
Mentre la grancassa mediatica festeggia il giorno della Terra nel mondo continuano ad essere marginali gli interventi strutturali per invertire la rotta verso un disfacimento del pianeta su cui viviamo. Tutte iniziative che certo possono aiutare, ma senza uno stop all’indiscriminato sfruttamento delle risorse e delle popolazioni il disastro sarà inevitabile.
Forse i due paesi che hanno dato un segno ad un possibile cambiamento strutturale sono l’Ecuador e la Bolivia che nelle rispettive costituzioni hanno riconosciuto titolare di diritti la Natura stessa. A questo dovranno seguire costantemente pratiche concrete ma è un inizio che fa sperare.
E in Bolivia a Cochabamba, come promesso nella campagna elettorale dal presidente boliviano Morales, si è tenuta la Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra. Un tentativo di rispondere al fallimento dei vari Kyoto Copenaghen e meeting internazionali sull’ambiente.
Nonostante qualcuno l’abbia definito un appuntamento alla moda per la presenza di vip, star politiche, gente di spettacolo sui media tradizionali non c’è molta traccia dell’evento [1].
Morales insieme ad altri capi di stato e di governo si era ostinatamente opposto all’accordo di basso profilo di Copenaghen raggiunto dopo compromessi al ribasso tra i vari paesi ed in particolare tra Usa e Basic (Brasile,Sudafrica, India,Cina).
Anche recentemente ha tenuto le fila della protesta in occasione dei colloqui sui cambiamenti climatici a Bonn per la definizione del calendario delle attività a Cancun Messico. Bolivia e Venezuela e Malaysia hanno nuovamente criticato l’accordo di Copenaghen che potrebbe, secondo i loro rappresentanti, causare addirittura un aumento di cinque gradi dela temperatura. Un’opposizione che costerebbe cara nel senso che per Bolivia ed Ecuador salterebbero i finanziamenti, rispettivamente per 3 e 2,5 milioni di dollari, previsti dal Global Climate Change Initiative dell’amministrazione Obama [2]. Come dire: senza il sostegno alla posizioni di Washington non c’è assistenza sul clima.
A Cochabamba, ospiti della Universitad del Valle di Tiquipaya, i rappresentanti dei popoli, delle organizzazioni e dei movimenti hanno contestato ancora una volta la loro esclusione dai consessi ufficiali deputati a discutere dei cambiamenti climatici. Alicia Bàrcena, capo della Commissione economica per l’America latina e i Caraibi è stata più volte interrotta mentre leggeva il messaggio del segretario generale dell’Onu.
Intanto oltre alla partecipazione a questa Conferenza il coinvolgimento di tutti potrà avvenire l’anno prossimo il 22 aprile 2011 quando si svolgerà il referendum mondiale sul clima deciso dal Gruppo di lavoro 4 al quale hanno partecipato organizzazioni e movimenti di Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Perú e Usa. Un comitato internazionale dovrebbe lavorare solo per questo risultato facendo in modo che si svolga secondo le modalità di voto già previste dai singoli paesi o popoli.
Il Gruppo di lavoro 5 ha votato per la creazione di un Tribunale internazione di giustizia per le questioni climatiche, con sede in Bolivia, al quale si potranno appellare per popoli, governi, nazioni, persone fisiche o giuridiche che si sentiranno colpite dai cambiamenti del clima. Il Tribunale dovrebbe poter sanzionare in maniera vincolante. Mentre il gruppo di lavoro sull’agricoltura ha condannato duramente le produzioni transgeniche e delle monocolture invitando conteporaneamente a supportare le conoscenze millenarie degli indigeni e dei contadini.
La Conferenza ha chiesto una riduzione del 50% delle emissioni dei gas serra entro il 2020 rispetto ai volumi del 1990 e di poter imporre degli obblighi collettivi e l’utilizzo di parametri precisi con l’obbiettivo, secondo l’ambasciatore della Bolivia all’ONU, di limitare a 1,5 gradi il surriscaldamento del pianeta [3].
<<Le risoluzioni di Cochabamba hanno rifiutato il classico principio della “condizionalità” in cambio di aiuti finanziari. Il mondo vive una “grande crisi” dovuta al fatto che il 75 per cento dei gas serra viene emesso dal 25 per cento dei paesi, quelli industrializzati, e questo produce un impatto diretto, come siccità e inondazioni. Si è denunciato il sistema delle compensazioni delle emissioni inquinanti, il mercato del carbonio e altri meccanismi finanziari e di lucro, lontani dalla soluzione centrale del problema>> [4].
Durante la Conferenza alcuni scienziati hanno esposto progetti come quello di immettere dei solfati nelle nuvole per generare effetti simili a quello delle eruzioni vulcaniche che alla fine consentirebbero una sorta di ombrello contro i raggi solari. Silvia Ribeiro spiega che i fosfati sono tossici e non rimarrebbero nelle nubi ma lentamente scenderebbero acidificando i mari e provocando malattie e decessi prematuri. Progetti come questi sono appoggiati dalla Gran Bretagna e dagli USA [5].�
Molte iniziative e progetti potranno essere portati a termine per la loro complessità, per la mancanza di sostegni istituzionali diffusi, per l’assenza di risorse finanziarie per lavorare in questa direzione e forse anche per i tanti punti di vista che si sono osservati e che non sempre coincidono con l’anticapitalismo. Ma la Bolivia è un esempio di come un’intera nazione con tanti popoli e interessi contrastanti come quelli delle regioni dell’est possono incamminarsi su una strada del buon convivere con la natura.
Pasquale Esposito
[1] “Clima. Al via in Bolivia il forum alternativo sul cambiamento”, www.lastampa.it
19 aprile 2010 –
[2] “Gli Usa a Bonn: nessun finanziamento a Bolivia ed Ecuador senza ok a Copenhagen”, www.greenreport.it, 12 aprile 2010
[3] “Cambiamenti climatici, Cochabamba chiede di dimezzare i gas serra”, www.misna.org, 22 aprile 2010
[4] Franz Chávez , “Un referendum mondiale e Tribunali di giustizia”, www.ipsnotizie.it, 23 aprile 2010
[5] Silvia Ribeiro, “Apprendisti stregoni”, Il Manifesto, 24 aprile 2010, pag. 2; l’articolo fa cenno anche ad altre soluzioni “scientifiche” e tecnogiche che aiuterebbero a difendere la terra ma che in sostanza finirebbero per peggiorare la situazione senza contare che spesso dietro ci sono grandi gruppi industriali.
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