendo.

Oltre alle questioni attinenti l’approvvigionamento, si pone il serissimo problema dei prezzi. La guerra in Ucraina non è stata la causa scatenante: il rincaro è iniziato ben prima ed è stato causato dalla ripresa economica post-Covid. Prendiamo un caso dalle mie parti: la Compagnia Valdostana delle Acque (produttrice di energia rigorosamente solo rinnovabile, in larghissima prevalenza idroelettrica) ha beneficiato già nel 2021 [3] del rincaro delle bollette, permettendo di raddoppiare senza fatica gli utili rispetto al 2020, poiché i costi di produzione sono rimasti invariati.
Infatti, particolarmente in Italia, il fenomeno dell’aumento è molto utile al Governo e alle casse dello Stato: l’aumento dei prezzi induce il proporzionale incremento del gettito fiscale. Questo è un ottimo motivo per evitare resistenze serie alla speculazione, limitando l’azione di contenimento con un piccolo prelievo sugli extra profitti per lenire le ferite delle piccole imprese e dei ceti medi e bassi.

Qualche illuminato di livello planetario ha d’altro canto pensato di risolvere tutto con il ritorno al nucleare, ipotizzando lo sviluppo della tecnologia tradizionale e investendo miliardi in questo business potenziale.
Questo fatto che ha risvegliato l’interesse dell’industria mondiale del settore ed il relativo lobbismo aggressivo che mira a ribaltare l’atteggiamento popolare, politico e di molta parte della scienza contrario a quella fonte di energia.
Il primo successo di questa pressione è la decisione UE, ancora non definitiva, di includere il nucleare nella tassonomia delle tecnologie di produzione di “energia rinnovabile”. Si tratta del nucleare a fissione, lo stesso di Chernobyl e Fukushima, ma di quarta generazione (quella di Hulk… infatti dovrebbe essere verde). Questa “nuova” tecnologia potrebbe essere operativa a livello industriale nel prossimo decennio.
Senza entrare nel tecnico, è opportuno rimarcare la differenza, assolutamente abissale, tra fusione e fissione nucleare. La fusione è il Sacro Graal dell’energia: tutti lo cercano, nessuno è ancora vicino ad averlo trovato e, soprattutto, sa se e come funzionerà. In parole semplici, la “promessa” è quella di generare una quantità incredibilmente elevata di energia, probabilmente stravolgendo persino le conoscenze attuali della fisica.
Il reattore europeo ITER, noto per i colossali sforamenti di budget e di tempi, più che per i successi tecnici è tra le iniziative in fase di ricerca e sviluppo a livello globale: Eurofusion [4], il consorzio che gestisce il progetto, dichiara sul sito che per il 2039 prenderà la decisione di costruire un reattore operativo.
Quindi, lasciar intendere che la “soluzione sia imminente” per la fusione e/o confonderla con la fissione dimostra ignoranza in materia.

Esaminiamo ora un campo specifico, quello idroelettrico.
Per giustificare il mantenimento di laute rendite di posizione, i concessionari italiani dell’idroelettrico mettono in campo improponibili confronti con altri Paesi sulla durata delle concessioni o sulla protezione degli impianti da proprietà straniere che sfrutterebbero senza riguardo il nostro ambiente.
Per quanto riguarda il primo punto, dovrebbe essere sufficiente osservare che in Norvegia, maggior produttore europeo, il 90 % delle risorse idroelettriche sono gestite dallo Stato o dalle Autorità locali. Mi sembra ovvio pensare che la proprietà pubblica sia la miglior garanzia di utilizzo rispettoso dell’ambiente e delle esigenze sociali locali e che, pertanto, la concessione sia perpetua.
Per quanto riguarda il secondo punto, in Italia già esistono proprietà straniere di numerose società idroelettriche. La citazione più scontata è Edison, proprietà della francese Edf. Altrettanto ovviamente, sono attive in Italia altre società idroelettriche straniere, tra le quali società di proprietà pubblica svizzere e norvegesi.
Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse e dei territori, la conoscenza di fatti e misfatti di gestione in molte realtà locali dimostra che le società nostrane avrebbero molto da fare Si possono portare ad esempio laghi artificiali quasi pieni di detriti, mai sghiaiati, pertanto quasi inutilizzabili per smorzare le piene, altre mancate manutenzioni di impianti, azioni legali intentate contro Enti pubblici per non pagare quote concordate o per contestare sanzioni irrogate per il mancato rispetto del limite di portata d’acqua concessa.
Ecco perché è oggi opportuna la regionalizzazione delle concessioni idroelettriche, prevista dal “Decreto Semplificazioni” del 2019, e soprattutto l’effettuazione soprattutto delle gare per il rinnovo delle concessioni scadute e in scadenza: l’adeguata definizione dei bandi di gara e la sorveglianza nel periodo operativo sono le uniche possibilità per i territori di migliorare le condizioni di utilizzo della risorsa acqua e di volgere a proprio favore il rapporto economico con i concessionari.
Per giustificare proroghe e allungamento di durata delle concessioni, le associazioni imprenditoriali favoleggiano di piani di investimenti di quasi 10 miliardi. Tutte o quasi queste opere avrebbero potuto e dovuto essere già stati realizzati, in particolare le manutenzioni, durante i periodi già scaduti di concessione. Probabilmente i Concessionari se già non li hanno fatti a tempo debito, non lo faranno in futuro, a prescindere dalla durata delle concessioni. L’esempio della Compagnia Valdostana delle Acque (CVA) dimostra inoltre che durate di concessioni di 30 anni o più sono realmente un ingiustificabile ed enorme favore agli operatori. Nei suoi 20 anni di vita, l’azienda ha ripagato almeno 4 volte tutti gli investimenti realizzati, una volta ogni cinque anni, malgrado gravi “errori” di gestione, il più noto dei quali è quello delle “turbine cinesi”[6].
Tra i provvedimenti a supporto del settore idroelettrico, del tutto superflui data la sua forte redditività strutturale, è stato previsto il project financing, uno strumento di finanziamento a lungo termine per grandi progetti. In questo modo, le Società vengono caricate di debito superfluo; pagando interessi sostanziosi per molto tempo, abbassano fittiziamente la redditività e di conseguenza abbassano realmente il carico fiscale. Se, casualmente, il finanziatore fosse straniero, magari con sede in un paradiso fiscale, questo risulterebbe un metodo legale di “esportare gli utili”.

Un altro “paravento” che si ipotizza a livello governativo è l’istituzione del cosiddetto “Golden power”. Si tratta di una riedizione della Golden share, inventata 40 anni fa dalla Thatcher, che consente al Governo di porre il veto sulla vendita all’estero di società concessionarie di beni “strategici”. Questa norma potrebbe essere fatta valere per poche decine di realtà, le più significative a livello nazionale, ma questo significa lasciare gli altri 4000 e più impianti idroelettrici italiani alla mercé di chiunque e con essi situazioni territoriali che meriterebbero ben altra considerazione.
Dedico le ultime note a specificità legate alla realtà valdostana. Tuttavia, Statuto speciale con le sue peculiarità a parte, situazioni analoghe sono riscontrabili in molti territori montani del Paese che, notoriamente, rappresentano la grandissima maggioranza delle produzioni idroelettriche.

In primis, è evidente l’inadeguatezza ormai decennale della politica sull’argomento. Invece di cercare di cedere quote o addirittura il controllo della più strategica, migliore e maggiore fonte di ricchezza del territorio, sarebbe stato possibile rendere perpetuamente valdostana anche la gestione, oltre alla proprietà delle acque, di tutte le acque. Con una “normativa di attuazione” (specificità dello Statuto speciale) lontana da impostazioni ultra-liberiste, notoriamente e ripetutamente perdenti in questi ambiti, sarebbe stato possibile mantenere pubblica proprietà e gestione delle infrastrutture di produzione e distribuzione, ma non è stato e non sarà così.
In secondo luogo, sebbene altrettanto rilevante per il territorio, anni fa si sarebbe dovuto puntare ad anticipare la completa transizione alle fonti rinnovabili.
Considerando il risparmio dei consumi energetici ottenibile con la coibentazione degli edifici, il passaggio dei trasporti alla trazione elettrica e alcune azioni su attività industriali particolarmente energivore e basandosi sui dati del bilancio energetico regionale, oggi si sarebbe potuto raggiungere l’equilibrio tra consumi locali e autoproduzione da rinnovabili, ovvero la totale autonomia energetica (7).
Non è stato e non sarà così, anche perché le risorse economiche necessarie, abbondantemente generate da CVA, sono state dirottate per scelta politica confermata dalla Corte Costituzionale, al Casinò, alle pensioni dei Consiglieri Regionali, eccetera…
A proposito. Con l’ autonomia energetica, le aziende e le famiglie valdostane non avrebbero subito alcuna conseguenza sulla propria bolletta energetica (solo elettricità, più niente gas e petrolio) …. ma CVA avrebbe solo mantenuto il livello standard di redditività.
Per completezza, occorre dire che non sarebbe indispensabile alcun “rinforzo” alle fonti idroelettriche, se non sotto forma di adeguata capacità di immagazzinamento dell’energia.
La termovalorizzazione è diffusa da tempo. Bolzano è uno degli ultimi esempi in Italia. Non per questo, la scelta altoatesina è opportuna anche in Valle d’Aosta, se non altro per le dimensioni e la morfologia del territorio.
Per esempio, a Bolzano [8] stanno sperimentando l’idrogeno per la trazione di alcuni bus. Solo alcuni, visto che costano ad acquistarli e ad usarli 6 volte gli altri e il doppio di quelli elettrici, visibili nella vicina Torino [9].
La strada della termovalorizzazione è da ormai qualche anno costellata da clamorose retromarce, come a Copenaghen [10], l’impianto famoso per la pista da sci sul tetto. Discariche di rifiuti pericolosi e speciali, in funzione con deroga generosamente offerta da un noto ex Presidente della Regione e nuove attività di smaltimento di rifiuti altamente inquinanti come quelle per le batterie al piombo sono già sufficienti a mantenere i numeri, quelli non taroccati, di diffusione di malattie riconducibili ad inquinamento.
I rifiuti “made in Aosta” potrebbero essere efficacemente riciclati con miglior esito anche economico con largo utilizzo di manodopera, senza aggiungere fonti potenzialmente nocive come appunto la pirogassificazione, una delle tecnologie che utilizzano la combustione dei rifiuti, solo più raffinate e costose del semplice incendio dei cassonetti.

Ezio Roppolo

 

[1]  https://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/commissioni/bicamerali/copasir18/Relazione_Copasir_sicurezza_energetica_BOZZA.pdf
[2] https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/02/25/quali-paesi-europei-dipendono-piu-dal-gas-russo/
[3] https://www.euro-fusion.org/eurofusion/roadmap/
[4]
[5] https://www.cvaspa.it/bilanci-e-dati-finanziari-gruppo-cva
[6] http://www.consiglio.vda.it/attivita-organi-consiliari/commissioni-speciali-xiii-legislatura/commissione-d-inchiesta
[7] https://www.regione.vda.it/energia/pianificazione_energetica_regionale/bilanci_energetici_regionali-ber-2011-2019_i.aspx
[8] https://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/bus-sasa-a-idrogeno-spesi-oltre-11-milioni-1.1730510
[9] https://www.vaielettrico.it/altri-50-bus-elettrici-byd-per-gtt-torino/
[10] https://zerowasteeurope.eu/2017/10/copenhagen-goes-all-in-on-incineration-and-its-a-costly-mistake/, https://economiacircolare.com/inceneritore-copenaghen-luzzati/, https://economiacircolare.com/dati-inceneritore-copenaghen/

 

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